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Data: 11/03/2017 16:00:00 - Autore: Daniele Paolanti Avv. Daniele Paolanti - Partiamo dal presupposto fondante, a livello normativo, che scandisce diritti e obblighi reciproci incombenti su ciascuno dei coniugi. Gli stessi sono tenuti, per espressa previsione codicistica, alla fedeltà reciproca, alla reciproca assistenza morale e materiale (che implica il dovere di collaborazione) nonché all'obbligo di coabitazione e di contribuzione. Un particolare aspetto della crisi della coppia è quella scaturente dal tradimento ovvero dalla contravvenzione di uno degli obblighi principali: quello della fedeltà. Il dovere di fedeltà può essere definito, astenendosi da commenti di rilievo giuridico, come l'obbligo di astenersi dall'intrattenere rapporti sessuali con persona diversa dal proprio coniuge. Giova rammentare come la contravvenzione a detto obbligo non determini alcuna forma di reato, sebbene assuma rilievo sotto il profilo civile ai fini dell'addebito di responsabilità in un'eventuale separazione. La giurisprudenza si è ovviamente interessata a più riprese al tema del tradimento, coinvolgendo lo stesso uno degli aspetti più importanti della vita coniugale nonché un obbligo fondante nel rapporto. La violazione dell'obbligo di fedeltàLa Cassazione ha rilevato, in un celeberrimo precedente che si è espresso con nettezza sul punto, che "l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una salutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale" (Cassazione civile, sez. VI, 14/08/2015, (ud. 09/06/2015, dep.14/08/2015), n. 16859). Secondo la Suprema Corte, dunque, l'aver violato gli obblighi di fedeltà determina l'insorgere in capo al coniuge di una particolare forma di responsabilità che può constargli l'addebito in un eventuale giudizio di separazione, salvo che, attraverso uno scrupoloso giudizio/indagine, non risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Il tradimentoSecondo la giurisprudenza di legittimità, l'obbligo di rispettare i doveri coniugali si sostanzia non solo in una prospettiva di carattere morale, ma finanche giuridica, alla luce del riferimento contenuto nell'art. 143 c.c. alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto nonché dall'espresso riconoscimento della loro inderogabilità e dalle conseguenze che scaturiscono dalle relative violazioni. Di conseguenza è lecito ritenere che il diritto di un coniuge al rispetto degli obblighi coniugali è un vero e proprio diritto soggettivo (Cass. n. 9801/2005). In un precedente del 2011, dal contenuto pressoché analogo, la Corte rileva che "Non essendo rinvenibile una norma di diritto positivo, né essendo rinvenibili ragioni di ordine sistematico che rendano la pronuncia sull'addebito (inidonea di per sé a dare fondamento all'azione di risarcimento) pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento, una volta affermato - come sopra si è fatto - che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma, ove ne sussistano i presupposti secondo le regole generali, può integrare gli estremi di un illecito civile, la relativa azione deve ritenersi del tutto autonoma rispetto alla domanda di separazione e di addebito ed esperibile a prescindere da dette domande, ben potendo la medesima "causa petendi" dare luogo a una pluralità di azioni autonome contrassegnate ciascuna da un diverso "petitum". Ne deriva, inoltre, che ove nel giudizio di separazione non sia stato domandato l'addebito, o si sia rinunciato alla pronuncia di addebito, il giudicato si forma, coprendo il dedotto e il deducibile, unicamente in relazione al "petitum" azionato e non sussiste pertanto alcuna preclusione all'esperimento dell'azione di risarcimento per violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, così come nessuna preclusione si forma in caso di separazione consensuale" (Cassazione civile, sez. I, 15/09/2011, (ud. 04/05/2011, dep.15/09/2011), n. 18853). |
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