Data: 15/06/2005 - Autore: Lorenzo Ascanio
Immigrazione: profili giuridici ed economici delle cd. "macellerie islamiche" Per poter affrontare il tema della condizione giuridico ? economico sociale dell'immigrato musulmano in un contesto Italia, occorre iniziare dalla descrizione del pi� generale istituto dell'immigrazione, partendo da una sua attenta analisi economica e sociologica, per poi affrontare il particolare, curioso e certo rilevante fenomeno della costituzione delle cosiddette "macellerie islamiche". Tra le cause dei fenomeni migratori ? oltre alle teorie sociologiche di cui brevemente accenner� ? la liberalizzazione economica degli ultimi dieci anni ha sicuramente assunto una decisiva chiave di lettura al fenomeno; in effetti se sempre maggiori risultano essere il movimento di capitali, la conclusione di investimenti e l'internazionalizzazione delle imprese, che ha accresciuto la circolazione dei beni all'interno del mercato internazionale, � altrettanto cresciuta la circolazione dei servizi con organizzazioni fondate su alti capitali. All' interno di questa evoluzione economica ? che ha portato il mercato internazionale a coniare il termine "globalizzazione" ? esiste una variabile economica definita "persona", "uomo" che si fonda su un antico principio giuridico che stabilisce la libert� per ogni Stato nazionale di decidere la propria politica immigratoria ovvero di decidere chi fare entrare o meno nel proprio territorio. Ogni Nazione � libera dunque di decidere il livello di flussi di ingresso sul territorio e con quali norme regolarlo; ma oggi questa regola sembra essere superata dall'esperienza comunitaria in atto, poich�, se � vero che gli stati adottano Leggi sull'immigrazione differenti tre loro, � altrettanto vero che principi fondamentali in materia di libert� di movimento e di lavoro sono da tutti gli ordinamenti dell'Unione Europea accettati e difesi. La libera circolazione dei beni nel mercato internazionale ha chiaramente comportato la libera circolazione delle persone, anzi dei lavoratori , categoria a cui � concessa tale libert�, anche se oggi, attraverso l'interpretazione "estensiva" del termine la Corte di Giustizia non manca di equiparare persone e lavoratori per quanto riguarda la loro libera circolazione. Dunque in un contesto di unione economica come l'Europa, la persona e il suo movimento all'interno di Essa ( soprattutto se proviene dall'esterno) assume un valore fondamentale ma allo stesso tempo non ci si pu� non fermare a riflettere su determinanti fattori sociali legati alle motivazioni personali di spinta alle migrazioni che, per evidenti ragioni, si intrecciano con i principi di "globalizzazione" economica; se infatti � vero che il processo di internazionalizzazione e il tasso di continuo "interscambio planetario" non si arresta ed � sempre pi� coinvolgente, altrettanto non si pu� negare che il fattore dell'immigrazione � da un lato legato indissolubilmente a tali fenomeni, dall'altro contiene in s� variabili che non sempre possono essere inquadrabili in una lettura economica. L' immigrazione porta con s� non solo forza lavoro ma pone le pi� disparate culture a confronto, abitudini etniche faccia a faccia, con la eventuale conseguenza che ci� porti a scontri o ad incontri: per ci�, oltre che inquadrare lo studio del fenomeno immigratorio sotto un ottica economica, occorre primariamente teorizzare i motivi per i quali uno, pi� soggetti, addirittura popoli decidono di abbandonare la propria terra d' origine e analizzare la situazione del paese d' arrivo a contatto con lo straniero in uno studio bifasico e integrato. I movimenti migratori sono, soprattutto in sociologia, considerati una delle prime cause del mutamento di una societ�; tutti i pi� recenti movimenti migratori riguardano determinate aree del pianeta coinvolte in questo fenomeno per motivi sia economici sia geografici . Qualsiasi spostamento di massa sia interterritoriale sia internazionale provoca uno squilibrio dello status di una comunit� che deve confrontarsi con " i nuovi arrivi", anch' essi portatori attivi di un personale modus vivendi. Procedendo con un metodo sociologico - economico, un primo livello di studio, tendente a evidenziare le cause dell' immigrazione, distingue due piani, il primo" sociale" , il secondo "spaziale": - il piano sociale prende in esame sia il numero di migranti distinguendo tra migrazioni individuali, famigliari, di gruppo o di massa sia il periodo di permanenza (migrazioni pendolari, stagionali, temporanee e definitive) sia il motivo, differenziando tra " labour migrations ( migrazioni per motivi di lavoro) e not labour migrations ( migrazioni non per motivi di lavoro; trattasi di una clausola generale che pu� comprendere svariate cause di partenze) . All' interno delle labour migrations in sociologia si classificano i settori e livelli delle qualificazioni professionali: forza lavoro generica, tecnici, imprenditori e professionisti; proprio la scienza economica ha teorizzato come variabili fondamentali che assurgono a ruolo di concause delle motivazioni di immigrazione per prima la diversificazione e riduzione dei rischi, ovvero la figura dell' homo oeconomicus, poi la deprivazione relativa, cio� il confronto dei redditi salariali con quelli del gruppo di riferimento, infine la conoscenza asimmetrica delle informazioni che impedisce un preciso confronto con i livelli salariali e produttivi dei mercati del lavoro stranieri rispetto a quelli di origine allo scopo di valutare esattamente l' utilit� della scelta