Data: 26/01/2017 16:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Dopo 85 anni la Cassa delle ammende può essere riformata: il provvedimento del ministero della Giustizia, che ne disciplina lo statuto, incassa il parere favorevole del Consiglio di Stato anche se si rendono necessarie alcune precisazioni e correzioni.

Nel parere 183/2017 (qui sotto allegato) la Sezione Consultiva per gli Atti Normativi valuta lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante lo statuto della Cassa delle ammende, che dal 1932 si occupa di disciplinare programmi di assistenza per i detenuti e le loro famiglie allo scopo di favorirne il reinserimento nella società, in attuazione del fondamentale principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, scolpito dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione.

Il Consiglio di Stato ritiene altamente apprezzabile la volontà del Ministero di provvedere finalmente, dopo un arco temporale di 85 anni, a un'effettiva riforma del sistema di finanziamento dei programmi di reinserimento in favore di "detenuti ed internati", di assistenza alle loro famiglie, di miglioramento delle loro condizioni carcerarie. 

Nel corso della pregressa dell'attività, infatti, la gestione della Cassa è stata poco efficace, soprattutto a causa dell'assenza di una strategia di base e di un'adeguata programmazione, in grado di orientare in modo unitario l'attività di finanziamento.

I profili problematici

Il primo profilo di criticità rilevato dal Collegio, concerne l'individuazione dei progetti e dei programmi finanziabili. La Cassa finanzia solo i programmi di reinserimento in favore di detenuti e internati, tuttavia, l'intento effettivamente perseguito dal Legislatore sarebbe, secondo il Consiglio di Stato, "di ben ampia latitudine e avrebbe di mira l'obiettivo di assicurare programmi di supporto in favore di tutti i soggetti i quali, a diverso modo, siano sottoposti a misure limitative della libertà personale".

Dovrebbe essere consentito, in sostanza, di erogare finanziamenti anche allo scopo di agevolare il reinserimento di soggetti sottoposti a misure alternative alla detenzione o a sanzioni di comunità o a misure di sicurezza. Così facendo l'attività della Cassa potrebbe operare ad ampio raggio, nella prospettiva di concedere misure di ausilio pubblico per finanziare interventi a favore del complesso delle persone coinvolte nel circuito limitativo della libertà personale in conseguenza di condotte penalmente illecite. 

Una modifica organizzativa che sarebbe, precisa il parere, coerente con la strategia politica seguita dagli ultimi Governi e dal Parlamento in materia di sicurezza la quale, da una precedente tradizionale prospettiva diretta al mero rafforzamento degli strumenti sanzionatori, si indirizzerebbe ora lungo la direttrice tracciata dalle Raccomandazioni del Consiglio d'Europa in favore delle sanzioni di comunità, con conseguente configurazione di pene che non contemplino soltanto la segregazione del condannato dal consorzio civile, ma che avrebbero anche l'obiettivo di recuperare il rapporto tra l'autore del reato e il contesto sociale.

Altri profili problematici individuati dal Collegio riguardano il controllo sull'attività finanziaria, posto che, nonostante la Cassa sia un ente pubblico, essa svolge comunque un'attività di erogazione di finanziamenti i cui beneficiari non sono solamente le pubbliche amministrazioni, ma anche soggetti privati; a ciò si aggiungono anche le criticità relative alla fase di monitoraggio sull'attuazione di qualunque provvedimento normativo, una volta perfezionatosi il relativo procedimento formativo. 

Infatti, si legge nel documento, interessa soprattutto che la Cassa sia efficiente ed efficace non solo nel raccogliere le entrate, ma anche nel destinarle a progetti realmente efficaci, oltre che coerenti con la complessiva strategia del recupero delle persone sottoposte a esecuzione penale.
Occorre, dunque, costruire idonei indicatori per ogni segmento della filiera dell'attività di finanziamento

La "Governance" dell'ente

Un altro tema di rilievo è quello del sistema della cd. governance dell'ente per quanto attiene, in particolare, la composizione e all'attività del consiglio di amministrazione.

Il Collegio ritiene che sia opportuno modificare, in parte, la composizione del consiglio di amministrazione, pur mantenendone il numero dei componenti, inserendovi persone che dominino saperi "non giuridici", né "amministrativi", ossia esperti in materia di psicologia, criminologia, associazionismo nel settore dell'esecuzione penale e quant'altro sia necessario per una corretta analisi delle questioni da affrontare e risolvere.

Per raggiungere questo risultato, il Collegio ritiene che almeno uno dei cinque componenti del consiglio di amministrazione (escluso il presidente) non debba appartenere ai ministeri coinvolti (lo schema ne prevede due della Giustizia, uno del Lavoro e uno dell'Economia).

Ancora, con riferimento al consiglio di amministrazione, considerandone la specifica attività di definizione delle linee strategiche di intervento, dovrà assegnarsi a tale organo anche il compito di elaborare, oltre agli indirizzi generali, anche i criteri per la verifica, nella propria sede procedimentale, dell'utilità e della congruità delle proposte pervenute.

Dell'attività compiutail consiglio di amministrazione dovrà darne conto all'esterno, ossia ai suoi interlocutori (i soggetti finanziati, il Ministero della giustizia, le altre amministrazioni, la Magistratura penale e, soprattutto, le persone sottoposte a trattamenti di rieducazione e i cittadini).

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