Data: 08/04/2017 18:00:00 - Autore: Angelo Lucarella

di Angelo Lucarella - È sempre particolarmente avvincente andare alla scoperta di quelle dinamiche legislativo-tributarie che, nella loro interpretazione normativa, fanno riflettere a tal punto da far sorgere dubbi di illegittimità costituzionale.

L'IMU

Prima di tutto si è partiti semplice analisi dell'art. 13 del d.l. n. 201/2011 che stabilisce, nel suo incipit, una "anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria" rispetto all'anno di imposta 2014; quest'ultima istituita dagli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 23/2011 ed avente quale presupposto tributario applicativo il possesso di immobili come prescritto dall'art. 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (norma istitutiva della ex ICI).

Ebbene, aumentando la curiosità, l'attenzione inizialmente focalizzata sugli elementi costitutivi dell'IMU si sposta facilmente sui soggetti passivi della stessa individuati dall'art. 9 del d.lgs. n. 23/2011: il proprietario dell'immobile "ovvero" (termine utilizzato dal legislatore) il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi o superficie.

Occorre, però, contestualizzare quanto premesso tenendo presente altresì lo Statuto del Contribuente, la Costituzione Italiana ed i principi CEDU.

Si consideri, quindi, tenendo ben a mente che l'IMU (a regime normale dal 2014) è stata anticipata al 2012 con Decreto Legge e che lo Statuto del Contribuente vieta l'utilizzo del Decreto Legge per istituire nuovi tributi (art. 4).

Qualcuno, giustamente, potrebbe pensare che basare il dubbio di incostituzionalità sul solo divieto dello Statuto di cui sopra non avrebbe senso e fondamento dal momento che il d.l. n. 201/2011 anticipa esclusivamente un effetto tributario non prevedendo formalmente alcuna "nuova istituzione ed imposizione patrimoniale".

Non si dimentichi però che il rapporto di imposta tra A.F./P.A./Stato e Cittadino/Contribuente è, per principio, di natura periodica e speciale (come nel caso IUC, valido solo per anni solari) ed il legislatore non può aggirare il limite-ostacolo posto dallo Statuto del Contribuente (l. n. 212/2000) a tutela dei cittadini, dalla chiara rilevanza costituzionale, stando al fatto che non si comprendono quali fossero le "necessità e le urgenze" ai fini dell'anticipazione effettiva dell'IMU tramite Decreto Legge.

Tuttavia, l'Imposta Municipale Propria è (sostanzialmente) un tributo che pesa sul patrimonio immobiliare poiché si basa sui presupposti della ex ICI - prevista e normativizzata dal D.Lgs. 504/92 - avente la finalità di colpire (apparentemente) una manifestazione economica determinata e chiara di capacità contributiva (art. 53 Cost.); quest'ultima, logicamente, può stadiarsi mediante una dichiarazione annuale (ex art. 10 D.Lgs. 504/92), quale atto di impulso del contribuente, oppure (in assenza di denuncia) presunta semplicemente da fatti concludenti od espressamente indicatori di deduzione come ad esempio un contratto fornitura elettrica, servizio idrico e fognario, ecc. da cui poi scaturirebbe l'accertamento della P.A.

In tale ottica si innesca un altro ragionamento. Le norme istitutive dell'ICI e dell'IMU (nonché della sua relativa anticipazione sperimentale al 2012) sono caratterizzate da un assoluto scollamento e da una disarmonia tributaria tali da comprometterne la validità costituzionale financo ai limiti della tutela comunitaria in materia di diritti umani. Infatti, si tengano a mente gli artt. 3, 23, 47, 53, 97 della Costituzione italiana e l'art. 1 del protocollo addizionale alla Carta dei Diritti dell'Uomo, siglato a Parigi il 20.03.1952, con il quale si afferma che "Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni".

Orbene, dopo tutta la premessa logico-normativa rappresentata, certo è che lo scollamento e la disarmonia tributaria di cui sopra sembrerebbero risiedere nel fatto che l'IMU, da una parte, ha come presupposto una mera situazione di fatto (cioè il possesso dell'immobile) e, dall'altra parte, individua quali soggetti passivi della stessa il proprietario (situazione di diritto) od il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, non menzionando assolutamente tra questi il possessore.