migratoria. Tra le altre, una caratteristica del piano sociale di primaria importanza, specie riguardo le migrazioni da paesi poveri o in via di sviluppo a quelli pi� ricchi, � stata denominata " brain drain" ( fuga dei cervelli) ovvero l' esodo dei cosiddetti lavoratori individuali; in particolare questo fenomeno, segna la perdita di risorse umane qualificate da parte di un paese a causa di fenomeni migratori. - Il secondo piano in esame, quello spaziale, � suddiviso in due tipologie di migrazioni, quelle interne e quelle internazionali; queste ultime a loro volta sono distinte in "incentivate" e in " disincentivate" a seconda dell' indirizzo politico ? amministrativo che il paese ospitante segue rispetto alla promozione di specifiche scelte di richiamo della forza ? lavoro straniera. L' orientamento giuridico -amministrativo fa notevolmente variare la condizione dell' immigrato che pu� essere considerato: regolare ( non vincolato rispetto al soggiorno e alla tipologia di lavoro), irregolare (soggiorno o attivit� lavorativa illecita) ,clandestino ( ingresso illecito) . Oltre alle citate teorie, l' ormai intera dottrina sociologica, senza molte diatribe in argomento, afferma che ogni movimento migratorio contiene in s� sia ragioni oggettive ( spesso di costrizione dovute a persecuzioni razziali o religiose) definite convenzionalmente "push factors", sia ragioni soggettive ( come, ad esempio, il gi� citato caso del "brain drain" ) chiamate "pull factors" . Queste due cause sono spesso legate non solo dalla prevalenza dei fattori di spinta nelle zone di provenienza dei flussi legati alla fortissima pressione demografica e ai consistenti differenziali di reddito tra nord e sud, per quello che riguarda ad esempio le zone del bacino del mediterraneo in cui sono coinvolti i paesi sud europei come l'Italia, ma anche da politiche legislative deboli che causano fenomeni consolidate di immigrazione irregolare. E' anche in questo ambito, oltre che in altri, che pu� essere letto l' insegnamento di Parson il quale stabilisce che il cuore dell' integrazione di un sistema sociale risiede nel sistema normativo e nel complesso e nei meccanismi del controllo sociale. Sempre le teorie sociologico ? economiche hanno poi analizzato le conseguenti dinamiche "post ? arrivo" per comprendere le reali cause dell'immigrazione in un determinato territorio; cos� la "scuola di Chicago" negli Stati Uniti degli anni '20, guidata dal suo massimo esponente Robert Ezra Park, focalizz� come problema dell'immigrazione il livello di integrazione e stabil� quattro processi principali di relazioni tra culture e gruppi diversi : - processo biologico di amalgama (amalgamation); - processo sociale di accomodamento (accomodation); - processo sociale di assimilazione (assimilation); - processo culturale di acculturazione (acculturation) . Secondo Park, lo svolgimento di questi quattro processi porta ad una convergenza di culture con differenze tra loro sul piano sociale e religioso, in un' unica grande cultura, il cui fenomeno � definito con la metafora "melting pot" , enorme contenitore che racchiude in s� svariati tipi di culture confuse tra loro in " un minestrone dall'unico sapore"; il melting pot � "il processo attraverso il quale la cultura di una comunit� o di una nazione � trasmessa ad un cittadino " adottivo" e nel quale i gruppi e gli individui vengono incorporati in una comune vita sociale e culturale". In questo quadro rientra anche l' intuizione di Parson del modello AGIL, ovvero lo studio della societ� in base a quattro dimensioni in relazione tra loro: - dimensione A (adattamento, autonomia di una societ�); - dimensione G (conseguimento degli scopi e capacit� di agire in modo unitario); - dimensione I (integrazione tra gli individui di una determinata popolazione); - dimensione L (latenza, funzioni di riproduzione della societ� in cui convergono cultura, costumi) . Sempre appartenente alla scuola di Chicago, pi� giovane del Professor Park, Fredrik Barth tent� di innovare la teoria del " melting pot", intuendo che il fenomeno immigratorio non necessariamente dovesse portare ad una generale assimilazione in un unico " grande pentolone" , bens� la conseguenza avrebbe potuto essere una maggiore ridefinizione dei propri confini etnici distintivi, data da una scelta di convenienza rispetto all' ambiente di arrivo. Barth contribu� quindi al passaggio dal concetto di " melting pot" all' efficace metafora della " salad bowl", in cui ogni differenza sociale, etnica, religiosa convive con l' altra difendendo e differenziando nei tratti essenziali la propria identit� e specialit� in una convivenza comune. antagoniste annullando di fatto e ponendo in un secondo piano la differenziazione etnico- culturale. Ma queste due scuole, celebri e in certi casi ancor oggi condivisibili, devono tener conto della realt� che vede sempre di pi� atteggiamenti diversi dei vari gruppi rispetto al loro inserimento nella societ� di arrivo. Esistono comunit� pronte e tese ad un totale inserimento nei meccanismi dello stato ospitante, altre invece rifiutano il processo di "amalgamation" in difesa della propria storia, della religione, della lingua . Credo infatti che le celebri scuole americane del melting pot non tengano conto di un "revival etnico" capace invece ,anche se in un contesto di minoranza, di non lasciarsi omologare ma addirittura di rivendicare uno spazio sociale autonomo, originale e impostato secondo la cultura di origine. Il soggetto migrante � infatti di solito inserito in uno o pi� "social