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Data: 02/01/2017 17:00:00 - Autore: Raffaele Vairo di Raffaele Vairo - Prima di procedere all'esame della sentenza delle Sezioni Unite (n. 1786 del 28.1.2010) è necessario fare alcune premesse in ordine al contenuto del ricorso e agli adempimenti del prefetto. Il primo comma dell'art. 203 cds recita: "Il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell'art. 196, nel termine di giorni sessanta dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al prefetto del luogo della commessa violazione, da presentarsi all'ufficio o comando cui appartiene l'organo accertatore ovvero da inviarsi agli stessi con raccomandata con ricevuta di ritorno. Con il ricorso possono essere presentati i documenti ritenuti idonei e può essere richiesta l'audizione personale". Dalla lettura della norma si evince che: a) il presunto trasgressore può presentare ricorso al prefetto; b) il presunto trasgressore (o i responsabili solidali di cui all'art. 196) può presentare tutti i documenti che ritiene utili per la sua difesa e può richiedere l'audizione personale. Aggiungo che: a) il verbale elevato dagli organi di polizia stradale per violazioni che prevedono la possibilità di pagare la sanzione in misura ridotta, ove non fosse impugnato nei termini di legge, è suscettibile di trasformazione in titolo esecutivo idoneo, quindi, alla riscossione del credito nella misura prevista dalle norme in materia; b) la facoltà concessa al ricorrente di produrre documenti e/o di richiedere l'audizione personale va vista nell'ottica di far compartecipare anche il privato al procedimento sanzionatorio secondo il principio di buona amministrazione; c) il rapporto di cui all'art. 17 della legge n. 689 del 1981 non è previsto per le violazioni delle norme del codice stradale, per le quali è ammesso il pagamento della sanzione pecuniaria in misura ridotta. Anzi, l'art. 206, comma 1, sancisce: "Se il pagamento non è effettuato nei termini previsti dagli articoli 202 e 204, salvo quanto disposto dall'ultimo comma dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria è regolata dall'art. 27 della stessa legge 24 novembre 1981, n. 689". In tale caso il verbale è titolo esecutivo idoneo per l'iscrizione a ruolo della somma dovuta dal trasgressore. Il successivo art. 204, comma 1, recita: "Il prefetto, esaminati il verbale e gli atti prodotti dall'ufficio o comando accertatore, nonché il ricorso e i documenti allegati, sentiti gli interessati che ne abbiano fatto richiesta, se ritiene......". Dunque, alla facoltà concessa al ricorrente di richiedere l'audizione personale (art. 203) l'art. 204, corrispondentemente, pone in capo al prefetto l'obbligo di sentire gli interessati che ne abbiano fatto richiesta. A questo punto la domanda che ci dobbiamo porre è sul significato da attribuire agli adempimenti previsti nel comma 1 dell'art. 204 cds. In particolare, che valore dobbiamo dare all'inciso sentiti gli interessati che ne abbiano fatto richiesta. La risposta richiede l'individuazione dei criteri di interpretazione utilizzabili ai sensi di legge. Detti criteri sono indicati nell'art. 12 delle preleggi: 1) criterio di interpretazione letterale; 2) criterio di interpretazione teleologica. Interpretazione letteraleL'interpretazione letterale richiede che alle norme di legge sia dato il valore che si desume dalle parole secondo la loro connessione. Ovvero l'interprete ha il dovere di non sottovalutare la letteralità della norma esaminata, ma di dare alle parole del testo il significato che può desumersi dal complesso del discorso. Si tratta, come è facilmente intuibile, del normale criterio di intendimento risultante dalla globalità del discorso. Nella specie, l'art. 204 elenca tassativamente gli adempimenti in capo al prefetto. Tuttavia, la lettera della norma non è in contrasto con l'intenzione del legislatore desumibile dalla lettura costituzionalmente orientata. Interpretazione teleologicaPer attribuire il giusto significato alle parole del testo l'interprete non può fermarsi al significato letterale, ma deve fare riferimento alla intenzione del legislatore. Occorre, cioè, esaminare la norma nel sistema della legge in cui è inserita, in coerenza con i principi generali dell'ordinamento giuridico e specialmente con i principi costituzionali. Insomma l'interpretazione deve essere in linea con l'ordinamento giuridico che è la base della convivenza civile. La coerenza del testo da interpretare con i principi costituzionali non può essere considerara facoltativa, in quanto posti a tutela degli interessi della collettività e dei singoli che possono essere messi in pericolo da un'arbitraria interpretazione della norma. Ad esempio, il secondo comma dell'art. 24 della Costituzione sancisce l'inviolabilità della difesa in ogni stato e grado del procedimento. Il che pone, a carico del giudice, il dovere di