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Data: 24/03/2017 14:00:00 - Autore: Gabriella Lax di Gabriella Lax - La vittima aveva solo detto "Basta", ma non aveva urlato, per questo il suo violentatore non è stato condannato. Fa discutere una sentenza del tribunale di Torino, diffusa dal Corriere, che ha assolto (perché "il fatto non sussiste") un infermiere accusato dello stupro di una collega. A rendere inattendibile la versione della donna sarebbe il fatto che durante l'aggressione non avrebbe cercato di difendersi e nemmeno gridato. La giovane donna torinese che lavorava con contratto interinale alla Croce rossa di Torino e aveva querelato il collega per una serie di presunti abusi subiti sul luogo di lavoro (ospedali del capoluogo piemontese) oltre a dover accettare il fallimento della sua causa dovrà rispondere di calunnia, perché la prima sezione penale presieduta dalla giudice Diamante Minucci ha trasmesso gli atti al pubblico ministero non ritenendo «verosimile» la sua versione dei fatti. Secondo le motivazioni shock riportate dai giudici: «Non grida, non urla, non piange e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi». La donna inoltre non avrebbe lamentato dolori, né fatto un test di gravidanza. Così la corte si è convinta che mentisse. La colpa della stessa, insomma, sarebbe quella di non avere «tradito quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona» e ora per la donna si configura addirittura il reato di calunnia. La vittima avrebbe alle spalle un'infanzia segnata dagli abusi da parte del padre fin dall'età di cinque anni che avrebbero contribuito a stabilizzare un profilo psicologico tormentato dall'«esperienza traumatica di abuso infantile reiterato intrafamiliare subito». Nel corso del processo, tra l'altro, la donna ha confessato che il collega di lavoro, più anziano e «professionalmente più stabile» le aveva ricordato la figura paterna. Un dolore legato al passato che però non ha convinto la corte. Mentre la donna tra le lacrime ha confessato: «uno il dissenso lo dà, magari non metto la forza, la violenza come in realtà avrei dovuto fare, ma perché con le persone troppo forti io non… io mi blocco», l'imputato (un quarantaseienne in servizio alla Croce Rossa) non ha mai negato palpeggiamenti e alcune effusioni nei confronti della collega specificando però che fossero assolutamente consenzienti. L'uomo a causa della denuncia della collega avrebbe avuto dei seri problemi familiari e professionali. Dalle parole della presidente di sezione la donna evidenzia un "malessere" «ma non sa spiegare in cosa consisteva questo malessere». Quindi il racconto "non appare verosimile" e il processo può dirsi chiuso. Sulla vicenda, ora, è intervenuto il ministro della Giustizia Andrea Orlando che, tramite l'ispettorato ha chiesto accertamenti preliminari sull'assoluzione.
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