networks" riconducibili alle differenti nazionalit� degli immigrati o appartenenti a elementi comuni dei gruppi come sangue, amicizia, etnia e religione. I neworks fungono da richiamo per coloro che successivamente decidono di migrare nel paese in cui i primi si sono stabiliti; perci� questo metodo � fondamentale per capire, rispetto alle cause dei flussi migratori, sia quale possa essere una lettura completa dei motivi di spinta e desiderio nel migrare, sia quali siano i "social networks" di riferimento, ovvero i legami tra determinate persone che stabiliscono e interpretano specifici e peculiari comportamenti sociali dei soggetti coinvolti. Questo passaggio � fondamentale per cogliere la vera dinamica del processo di integrazione dell' immigrato nel paese ospitante poich� la vita di relazioni sociali non pu� essere un elemento dal quale prescindere; il profilo economico e i suoi vantaggi, le condizioni lavorative, la democraticit� del paese di arrivo, non sono sufficienti per impostare una politica di integrazione se essa non � supportata da un attento studio sull' appartenenza ad un gruppo e sulle relazioni sociali dei membri relative a momenti della vita quotidiana, come il matrimonio, il rapporto di amicizia, l' aiuto reciproco . Il metodo descritto offre inoltre la possibilit� di verificare come i gruppi di immigrati uniti da determinati social networks si evolvano in proporzione alle generazioni che si succedono sullo stesso territorio ospite; infatti dopo il primo periodo definibile di ambientamento nella nuova societ�, vengono programmati ulteriori spostamenti per raggiungere il luogo pi� consono alle in base alle esigenze della rete sociale di riferimento; successivamente il secondo periodo vede un contatto diretto con l' ambiente esterno del paese ospite sotto le forme pi� disparate di aggregazione e di rappresentanza con confini netti perdendo buona parte di quegli aspetti iniziali legati a strutture familiari o puramente territoriali; lo strumento del network � quindi fondamentale per riunire la teoria "micro" delle migrazioni fondata sulle scelte individuali prese dal soggetto con la teoria "macro" basata su fattori interni e internazionali. Proprio grazie a questa valorizzazione del fattore sociale come variabile indispensabile per lo studio dei processi migratori, anche gli economisti, strenui difensori del valore puramente economico attribuibile al "capitale umano" dell'immigrato, hanno invertito la rotta passando ad una visione del fenomeno come imprescindibile dalle relazioni sociali fondamentali per il raggiungimento di un determinato obiettivo; si passa cos� da capitale umano a capitale sociale , concetto che racchiude tutte le motivazioni descritte riguardo i networks, incluse quelle economiche. Dalla teoria dei social networks discende inevitabilmente uno degli elementi caratterizzanti l' unit� dei gruppi immigrati, l' etnia, concetto dato troppo per scontato e assimilato in un' idea pi� generica di fraternit� dalle dottrine classiche legate a Marx e Durkheim, rivalutato invece dalle teorie antropologiche culturali e etnologiche le quali hanno coniato l' istituto di identit� etnica come fattore di coesione di un gruppo sociale " i cui membri condividono un senso di origini comuni, rivendicando un passato storico e un destino comune e distintivo, possiedono uno o pi� attributi peculiari e percepiscono un senso di unit� collettiva e di solidariet�[?] Un gruppo etnico ( si pu� appunto parlare di rete etnica) � quindi caratterizzato da quattro attribuzioni: - il senso delle origini specifiche del gruppo; - la conoscenza di un passato storico ben definito del gruppo e la credenza nel suo destino; - una o pi� dimensioni di individualit� culturale collettiva e per ultimo un senso di singolare solidariet� comunitaria". Secondo l' etnologia infatti l' individuo non nasce solo, ma portatore di tratti di identit� di base di gruppo che sono: caratteristiche fisico somatiche; i beni comuni del gruppo, un nome individuale e uno familiare da cui discendono la storia, l' origine del gruppo; la religione e i relativi costumi ( come battesimo o circoncisione) che introducono l' individuo singolo nel gruppo. Lo studio dell? identit� etnica � da alcuni autori descritto pi� criticamente partendo dall' analisi di due fattori inerenti il gruppo etnico: il primo riguarda la condivisione di modelli di comportamento normativo, la seconda � relativa all' appartenenza ad una popolazione pi� grande e l' interazione con persone provenienti da altre collettivit� nel contesto di un sistema sociale comune; Cohen (1974), attraverso questi fattori, stabilisce che l' etnicit� debba essere "legata al grado di conformit� da parte dei membri della collettivit� alle norme condivise nel corso dell' interazione sociale", per cui l' identit� etnica assume una veste politica con un preciso scopo e un determinato interesse. Tra i tentativi di un melting pot completamente fallito ( basti pensare all' esperienza americana in cui nella speranza di una nascita di un' identit� nazionale grazie al mescolamento di culture si � giunti prima al genocidio degli Indiani d' america poi al razzismo verso i neri dell' africa, causa di un evidente ghettizzazione) emerge dunque una "rinascita etnica" ; proprio riguardo a ci� la sociologia delle migrazioni non pu� non prescindere da un elemento fondamentale di identit� etnica e a volte motore centrale dei social networks: il fattore religioso. Il tema religioso risulta infatti fondamentale per rimanere fedeli al proseguimento di questa indagine