un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma o delle norme che viene chiamato ad applicare nei casi sottoposti al suo giudizio specialmente se si tratta del diritto di difesa. In ogni caso, a mio avviso, l'art. 12 delle preleggi esclude il ricorso al criterio ermeneutico di tipo teleologico tutte le volte in cui le parole utilizzate dal legislatore siano in linea con il sistema giuridico e non lascino margine di dubbio sul loro significato e, quindi, sull'intenzione del legislatore. L'interpretazione della norma nella giurisprudenza della CassazioneUn automobilista proponeva ricorso al prefetto di Reggio Calabria avverso il verbale di accertamento di violazione al codice della strada per superamento dei limiti di velocità. Nel ricorso il detto automobilista chiedeva di essere ascoltato. Il prefetto disattendeva la richiesta della preventiva audizione e rigettava il ricorso. L'automobilista si vedeva, quindi, ostretto a proporre opposizione davanti al giudice di pace di Reggio Calabria che l'accoglieva per difetto di motivazione, in quanto nella ordinanza non riscontrava nessun riferimento alla omessa audizione. Contro la sentenza del giudice di pace proponeva ricorso per Cassazione il prefetto di Reggio Calabria. La seconda sezione della Cassazione, cui era stata affidata la decisione, ravvisato il contrasto giurisprudenziale relativamente alla rilevanza del vizio di motivazione dell'ordinanza ingiunzione prefettizia che aveva confermato il verbale di accertamento e di contestazione opposto senza aver ascoltato l'interessato che ne aveva fatta richiesta, rimetteva gli atti al primo Presidente, che fissava la trattazione davanti alle Sezioni Unite. La questione posta dalla seconda sezione riguardava appunto il quesito se la mancata audizione poteva costituire vizio di motivazione dell'ordinanza prefettizia. Va ricordato al riguardo che gli orientamenti espressi dalle diverse sezioni della Cassazione erano sostanzialmente due. Secondo il primo orientamento (ex pluribus Cass. n. 13622/2009; Cass. n. 2817/2006; Cass. n. 519/2005; Cass. n. 391/1999; Cass. n. 468/1999; Cass. n. 10911/1998) il prefetto non potrebbe disattendere la richiesta di audizione del ricorrente che ne avesse fatto richiesta esplicita. Al contrario, un secondo orientamento (consacrato nella sentenza in commento), ritenendo che oggetto del giudizio di opposizione davanti al prefetto fosse il rapporto sanzionatorio e non l'atto, spostava la fase dell'audizione nell'eventuale processo giurisdizionale nel quale l'esame del giudice si estende alla validità sostanziale del provvedimento impugnato attraverso l'esame autonomo della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto della violazione. L'esame della questione richiede alcune puntualizzazioni. In generale, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 689 del 1981 l'opposizione non può essere promossa avverso il verbale di accertamento e contestazione ma solo alla ordinanza-ingiunzione, che conclude il procedimento amministrativo. A questa regola fanno eccezione i verbali di accertamento e contestazione delle violazioni al codice della strada per le quali è ammesso il pagamento in misura ridotta. Infatti, mentre nel primo caso (e per le sanzioni amministrative conseguenti alle violazioni del codice della strada che non prevedono la possibilità del pagamento in misura ridotta) ai presunti contravventori è data facoltà di far pervenire all'autorità competente a ricevere il rapporto ex art. 17 scritti difensivi entro trenta giorni dalla data della contestazione o della notificazione del provvedimento sanzionatorio, nell'ipotesi di violazioni alle norme del codice della strada, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, il contravventore può fare ricorso facoltativo al prefetto (art. 203 C.d.S.) o, in alternativa, ricorso in sede giurisdizionale (art. 204-bis C.d.S.). Da sottolineare che il verbale di accertamento e contestazione di una infrazione al codice della strada acquista l'efficacia di titolo esecutivo quando non sia stato effettuato, nei termini di legge, né il pagamento in misura ridotta né il ricorso al prefetto o in sede giudirisdizionale. In sintesi: l'art. 203 cds prevede la possibilità di proporre ricorso al prefetto entro sessanta giorni. L'art. 204 dispone che il prefetto, esaminati il verbale e gli atti prodotti dall'ufficio o comando accertatore, nonché il ricorso e i documenti allegati, sentiti gli interessati che ne abbiano fatta richiesta, se ritiene fondato l'accertamento adotta entro centoventi giorni decorrenti dalla data di ricezione degli atti da parte dell'ufficio accertatore, secondo quanto stabilito al comma 2 dell'art. 203, ordinanza motivata con la quale ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione, secondo i criteri dell'art. 195, comma 2. La ratio della normativa è quella di risolvere le controversie in sede amministrativa, evitando – nell'interesse pubblico e dei soggetti direttamente interessati – l'instaurazione di processi di opposizione, così deflazionando l'accesso alla giurisdizione, nei limiti consentiti dalla Costituzione....