Sicché, per comprendere davvero il dubbio che si vuole insinuare, appare doveroso approfondire l'aspetto possessorio tenendo a mente quanto prescritto dal codice civile italiano allorquando prevede, ad esempio, all'art. 832 c.c. che il diritto proprietà è tale solo ove vi sia il godimento e la disposizione delle cose in modo pieno ed esclusivo, all'art. 810 c.c. che "sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti", all'art. 1140 c.c. che "il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale" e l'art. 820 c.c., a sua volta, che "sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni".

Ciò detto, sorge ulteriormente un'altra considerazione che porta a pensare che il legislatore, negli anni, abbia omesso di chiarire se l'immobile oggetto del possesso ai fini IMU ed ex ICI debba essere idoneo ad essere definito e qualificato quale bene o cosa; definizione che invece ben riporta il codice civile tenendo presente che solo il bene ex art. 810 c.c., posseduto con i criteri dell'art. 1140 c.c., è centro di imputazione di diritti (e non doveri/pesi tributari).

A bene vedere il codice civile esclude a priori che il possesso possa essere qualificato come un diritto reale indipendente od autonomo, inquadrandolo da un lato come elemento costitutivo e complementare del diritto di proprietà e dall'altro come situazione di fatto legata ad uno dei diritti reali previsti dalla normativa ex D.Lgs. 504/92 (enfiteusi, uso, usufrutto, ecc.) derivandone che il possesso è sostanzialmente il godimento di un bene e che quest'ultimo deve essere, a sua volta, oggetto di possesso idoneo ad essere centro di imputazione di diritti (e non doveri) che, quindi, deve essere suscettibile di apprezzamento valoriale in termini di produzione di frutti naturali e/o civili (art. 820 c.c.).

Non si comprende, pertanto, quale sia la ratio legis che ha portato a creare un centro di imputazione impositiva in capo a soggetti passivi (proprietario, enfiteuta, usufruttuario, ecc.) che a conti fatti subiscono un trattamento tributario nettamente diverso rispetto al reale possessore ex art. 1140 c.c. (che si ribadisce non è enunciato nelle norme istitutive dell'ICI e dell'IMU); viceversa non si comprende perché mai il possessore ex art. 1140 c.c. non sia soggetto autonomo ed indipendente di un centro di imputazione impositiva (magari con altro tipo di imposizione) rispetto ai soggetti passivi elencati.

Di tal ché, deduzione obbligata porta ad affermare che il presupposto impositivo IMU (il possesso) sostanzialmente pone le basi per colpire una situazione di fatto del tutto scollegata rispetto alla finalità afflittiva e contributiva insita nello spirito di un'imposta patrimoniale.

E' comune sapere che, per natura, l'imposta patrimoniale colpisce il bene in sé, già per il sol fatto di esistere e la cui attribuzione di rendita catastale è strumentale, esclusivamente, a tramutare in denaro la manifestazione economica del proprietario o del suo sfruttatore (caso dell'uso, usufrutto, enfiteusi, ecc.).

A rigore di ciò, non è ammissibile, ontologicamente ed in termini di giusto diritto, pensare come possa un'imposta patrimoniale avere quale presupposto tributario-afflittivo una mera situazione di fatto (come lo sono ICI e IMU) qualificandosi nel mondo giuridico, in tal maniera, per essere piuttosto una imposta di possesso (la quale ultima ha struttura tributaria e ragioni logiche ben diverse poiché avrebbe la finalità di colpire una manifestazione economica in maniera diretta ed immediata nel momento stesso in cui si presenti e/o verifichi la condizione).