che, riguardando il fenomeno islamico, ha chiaramente e unicamente connotazioni confessionali. Proprio la sociologia classica ci insegna che dal cosiddetto studio di un fenomeno secondario o deviante si pu� cogliere l' aspetto " normale" del sistema; infatti per studiare lo stato della salute occorre partire e analizzare le patologie, per cogliere la situazione famigliare si possono indirizzare le indagini sui divorzi e cos� via . La religione pu� essere quindi essere considerata come un fattore secondario ( in certi casi deviante) attraverso cui cogliere la condizione di una nazione alle prese con il problema immigratorio e pu� essere l' inizio, lo spunto di un dialogo per lo studio di una buona integrazione . Non a caso Compte, Durkheim, Weber, considerati i pionieri della sociologia classica, studiarono per molti anni il fenomeno religioso, pur non appartenendo ad alcuna confessione ma percependone l' importanza Certo � vero che nel periodo storico di studio dei maestri citati la situazione era ben diversa rispetto a quella attuale: lo stato coincideva con un solo territorio e una sola religione e una sola societ�; � toccato al sociologo Berger introdurre in materia il concetto di pluralismo religioso, inteso per� come l' aumento di religioni e quindi la crescita di offerta religiosa; lo stesso Berger dichiarava che "il pluralismo indebolisce tutte le certezze" poich� nulla sembrerebbe essere certo e scontato nella ricerca dell'universale. L' offerta religiosa � certamente un fattore fondamentale per questo studio,vista la crescita del numero di "nuove "religioni come lo shinto, i sikh, l' animiamo, i testimoni di Geova, oltre le " vecchie" dottrine come il Cristianesimo, l'ebraismo, l' islam, l' ortodossia ecc., ma non si pu� per� prescindere dalle dimensioni della "domanda religiosa" , ovvero la richiesta soggettiva di ogni individuo appartenente ad una societ� di professare la propria fede, con tutto ci� che comporta questa istanza: luogo di culto, riconoscimento delle festivit�, associazionismo . E quando " nuove" e " vecchie" religioni sono importate nel nostro paese dagli immigrati che nella loro valigia, oltre ai motivi di lavoro, alla sicurezza economico- sociale dello stato ospitante tengono anche la "domanda"della propria confessione? La religione dunque opera nel contesto immigratorio come fattore sia personale sia sociale: il fattore confessionale assurge in prima istanza come dato del capitale umano del singolo sia come elemento del capitale sociale dell' immigrato. Il soggetto infatti forma la propria identit� distinguendosi dagli altri e mantenendo una continuit� con s� stesso con una costante esigenza di essere riconosciuto dagli altri. L' identit� religiosa � quindi una risorsa a cui l' individuo fa riferimento quando avverte il disagio di avere a che fare con la proposta di un ? altra identit�, con valori diversi da quelli che l' individuo ha assimilato nel suo processo di assimilazione, ovvero emerge la sua identit� quando si trasforma in " minoranza". In questo contesto, la sociologia in materia � solita centrare il problema sulla famiglia come fase di " socializzazione primaria", che si compie nei primi anni di vita di uno straniero immigrato; rispetto alla "socializzazione secondaria" invece, i fattori possono essere molteplici; nel nostro caso assume rilevanza l' appartenenza alla comunit� d' origine, un fattore su cui negli ultimi dieci anni si sono ravvisate varie teorie sulla sua funzione: alcune di esse hanno ravvisato un nesso tra la comunit� d' origine e il concetto di eticit� utilizzato per designare il sentimento di appartenenza ad un gruppo etnico o la condizione di essere etnici. Recenti studi , facendo rientrare l' elemento religioso nel pi� generale concetto di etnicit�, riguardo la " prima e seconda generazione", hanno osservato che l' identit� etnica non � solamente espressione di un atteggiamento difensivo bens� assume una valenza "simbolica" perch� viene meno la rivendicazione di uno specifico territorio dove l ?immigrato chiede di poter vivere per realizzare a pieno uno stile di vita il pi� vicino possibile all' originario. La famiglia in questo contesto impartisce al bambino immigrato un' educazione mista in cui emerge da un lato un modello basato sulla cultura del paese di origine, spesso non riproducibile, dall' altro un esempio legato a ci� che i genitori stessi hanno assimilato nel paese d' arrivo. La seconda generazione ( "socializzazione secondaria" ) , vede invece lo scontro tra le due culture, quella del paese di partenza con quello di arrivo, in cui i ragazzi e le ragazze ricevendo o subendo un processo di assimilazione o acculturazione, reagiscono o amalgamandosi o esiliandosi. Parte II
L'apertura di macellerie islamiche in contesto immigrato
