Data: 05/04/2017 21:00:00 - Autore: Redazione

di Redazione - Niente compenso maggiorato all'avvocato poco diligente. La maggiorazione, infatti, è a discrezione del giudice che può quindi legittimamente decidere di negarla in caso di mancata diligenza del difensore. Così ha stabilito la sesta sezione civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 8288/2017, depositata il 30 marzo (qui sotto allegata), rigettando il ricorso di un avvocato avverso la decisione di merito che negava la maggiorazione del compenso ex art. 5, comma 4, d.m. n. 127/2004.

Nella vicenda, il tribunale aveva condannato i clienti a pagare al proprio legale i compensi dovuti per le prestazioni svolte nel loro interesse, applicando i minimi tariffari e negando la maggiorazione prevista dal dm 127/2004. Il tribunale confermava, inoltre, l'ordinanza di cancellazione delle espressioni offensive contenute nell'atto di citazione, condannando il difensore al risarcimento del danno agli assistiti.

In seguito, la corte d'appello adita respingeva il gravame del professionista e lo stesso si rivolgeva al Palazzaccio.

Ma per i giudici di legittimità il ricorso è da respingere e la doglianza relativa alla violazione di norme di diritto tariffario inammissibile "per violazione del principio di autosufficienza, poiché il ricorso, nel censurarne la complessiva quantificazione operata del giudice di merito, non ha indicato le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore".

Per quanto concerne, la maggiorazione del compenso, inoltre, ribadiscono gli Ermellini, la disposizione del dm 127 "prevede una mera facoltà rientrante nel potere discrezionale del giudice, il cui mancato esercizio non è denunciabile in sede di legittimità, se motivato".

E nel caso di specie, la corte d'appello ha condiviso il ragionamento del giudice di primo grado "che ha ritenuto di non riconoscere tale incremento in ragione della mancanza di diligenza dell'avvocato". Nello specifico, si legge nel provvedimento, dalla successiva transazione, curata da altro difensore subentrato nel giudizio, emergeva che la domanda giudiziale svolta dall'avvocato nell'interesse dei propri clienti era basata "su un'azione per lesione che risultava carente nella prospettazione dei suoi tipici presupposti fattuali".


Tutte le notizie