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Data: 02/02/2017 22:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Se la moglie svuota il conto cointestato, come dimostra la documentazione contabile fornita dalla banca, il coniuge ha diritto alla ricostituzione della comunione legale. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, sentenza n. 21004/2016, con cui il giudice capitolino ha accolto la domanda avanzata da un uomo. Questi, in regime di comunione legale dei beni con la moglie, evidenziava di aver aperto assieme alla consorte un conto cointestato destinato a raccogliere i comuni risparmi, ma, dopo qualche mese, la donna aveva svuotato il conto appropriandosi dell'intera provvista. Da qui la richiesta di ricostituzione della comunione legale che, per il Tribunale, merita accoglimento. La documentazione contabile prodotta dall'istituto di credito, quanto al conto corrente cointestato, mostra chiaramente come la donna abbia disposto il trasferimento su conti personali di tutta la provvista in contanti e titoli che, tuttavia, per i giudici va considerata parte a pieno titolo della comunione legale costituita. Il Tribunale, infatti, richiama quanto precisato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 21098/2007) circa la comunione, disciplinata dagli artt. 177 e s.s. del codice civile.La comunione legale fra coniugi "costituisce un istituto che prevede uno schema normativo non finalizzato, come quello della comunione ordinaria regolata dagli artt. 1100 ss. c.c., alla tutela della proprietà individuale, ma alla tutela della famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi nel suo ambito, con speciale riferimento al regime degli acquisti in relazione al quale la ratio della disciplina, che è quella di attribuirli in comunione ad entrambi i coniugi, trascende il carattere del bene della vita che venga acquistato e la natura reale o personale del diritto che ne forma oggetto". Dunque, se gli atti della comunione si riferiscono a beni mobili non registrati, il coniugi che li ha compiuti senza il preventivo consenso dell'altro, è tenuto a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto stesso o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell'equivalente secondo i valori correnti all'epoca della ricostituzione della comunione. Va rammentato che per la Cassazione il denaro "personale" del coniuge, quale può essere quello ottenuto da titolo di prezzo per aver alienato un proprio bene personale, "rimane nella esclusiva disponibilità del coniuge alienante anche quando esso venga, come nella specie, dal medesimo coniuge depositato sul proprio conto corrente". Questa titolarità non muta in conseguenza della mera circostanza che il denaro sia stato accantonato sotto forma di deposito bancario, giacché il diritto di credito relativo al capitale non può considerarsi modificazione del capitale stesso, né è d'altro canto configurabile come un acquisto nel senso indicato dall'articolo 177, primo coma, lettera a), codice civile, cioè come un'operazione finalizzata a determinare un mutamento effettivo nell'assetto patrimoniale del depositante" (Cass., n. 1197/2006). Sempre (e non solo) nel rapporto tra i coniugi, si è avanzata l'ipotesi che il versamento sul conto corrente cointestato potesse attuare una donazione indiretta da parte di colui che ha versato il denaro a favore dell'altro. La più recente giurisprudenza ha ritenuto che l'animus donandi non può, tuttavia, essere desunto sulla sola base della cointestazione, poiché va verificato se lo spirito di liberalità assiste o meno ogni singolo versamento (Cass., n. 809/14; Cass., n. 4496/2010; Cass., sent. 28839/2008).
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