"vi sono interdetti gli animali morti di morte naturale, il sangue e la carne del maiale, gli animali su cui sia stato invocato all'atto dell'uccisione un nome diverso da quello di Dio, gli animali soffocati, ammazzati a colpi di bastone, morti per caduta o per colpi di corna, quelli che bestie feroci abbiano divorato in parte" (Corano V, 4). Per ovvie ragioni di sintesi dovute ai molti interventi previsti in questo convegno, mi sforzer� di definire, seppur brevemente, quali sono le principali peculiarit� dell'apertura in contesto immigrato di macellerie islamiche; pertanto � indispensabile partire da alcuni rilievi storico religiosi. Le prescrizioni alimentari furono rivelate al Profeta Muhammad a Medina, dopo la sua partenza dalla Mecca, nel 622 e a parte qualche eccezione, ripropongono gli usi e i costumi antichi degli arabi. La normativa alimentare rappresenta per i musulmani un modello di comportamento universalmente accettato ed un importante fattore di identificazione con la comunit�. Nel pensiero islamico il cibo � una grazia divina ; il Corano ne salta i valori benefici e invita l'uomo a mangiare le cose buone e di conseguenza lecite (halal) che Dio ha creato per lui e ad astenersi da quelle interdette (haram), in quanto impure. In generale tutti i cibi sono permessi, tranne la carne di maiale, il sangue versato e gli animali non macellati secondo il metodo rituale: �Io non trovo in quel che mi � stato rivelato nessuna cosa proibita a un gustante che voglia gustarla, eccetto bestia morte, sangue versato o carne di porco, ch� questo � sozzura, o animali macellati su cui sia stato invocato altro nome che quello di Dio� . Nel Corano si enfatizza il fatto che Dio non intende imporre ai suoi fedeli oneri che essi non possano sopportare, contrariamente a quanto �, invece, stabilito per gli ebrei, per i quali le proibizioni alimentari sono sentite come una punizione divina per i peccati commessi. Lo stesso digiuno che i musulmani devono praticare nel mese lunare del Ramadan e che costituisce il quarto pilastro dell'Islam, non rappresenta una penitenza, ma una purificazione votata al risveglio della spiritualit�. L'Islam non � un sistema religioso improntato all'abnegazione o al sacrificio per l'espiazione dei peccati, per cui anche dal punto di vista dell'alimentazione non � molto appropriato parlare di "divieti", quanto piuttosto di prescrizioni aventi una certa razionalit�, per quanto "divina". Partendo dal tab� del maiale e da tutti i suoi derivati (non bisogna infatti dimenticare lo strutto, ingrediente base di molti cibi occidentali ed italiani), questo ha una motivazione di tipo igienico: l'animale in questione, infatti, ha abitudini immonde, quali la coprofagia o il cibarsi di rifiuti in genere. Le sue carni potrebbero di conseguenza divenire veicolo di malattie per l'uomo. Vi sono anche altre spiegazioni relativamente a questa prescrizione coranica, quali la natura demoniaca dell'animale o,al contrario, il valore sacro che il maiale aveva presso alcuni antichi popoli dell'Asia Minore o dell'Africa , ma la prima � sicuramente la pi� accreditata, anche perch� consente di non escludere tutta una serie di considerazioni di carattere antropologico. E' stato, infatti, messo in rilievo come, fin dalla preistoria, l'allevamento del maiale sia legato alla sedentarizzazione, in quanto non producendo lana n� latte, mal si adattava alle esigenze delle popolazioni nomadi delle regioni aride e semi-aride dell'Asia. Nel clima torrido di queste regioni, tra l'altro, il maiale difficilmente sarebbe potuto sopravvivere alla mancanza d'acqua a causa della disidratazione troppo rapida della pelle, per cui sorgono dubbi persino sul fatto che il maiale potesse far parte degli animali allevati dagli arabi delle comunit� pre-islamiche. A questo proposito � interessante la posizione del direttore del Centro di cultura islamica di Bologna . Secondo la sua opinione di musulmano, il divieto coranico relativo alla carne di maiale ha una sua ragion d'essere soprattutto ai giorni nostri. Infatti perch� proibire le carni di un animale che all'epoca del profeta Muhammad non si era soliti, tra gli arabi, allevare e mangiare? Dio avrebbe insomma ispirato nel profeta una simile prescrizione in previsione della diffusione dell'Islam e del suo incontro con altre civilt� caratterizzate da usanze diverse: una sorta di regola data ai musulmani per gestire la convivenza in situazioni e contesti differenti da quelli originari. Inoltre, il direttore ha tenuto a precisare che il musulmano non deve interrogarsi troppo sul perch�, ma deve limitarsi a fare come prescritto, nella consapevolezza che Dio ha previsto tutto per il bene dei suoi fedeli: il fatto che la carne di maiale possa recare nocumento all'organismo dell'uomo lo confermerebbe. Per rendere meglio comprensibile la sua posizione, il direttore ha anche riportato un aneddoto: durante un periodo di degenza in ospedale, essendo musulmano, aveva espressamente richiesto l'esclusione del maiale dai suoi pasti, ma accanto a lui c'era anche un altro paziente al quale il maiale era stato proibito, ma non da Dio (non si trattava di un musulmano), n� per motivi religiosi, bens� dal medico e per motivi di salute! Per quanto riguarda gli altri animali, questi, sulla scorta delle prescrizioni coraniche e della tradizione profetica, sono stati divisi dalle scuole giuridiche islamiche in tre categorie: animali leciti (halal), proibiti (haram) e riprovevoli (makruh). Si tratta, tuttavia, di una classificazione che risente delle divergenze esistenti tra queste scuole tradizionali dell'Islam , divergenze che, � opportuno precisarlo, nascono non in relazione ai principi fondamentali del diritto islamico, ma dall'applicazione di questi ultimi a situazioni concrete, a esigenze della vita quotidiana, come nel caso dell'alimentazione. In linea generale, sono leciti, in base al passo coranico �vi sono permesse le cose buone� (Cor. V, 4), gli animali le cui carni sono gradevoli al gusto (pollame, ovini, bovini, ecc.), mentre sono vietati gli animali la cui carne risulta disgustosa. In base ad una tradizione del Profeta che divide i quadrupedi in prede e predatori, sono leciti i primi e lo stesso criterio viene applicato agli uccelli a ai pesci. Questi ultimi sono leciti e possono essere mangiati