|
Data: 28/02/2017 22:00:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi - Indurre l'inquilino a liberare l'immobile, mettendolo sotto stress continuo tramite una serie di azioni giudiziarie, può configurare "mobbing immobiliare". È questo quanto si ricava dalla sentenza n. 5044/2017, depositata oggi dalla Cassazione (qui sotto allegata), che ha accolto parzialmente il ricorso di un conduttore, contro le conclusioni del sostituto procuratore generale. L'uomo ricorreva avverso la sentenza che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione tardiva proposta avverso l'ordinanza di convalida di licenza per finita locazione emessa nei suoi confronti. Sul punto, neanche di fronte agli Ermellini, il conduttore trova conforto (né per le altre doglianze ritenute inammissibili), ma quanto alla domanda di danno da mobbing immobiliare avanzata contro il locatore, piazza Cavour gli dà ragione. L'uomo prospetta una condotta di mobbing immobiliare, consistente "nelle pressioni, anche illegali, dei proprietari 'per cacciare gli inquilini' allo scopo di sfruttare meglio l'immobile o in relazione ad un piano di trasformazione urbanistica" e denuncia tutta una serie di azioni da parte del proprietario finalizzate a risolvere il contratto di locazione, oltre ad "una simile serie di azioni giudiziarie" nei suoi confronti, "tutte infondate e temerarie" e costituenti "indebita e scorretta forma di pressione" sullo stesso, "costretto a subire un pesante stato di stress. Condotte finalizzate evidentemente secondo il ricorrente "al solo scopo di convincere il conduttore a rilasciare l'immobile mettendolo "praticamente sempre sotto perenne minaccia di sfratto per motivi ignoti". Sul punto, la terza sezione civile boccia la sentenza d'appello. La corte territoriale infatti non ha affatto esaminato l'esistenza o meno della sequenza persecutoria denunciata, "come se – non potesse - essere configurabile un illecito composto da una pluralità di condotte poste in essere in un anche ampio lasso temporale". E invece, a detta della S.C. tale assunto non è per niente condivisibile, e "il fatto che sussista una tutela specifica per la lite temeraria non ha alcuna pertinenza con l'ipotesi in cui vi sia una condotta persecutoria che si sia concretizzata proprio nella continuativa pluralità di iniziative giudiziarie – tese a molestare l'inquilino". In sostanza, il rimedio non è certo quello ex art. 96 c.p.c. e la corte non ha per nulla spiegato perché ha qualificato la domanda del conduttore come inammissibile. Parola, dunque, al giudice del rinvio che dovrà accertare se l'uomo ha subito mobbing dal locatore e per questo vada risarcito.
|
|