Data: 12/01/2017 10:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Nonostante la recente evoluzione civilistica, nel diritto penale la posizione del coniuge e quella del convivente more uxorio restano ben distinte.

In proposito, particolarmente interessante è la sentenza della Corte di cassazione numero 808/2017 depositata il 10 gennaio (qui sotto allegata), in quanto con essa i giudici hanno ritenuto che l'aggravante prevista dall'articolo 577 c.p. per le ipotesi di omicidio vale solo se la vittima è il coniuge, mentre non si applica se ad essere ucciso è stato il convivente.

L'occasione per pronunciarsi sulla questione è giunta alla Corte dal comportamento di un uomo che, sotto l'effetto dell'alcol, aveva tentato di uccidere la propria compagna con diversi colpi di armi da taglio.

Il giudice del merito, sia in primo che in secondo grado, lo aveva quindi condannato (oltre che per maltrattamenti) per tentato omicidio ai sensi degli articoli 56 e 575 c.p., applicando l'aggravante di cui all'articolo 577.

Per la Cassazione, però, la posizione di Tribunale e Corte d'appello con riferimento a tale ultimo aspetto non può essere condivisa.

In altre parole non è possibile ritenere che, in virtù dell'evoluzione della giurisprudenza civile e del costume sociale, l'aggravante in parola possa essere interpretata in maniera estensiva.

Si tratta, infatti, di una non consentita applicazione analogica di una norma che è di stretta interpretazione, trattandosi di norma di diritto penale sostanziale.

Oltretutto, sebbene in un contesto diverso, anche la Corte costituzionale (con la pronuncia numero 352/2000 richiamata dalla sentenza in commento) ha da tempo sottolineato che non è né irragionevole né arbitraria la scelta del legislatore di adottare soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio e per la convivenza more uxorio.

Insomma: tentare di uccidere la moglie è ancor più grave che tentare di uccidere la compagna.


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