anche se trovati morti sull'acqua, in base al passo coranico �V'� lecita la pesca e il cibo che il mare contiene� (Cor. V, 96). Sono, tuttavia, considerati proibiti o riprorevoli i crostacei e i mitili. Tra gli animali domestici sono generalmente considerati leciti gli equini e proibiti gli asini. Tutti gli animali leciti devono essere alimentati con mangimi puri: qualora si cibino occasionalmente di sterco, prima di consumarne la carne o i prodotti, devono essere sottoposti ad un periodo di quarantena. Un altro peculiare divieto � quello relativo alla degustazione del �sangue versato� (Cor. VI, 145). La prescrizione ha un valore simbolico: il sangue, identificato con la vita stessa dell'animale, non deve essere mangiato per mettere in evidenza l'assoluto dominio di Dio su ogni essere vivente. Un'eccezione � fatta per il fegato e la milza, ritenuti coaguli di sangue, in quanto considerati leciti dal Profeta stesso. I cibi che per se stessi sarebbero puri, possono essere contaminati dal contatto con un animale o una sostanza impura. L'impurit� del sangue mestruale (Cor. II, 222) porta alla conclusione che non solo � impura la carne della femmina di animale mestruata, ma che anche la donna mestruata pu� contaminare le vivande che prepara. Per quanto riguarda le bevande, sono proibite tutte quelle che hanno potere inebriante, in primo luogo il vino. Ci� non era inizialmente nelle intenzioni del profeta , ma le intemperanze commesse da alcuni suoi seguaci lo indussero a cambiare idea: �O voi che credete! In verit� il vino, il maysir, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono sozzure, opere di Satana?� . Una interdizione cos� netta ha spinto la giurisprudenza ad elaborare una serie di norme collaterali che proibiscono per analogia l'uso di droghe e sostanze stupefacenti, nonch� la compravendita di alcolici. Il divieto di consumare alcolici � valido anche nei casi di necessit�, a differenza di quanto il Corano stabilisce per tutti gli altri cibi haram: �Quanto poi chi vi � costretto per fame e senza volontaria inclinazione al peccato, ebbene Dio � misericordioso e pietoso� . A suggello di questa elencazione di divieti � opportuno proporre le parole tranquillizzanti di Tariq Ramadan, autorevole islamologo molto noto in Europa, per chiarire che l'Islam � comunque un sistema che non opprime lo spirito creativo del credente, del quale non mira assolutamente a mortificare l'esistenza, soprattutto nel confronto e nella convivenza con gli "altri": �Certo c'� la preoccupazione di rispettare quello che � effettivamente proibito e quello che non lo �. Ma l'ossessione della purezza fino a torturarsi lo spirito non traduce l'orientamento degli insegnamenti dell'Islam. Bisogna restare esigenti, ma sempre in equilibrio tra l'intenzione sincera di fare il proprio meglio e la necessit� di non appesantire inutilmente la vita quotidiana con regole insormontabili� . Il rituale della macellazione della carne halal (consentita), � un metodo coranico che impone una specifica tecnica di produzione di alimenti provenienti da bovini. Il problema rispetto a questa tradizione viene a galla nell' ambito dell' immigrazione posto che, giunti ormai alla terza generazione, gli stranieri di fede islamica sono pienamente entrati nel circuito della piccola impresa cittadina attraverso l' apertura e la gestione di esercizi commerciali ormai numerosi e perlopi� fondati sulla vendita di prodotti tipici, in questo caso etnici. Rispetto al fenomeno dell' imprenditoria musulmana, sarebbe sociologicamente interessante stabilire le reali motivazioni di spinta all' apertura di tali esercizi; una via potrebbe essere quella del mancato inserimento dell' immigrato che per reazione e per un eccessivo attaccamento alle proprie radici apre un esercizio capace di coinvolgere e di attirare altri stranieri della stessa fede; l' altra via possibile vedrebbe l' immigrato inserito anche nel contesto economico imprenditoriale fino al punto di accettare il rischio di mettere sul mercato prodotti che, oltre a rendere noti usi e costumi propri dell' Islam, potrebbero avere successi commerciali; si pensi al cus ? cus o al quebab. Le macellerie islamiche si fondano totalmente sulla tecnica di macellazione il cui principio � estrapolabile dal Corano stesso: "vi sono interdetti gli animali morti di morte naturale, il sangue e la carne del maiale, gli animali su cui sia stato invocato all'atto dell'uccisione un nome diverso da quello di Dio, gli animali soffocati, ammazzati a colpi di bastone, morti per caduta o per colpi di corna, quelli che bestie feroci abbiano divorato in parte" (Corano V, 4). La macellazione rituale consiste nello sgozzare, in nome di Dio, un animale la cui carne � permessa" . Montoni, pecore, capre, caproni, galline, polli ed altri gallinacci devono essere necessariamente sgozzati e non uccisi con un pugnale; i bovini possono invece essere sgozzati o pugnalati. E' proibita la carne di tutti i carnivori e di tutti i rapaci, quella degli asini domestici e dei muli. Per la macellazione rituale la bestia deve essere sdraiata sul lato sinistro, con la testa rivolta verso la Mecca, con le gambe legate, ad eccezione di quella posteriore. La testa viene prima sollevata con la mano sinistra e poi recisa con utensile affilatissimo e con un unico taglio da sinistra a destra che non deve intaccare la spina dorsale e non deve essere ritirata. La morte avviene per recisione di trachea, esofago e vena giugulare, e per dissanguamento. Se la bestia non muore subito � considerata non pi� macellabile. Al