Data: 19/02/2017 19:00:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi – Urlare in piena notte, svegliando i vicini, è reato. Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza n. 6882/2017 (qui sotto allegata), confermando la condanna per il reato ex art. 659, comma 1, c.p. nei confronti di un uomo che in evidente stato di ubriachezza si affacciava alla finestra e iniziava a gridare parole farneticanti, facendo preoccupare tutto il vicinato, per poi spingersi, sempre urlando, in strada, fino al sopraggiungere di due pattuglie di carabinieri che riportavano la situazione alla normalità.

I giudici di merito, riconosciuto il vizio dell'infermità parziale di mente, dato l'evidente stato di alterazione psico-fisica derivante dall'abuso di sostanze alcoliche, avevano condannato l'uomo a 110 euro di ammenda per aver disturbato il riposo delle persone vicine.

A nulla sono serviti i tentativi della difesa di far valere la mancata applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, unitamente al fatto che la legge delega n 67/2014 prevedeva la depenalizzazione della fattispecie di cui all'art. 659 c.p.

Per gli Ermellini, infatti, anzitutto non vi è dubbio sulla valutazione dei giudici circa la condotta dell'uomo e la non riconoscibilità della clausola di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., "che risulta congruamente motivata e immune da censure". La consistenza dell'allarme provocato nei vicini e l'intervento di due pattuglie, reso necessario per riportare l'imputato alla calma e farlo rientrare in casa, giustificano ampiamente la valutazione di un comportamento "concretamente lesivo" del riposo alle persone.

Quanto alla depenalizzazione, la fattispecie ex art. 659 c.p., precisano, pur inclusa nella legge delega, non ha trovato attuazione ad opera del legislatore delegato. Per cui la contravvenzione di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone rimane inserita tra le fattispecie penalmente rilevanti. E tale reato, proseguono dal Palazzaccio, che "tutela la pubblica quiete e l'idoneità e l'incidenza delle condotte poste in essere ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto che non può che essere rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, il quale fonda il proprio convincimento sugli elementi probatori acquisiti al processo".

Nel caso di specie, la condotta del ricorrente è stata ampiamente ricostruita all'esito dell'istruttoria dibattimentale e ritenuta idonea a superare "per natura, intensità e collocazione cronologica, la normale tollerabilità e ad arrecare disturbo alla quiete di un numero indeterminato di persone". Per cui, condanna confermata.


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