Data: 06/07/2005 - Autore: Giovanni Falcone
Non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo (secondo comma art. 40 del Codice Penale).
Introduco l'argomento con un richiamo al vigente Codice Penale in conseguenza dei recenti e gravissimi scandali finanziari, in ordine ai quali tanto inchiostro è stato già consumato (Vicenda Parmalat, Cirio, Giacomelli Sport, Banca 121 etc.).
L'esperienza vissuta, avuto riguardo, in particolare, alla totale assenza della catena dei controlli, interni ed esterni ai diversi Gruppi imprenditoriali, deve indurci a qualche meditata riflessione sulla presenza, ruolo e funzioni dei numerosi Organi di Controllo, oggi esistente in una qualunque moderna società di capitali, qualunque sia il settore economico di riferimento (industria, servizi, credito etc.), primo fra tutti il ?Collegio Sindacale? (in presenza del c.d. regime ordinario, in alternativa al regime dualistico e/o monistico secondo le opzioni statutarie).

Posto che la scelta di gestione dell'impresa, ovvero la migliore strategia per la completa realizzazione dell'oggetto sociale indicato nell'Atto Costitutivo, è e rimane compito esclusivo degli amministratori, non possiamo non ricordare la funzione del Collegio Sindacale che, fin dalla sua nomina (ex art. 2400 c.c.), è chiamato a vigilare:

- sull'osservanza della legge e dei principi contenuti nello statuto;
- sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società ovvero sul concreto funzionamento;
- sul controllo contabile (ove previsto ex 3° comma dell'art.2409 bis), quale controllo di legittimità, adeguatezza contabile e pareri sull'adozione di particolari criteri di valutazione di poste di bilancio con relative osservazioni e proposte.

L'ampiezza e natura dei controlli attribuiti al Collegio Sindacale - peraltro non dissimile da quelli devoluti al Consiglio di Sorveglianza per il sistema dualistico e al Comitato di Controllo Interno sulla gestione per quello monistico ? ci induce a ritenere che tale organismo di controllo rappresenta il Front Line della vigilanza o, per meglio dire, la prima barriera od ostacolo alla illegalità e all'affarismo più perverso.

Superata la prima fase riguardante la selezione dei soggetti deputati a rivestire tale importante ruolo (requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza), appare necessario, a mio avviso, per contenere significativamente i gravi e ripetuti episodi di commistione di interessi non sempre leciti, soprattutto con riferimento a società quotate, una interpretazione più rigida circa le molteplici responsabilità conseguenti.

Come in ogni guerra, perché di questo si tratta, dobbiamo porre solidi argini alla nostra difesa, alla difesa delle minoranze e della intera collettività, cominciando dal fronte, ovvero dove si combatte, dall'interno della società, cioè dal Collegio Sindacale.
L'amministratore che ruba, che distrae il patrimonio per finalità estranee all'impresa, che si preoccupa molto di apparire e poco di essere, che costruisce liquidità solo cartolari, che falsifica bilanci di esercizio per decenni, prima di corrompere il pubblico ufficiale ha già abbondantemente inquinato i propri ?controllori?. Volendo definire il percorso del malaffare, potremmo dire che trattasi di una malattia, cioè di una minaccia che nasce e si alimenta al proprio interno, che nasce in famiglia per poi svilupparsi, ahimé troppo spesso, con ramificazioni e propaggini che si estendono ad ambienti esterni, primo fra tutti ai ?Controllori Istituzionali?.

In altri termini, alla responsabilità civile, da addebitarsi in solido con gli amministratori ? ex comma 2 dell'art. 2407 c.c. (culpa in vigilando), deve seguire sempre quella penale, atteso che, le responsabilità richiamate nel ripetuto articolo 2407, non sembrano intendersi come un generico dovere di vigilanza, bensì un obbligo di impedire atti lesivi degli interessi sociali, avuto riguardo alla verità delle loro attestazioni.

In definitiva, un Collegio Sindacale che persista nella sua inerzia, pur conoscendo la esistenza di situazioni anomale, quali:
- annotazioni in contabilità di fatture per operazioni inesistenti (costi fittizi), con lo scopo di ridurre l'imponibile ai fini fiscali in danno dell'Erario, ovvero consentire l'alimentazione di conti extracontabili a favore degli stessi amministratori e/o prestanomi di questi;
- emissioni di fatture per operazioni inesistenti (ricavi fittizi), allo scopo consentire ad altri di alleggerire il carico fiscale ovvero di documentare ricavi solo cartolari per chiudere bilanci di esercizio in attivo, onde ottenere maggiore credibilità e fiducia sul mercato (affidamenti bancari, dilazioni sui pagamenti delle forniture etc.);
- costituzione di riserve occulte, allocate in Paesi considerati Off Shore e alimentate tramite sovra e/o sottofatturazioni nell'import-export estero su estero;
- consentire la falsificazione sistematica di poste patrimoniali di bilancio al fine di alterare il risultato di gestione in danno dei creditori e della fede pubblica in genere.

Un comportamento omissivo reiterato e consapevole non può e non deve essere considerato solo un comportamento negligente, ma un disegno pianificato con coscienza e volontà nel conseguire un fine illecito, alla stessa stregua dell'azione posta in essere dagli amministratori, non potendo escludere, addirittura, anche la ipotesi dell'associazione a delinquere - ex art. 416 bis del codice penale.



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