macellaio viene richiesto di essere pubere o in et� di ragione, ed essere in possesso delle sue facolt� mentali mentre, almeno teoricamente, non � un ostacolo se � donna, cristiano o ebreo; per ogni bestia uccisa, va sempre calcolata una quota di denaro per lui. Il macellaio deve recitare la formula "Bismillah Allahu Akbar" al momento del taglio che avviene con la mano destra, avendo cura di far cadere la testa dell'animale verso la Mecca: per questa sua funzione qualcuno addirittura lo considera "un imam un po' particolare". Il sangue dell'animale viene ovviamente buttato via e la bestia stessa viene messa "a sgocciare" per qualche tempo. Infine, per garantire che l'uccisione � realmente avvenuta secondo rituale, la carne viene timbrata in modo appropriato. In materia di macellazione e del pi� generale trattamento degli animali sottoposti all'uccisione a fini alimentari, la legislazione nazionale ha visto continui mutamenti in materia a partire da quella che per lungo tempo era rimasta la normativa di riferimento, il r. d 21 luglio 1927, n. 1586 in cui all' articolo 9 si stabiliva che la macellazione degli animali doveva essere adottata con procedimenti finalizzati alla rapidit� della morte dell' animale come apparecchi esplodenti a proiettile captivo o con la enervazione, cio� la recisione del midollo allungato; immediatamente dopo tale operazione doveva seguire la recisione dei grossi vasi sanguigni del collo per l' ottenimento della dissanguazione; tutte le operazioni venivano eseguite da personale di sicura abilit� autorizzato. Nel 1974, con direttiva numero 577, la Comunit� europea interveniva in materia, stabilendo un criterio generale per tutti i paesi membri per evitare disparit� tali da compromettere direttamente il funzionamento del mercato comune e per definire limitazioni a comportamenti crudeli nei confronti degli animali attraverso lo strumento dello stordimento obbligatorio prima di procedere alla macellazione ; la nota innovativa si rinveniva all' articolo 4 in cui si trovava la presenza di deroghe, sempre se ritenute opportune, per tipologie di macellazione rituale, basata su una certa prescrizione dettata dal culto, le quali avrebbero potuto evitare la suddetta fase dello stordimento. Il Parlamento si adeguava alla Direttiva, ricalcandone il contenuto delle disposizioni, con la Legge n. 439 del 1978, mentre dopo due anni il Governo recepiva le deroghe riguardanti i metodi rituali con il Decreto Ministeriale (innovativo e sorprendente visto il periodo non certo caratterizzato dal fortissimo ingresso musulmano nel territorio) 11 giugno 1980 dal titolo " autorizzazione alla macellazione degli animali secondo i riti religiosi ebraico ed islamico". In questo Decreto spiccano le seguenti condizione delle deroghe: "Articolo 1 : Si autorizza la macellazione senza preventivo stordimento eseguita secondo i riti ebraico ed islamico da parte delle rispettive comunit�. Articolo 2 : La macellazione deve essere effettuata da personale qualificato che sia perfettamente a conoscenza ed addestrato nell'esecuzione dei rispettivi metodi rituali. L'operazione dovr� essere effettuata mediante un coltello affilatissimo in modo che possano essere recisi con un unico taglio contemporaneamente l'esofago, la trachea ed i grossi vasi sanguigni del collo. Articolo 3 : Nel corso della operazione debbono essere adottate tutte le precauzioni atte ad evitare il pi� possibile sofferenze ed ogni stato di eccitazione non necessario. A tal fine gli animali debbono essere introdotti nella sala di macellazione solo quando tutti i preparativi siano stati completati. Il contenimento, la preparazione e la iugulazione dei medesimi debbono essere eseguiti senza alcun indugio" . Il Decreto attribuiva grande rilievo alle prescrizioni islamiche ( ed ebraiche) in concordia con la Cee, provocando inevitabili, e in alcuni aspetti giustificati, obiezioni sopite nel tempo e riemerse con l' emanazione di una nuova direttiva Cee nel 1993 sul tema, recepita dall' Italia solo nel 1998 con il Decreto Legislativo n. 333 in cui vengono decisamente stabiliti i metodi leciti per la macellazione; questi che seguono sembrano le novit� pi� importanti apportati dalla nuova normativa. Definizione dei termini ( articolo 2) : " immobilizzazione: qualsiasi sistema inteso a limitare i movimenti degli animali per facilitare uno stordimento o abbattimento efficaci; stordimento: qualsiasi procedimento che, praticato sugli animali, determina rapidamente uno stato di incoscienza che si protrae fino a quando non intervenga la morte; abbattimento: qualsiasi procedimento che produca la morte dell'animale; macellazione: l'uccisione dell'animale mediante dissanguamento; autorit� competente: il Ministero della sanit�, il servizio veterinario della regione o provincia autonoma, il veterinario ufficiale quale definito all'articolo 2, comma 1, lettera g) , del decreto legislativo 18 aprile 1994, n. 286, e successive modifiche; tuttavia per le macellazioni secondo determinati riti religiosi, l'autorit� competente in materia di applicazione e controllo delle disposizioni particolari relative alla macellazione secondo i rispettivi riti religiosi � l'autorit� religiosa per conto della quale sono effettuate le macellazioni; questa opera sotto la responsabilit� del veterinario ufficiale per le altre disposizioni contenute nel presente decreto. I titolari degli stabilimenti di macellazione presso i quali si intende macellare secondo determinati riti religiosi comunicano all'autorit� sanitaria veterinaria