(Cass. Civile, sez. I, n. 591/1999). Sembra, dunque, chiaro che l'ordinanza ingiunzione del prefetto deve essere motivata su espressa statuizione della norma di cui all'art. 204. Del resto, lo stesso articolo enuncia con precisione tutti gli adempimenti del prefetto nel procedimento di decisione sul ricorso proposto dal presunto trasgressore. Qui la lettera della legge, a mio avviso, è in perfetta coerenza con quanto sancito dalla Costituzione all'art. 24 che garantisce il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del procedimento. Si desume che nessuno, né il legislatore né il giudice possono privare le parti di un procedimento - anche di un procedimento amministrativo - della possibilità di una valida ed efficace difesa, come avverrebbe se ad esse fosse negata la possibilità di presentarsi davanti all'autorità amministrativa o giurisdizionale presso cui pende il ricorso e di essere ascoltati. Il ragionamento delle Sezioni Unite si fonda sui seguenti presupposti: 1) l'ordinanza-ingiunzione prefettizia avrebbe il compito di esprimersi sul rapporto e non sull'atto amministrativo; 2) pertanto, il ricorrente potrebbe far valere le sue ragioni nell'eventuale procedimento giurisdizionale, in quanto il giudice avrebbe cognizione piena sull'atto amministrativo. Le tesi, a mio avviso, non possono essere condivisibili. Per le su esposte ragioni in capo al prefetto l'art. 204 cds pone precisi doveri che non possono essere disattesi. L'interpretazione letterale, in questo caso, è coerente con il sistema giuridico e, in specie, con il dettato dell'art. 24 Costituzione che non può essere ignorato neanche dalle Sezioni Unite della Cassazione. Se fosse come interpretano le Sezioni Unite, anche gli altri adempimenti dovrebbero considerarsi non necessari. Ma ciò non può essere, in quanto si priverebbe il prefetto di prendere cognizione dei fatti oggetto del ricorso. Considerazioni finaliIl mutato orientamento della Suprema Corte ha prodotto un certo disorientamento tra gli operatori del diritto (avvocati e giudici) in ordine allo scopo deflattivo che con il ricorso amministrativo si voleva conseguire. Nella sentenza in esame il ragionamento è rovesciato, affermandosi che la possibilità di opporsi a un'ordinanza scarsamente motivata potrebbe indurre il presunto trasgressore a tentare sempre la via giudiziaria facendo valere l'illegittimità dell'ordinanza ingiunzione a richiedere una motivazione più dettagliata, provocando un sensibile aumento del contenzioso "con il risultato che un meccanismo alternativo e deflattivo, quale il facoltativo ricorso amministrativo, potrebbe in concreto fornire una occasione per l'allungamento dei tempi processuali". La tesi così espressa potrebbe apparire fondata se non si considerasse che la responsabilità non è da attribuire ai ricorrenti ma alle Prefetture che, come sanno non solo gli operatori del diritto, generalmente si pronunciano in favore degli organi di polizia stradale, rendendo necessario percorrere la via giudiziaria. Non solo. Dimenticano le SS.UU. che l'art. 204 del codice della strada statuisce che l'ordinanza deve essere motivata sia nelll'ipotesi di rigetto del ricorso sia nel caso di suo accoglimento. Ad ultimum, aggiungo che il disegno di legge n. 1638, approvato dalla Camera dei deputati e trasmesso al Senato (Delega al Governo per la riforma del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), all'art. 2 lett. p), prevede l'eliminazione dell'obbligo di procedere all'audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta, presupponendo che tale obbligo esiste fino a quando il codice della strada non verrà riformato. Ora, vero è che il disegno di legge, anche se approvato da una delle Camere, non può assurgere al valore della legge, ma tanto sta a significare che anche la Camera ritiene obbligatoria attualmente l'audizione dell'interessato che ne abbia fatto richiesta. Ovviamente, la richiesta deve essere presa in considerazione se fatta contestualmente al ricorso, che è considerato esercizio di una mera facoltà dell'interessato. Nè, d'altronde, si può attribuire al giudice, anche se si tratta della Cassazione, un potere (quello legislativo) che nel nostro ordinamento costituzionale appartiene al Parlamento. Perciò i giudici di merito e, in particolare i giudici di pace, non si sentano vincolati da una sentenza che, a mio avviso, ha dato alla norma di cui al primo comma dell'art. 204 cds una interpretazione che va oltre i canoni ermeneutici ordinari, rivelandosi piuttosto come il tentativo di trasferire sui cittadini responsabilità che appartengono alla pubblica amministrazione. |
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