Data: 03/02/2017 11:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Rimane la condanna per chi falsifica il pagamento del canone Rai con bollettini contraffatti. Lo ha affermato la quinta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 4852/2017 qui sotto allegata), confermando la condanna inflitta nel merito ad un 45enne per falso materiale in atto pubblico commesso dal privato (ex artt. 81, comma 2, 476 e 482 c.p.) per avere prima contraffatto due bollettini che attestavano, rispettivamente, il pagamento dell'imposta e la sanzione per il ritardato versamento (per poco più di 100 euro) e per averne fatto uso inviandoli alla Rai.

L'uomo lamentava la mancata concessione della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p.

Ma per gli Ermelini ha ragione il giudice di merito ad aver rilevato nella condotta dell'uomo una "non trascurabile capacità a delinquere" quale causa ostativa all'applicabilità della particolare tenuità del fatto. E con ciò il giudice ha inteso evocare, hanno affermato dal Palazzaccio, "non la capacità a delinquere, quale manifestazione della personalità dell'imputato medesimo, desumibile dagli elementi di cui all'art. 133, comma 2, c.p., ma gli indici di particolare tenuità del fatto indicati dall'art. 131-bis, comma 1, c.p. valutati ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p.: segnatamente le modalità dell'azione e l'intensità del dolo".

Il peculiare modus agendi dell'uomo, come dato atto nella sentenza del giudice di merito, infatti, è indubbiamente "sintomatico della significativa decettività della sua condotta, come tale idonea ed intenzionalmente diretta ad arrecare offesa non solo al bene giuridico della fede pubblica ma anche a quello del patrimonio dell'ente cui il tributo evaso sarebbe stato destinato".

Inoltre, anche volendo andare incontro alla tesi dell'imputato, sostengono dalla S.C., tuttavia la decisione impugnata va confermata sulla base di un diverso principio di diritto. Allo stesso, infatti, è contestato il delitto continuato di contraffazione di due atti fidefacenti, per cui aderendo alla giurisprudenza in materia, che ravvede nel reato continuato una ipotesi di "comportamento abituale", la stessa è ostativa al riconoscimento del beneficio. Da qui l'inammissibilità del ricorso.


Tutte le notizie