territorialmente competente, per il successivo inoltro al Ministero della sanit�, di essere in possesso dei requisiti prescritti" . Rimane la deroga rispetto alla macellazione rituale esposta nell' articolo 2, poich� il decreto stabilisce che le disposizioni riguardanti l' obbligo di stordimento "non si applicano alle macellazioni che avvengono secondo i riti religiosi". Le operazioni di trasferimento, stabulazione, immobilizzazione, stordimento, macellazione o abbattimento di animali possono essere effettuate solo da persone in possesso della preparazione teorica e pratica necessaria a svolgere tali attivit� in modo umanitario ed efficace. Il personale che esegue le operazioni relative allo stordimento deve essere in possesso di un adeguato grado di qualificazione attestato dalla azienda unit� sanitaria locale competente anche attraverso appositi corsi di formazione. Questo il quadro legislativo di riferimento; parallelamente, le associazioni islamiche italiane, nelle bozze di intesa, proclamano una conquista gi� avvenuta nel 1980, e utilizzano tale vittoria nelle richieste di tutela delle prescrizioni religiose: l' articolo 6 della bozza d' intesa dell' UCOII stabilisce che " la macellazione eseguita secondo il rito islamico continua ad essere regolata dal decreto ministeriale 11 giugno 1980, in conformit� alla legge e alla tradizione islamica", fondando tale convinzione sul fatto che da un lato dal 1980 ad oggi nessun intervento ministeriale in materia ha mutato il contenuto di quello originario, dall' altro il decreto legislativo del 1998 sembra palesemente ricomprendere la facolt� di deroga, determinando in certi punti forse pi� chiarezza, come nel caso della titolarit� del fedele responsabile della qualit� di autorit� competente. Ferma restando una residua competenza regionale in tema di prevenzione sanitaria, il tema in merito al permesso di macellazione rituale islamica ha acceso discussioni a livello locale sulla legittimit� di tali operazioni; in particolare proprio in Consiglio Regionale Emilia Romagna l' ex assessore alla Sanit� Giovanni Bissoni, rispondendo in aula a due interrogazioni presentate da due consiglieri che chiedevano delucidazioni sull' attuale stato in Regione del trattamento degli animali in operazioni di macellazione rituale, ha dichiarato: " spetta comunque al veterinario ufficiale dell'impianto presso il quale sono macellati animali secondo particolari riti religiosi, che deve essere inserito, previo accertamento dei requisiti richiesti, nell' apposito elenco ministeriale, verificare il rispetto delle disposizioni previste dal Decreto in questione per evitare inutili sofferenze all' animale nel corso della macellazione [?]; lo stesso decreto definisce anche un' autorit� religiosa che ha il compito di attestare la conformit� delle macellazioni ai vari riti religiosi, prevedendo comunque che sia tale autorit� che gli operatori da essa incaricati operino sotto la responsabilit� del Veterinario Ufficiale dello stabilimento, sempre presente durante le operazioni di macellazione negli stabilimenti riconosciuti a livello ministeriale [ ? ] ; nell' elenco ministeriale risultano a tutt' oggi inseriti dieci stabilimenti di macellazione dell' Emilia Romagna" .

Conclusioni

Le macellerie islamiche in Italia oggi sono ormai numerosissime; in base agli ultimi dati statistici rilevati dal Ministero della salute nel 2003 esistono circa 100 strutture di macellazione in deroga ( un quinto totale dei macelli italiani) in cui � possibile abbattere i capi animali secondo il rito islamico descritto. Rispetto a tale fenomeno che segna definitivamente ? a mio modesto avviso ? l'ingresso totale dell' imprenditoria musulmana nel mercato italiano, occorre porre alcune considerazioni finali. - prendendo spunto da quanto affermato nella prima parte del mio intervento, sono certo che il "network islamico" in Italia sia nato e stia crescendo per il tramite del fattore religioso che opera come trait d'union tra gli immigrati provenienti dai paesi di forte influenza islamica; - sono per� altrettanto certo che, se � vero che la moschea ha avuto (ed ha tuttora) un ruolo fisico di incontro e re ? incontro etnico religioso in contesto immigrato, � altrettanto assodato che ulteriore fattore di ri ? unione sotto un unico network islamico siano oggi pi� che mai le macellerie rivenditrici di carne halal; - quest'ultimo fenomeno fa s� che la Umma musulmana immigrata possa da un lato avere un chiaro punto di riferimento religioso culturale nelle citt� ( la macelleria halal richiama l'immigrato musulmano al rispetto delle prescrizioni coraniche) dall'altro possa inserirsi nel mercato economico italiano come alternativa forma di imprenditoria concorrente rispetto al paniere della vendita di prodotti alimentari; - i motivi per cui queste forme di impresa sono nate e sono in continua evoluzione sono a mio avviso dovuti da un lato al mancato inserimento dell' immigrato che per reazione e per un eccessivo attaccamento alle proprie radici decida di aprire un esercizio capace di coinvolgere e di attirare altri stranieri della stessa fede, dall'altro l' avvenuto inserimento anche nel contesto economico imprenditoriale fino al punto di accettare il rischio di mettere sul mercato prodotti che, oltre a rendere noti usi e costumi propri dell' Islam, potrebbero avere successi commerciali.

(Prof. Lorenzo Ascanio)

**Studio Legale de Capoa & Associati Diritto musulmano e dei paesi islamici Universit� degli Studi di Bologna
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