La conclusione alla quale si vuole giungere è che, quindi, bisogna tener a mente che la CEDU impone a tutti gli Stati membri, mediante l'art. 1 del protocollo di Parigi, il rispetto del patrimonio della persona con ogni forma e mezzo e cioè tramite norme giuste, chiare e precise che pongano in essere effettivamente una eguaglianza sostanziale tra gli individui; l'art. 13, co. 1, d.l. n. 201/2011 (nonché, chiaramente, le norme ad essa sottese e collegate per derivazione legislativa) non sembra affatto essere in linea con tale principio rendendosi e ponendosi nell'ordinamento giuridico interno in netto contrasto Costituzionale.

Questa norma, praticamente, sarebbe in netta violazione del principio di: - eguaglianza, stando al fatto che il possessore della cosa, il proprietario ed il titolare di diritti reali non hanno gli stessi doveri ed obblighi in ragione del diverso godimento, uso od atteggiamento sul bene oggetto di imposizione; - tutela del risparmio, in quanto il soggetto passivo tenuto ingiustamente al versamento dell'imposta potrebbe accantonare le somme per altri fini ed iniziative costituzionalmente tutelate; - capacità contributiva, poiché questa non può sorgere tramite il mero possesso di una cosa, non implicando tale situazione di fatto (di per sé) alcuna idonea manifestazione economica di valore ai fini dell'idoneità del bene a creare e generare frutti imputabili su un determinato bene (tassabile o gravabile di imposta); - buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, poiché ne deriva, per forza di cose, una ingiusta imposizione fiscale.

In definitiva, la norma in questione è evidentemente e lapalissianamente incostituzionale poiché, altresì, in contrasto con lo Statuto del Contribuente (quest'ultimo chiaramente connotato da uno spirito di tutela costituzionale).

Considerato che il d.l. n. 201/2011 ha anticipato sperimentalmente, dall'anno 2014 all'anno 2012, l'imposta municipale propria (odiernamente sotto regime IUC), ha di fatto istituito per gli anni di imposta 2012 e 2013 un nuovo tributo sino all'epoca (2011) non previsto finanziariamente con l'effetto di porsi in netto contrasto con l'art. 4 dello Statuto del Contribuente avendo utilizzato, al fine di cui innanzi, lo strumento del decreto legge. Basti ribadire che il rapporto di imposta è speciale, periodico e annuale per comprendere che non può anticiparsi alcunché.

Infatti, il legislatore con l'art. 13 del decreto 201 ha utilizzato il termine "anticipazione" in maniera impropria ed illegittima.

Trattasi, quindi, di una di una vera e propria nuova imposta per il 2012 e 2013 in quanto fino al 2011 l'imposta comunale sugli immobili era l'ICI ex D.Lgs. 504/92 e sarebbe rimasta in vigore sino al 2014, anno di viviscenza della nuova "imposta municipale propria" tramite il decreto 23/2011.

A ben vedere alcuna ragione fondante la necessità e l'urgenza può esserci in una decisione normativa di natura "sperimentale" proprio perché dall'evidente intento empirico e non già finalizzato a coprire, ad esempio, vuoti di cassa statale od altro. Ne deriva una evidentissima violazione dell'art. 77 Cost. stando alla scarsa motivazione implicita, in ordine ai requisiti di necessità ed urgenza, della stessa disposizione tributaria.

Si ritiene, in definitiva, che l'art. 13 del d.l. n. 201/2011 sia, innanzitutto, in contrasto con l'art. 4 dello Statuto del Contribuente e che la normativa relativa all'IMU, nel suo complesso, sia affetta da illegittimità Costituzionale poiché posta in violazione agli artt. 3, 23, 47, 53, 97 Cost. e, per collegamento comunitario, anche dell'art. 1 del protocollo di Parigi.

La TASI

Le considerazioni fatte per l'IMU vanno sviluppate anche in ordine alla TASI, introdotta nell'ordinamento giuridico tramite la legge n. 147/2013, art. 1, co. 639-731; questa, in sostanza, istituendo anche la IUC, basa la ragione impositiva su due presupposti di cui uno costituito dal possesso di immobili (e collegato alla loro natura e valore) e l'altro collegato all'erogazione ed alla fruizione di servizi comunali.

Per motivo di completezza va detto, comunque, che la IUC si compone a sua volta dell'IMU (di natura patrimoniale e dovuta dal possessore di immobili) e di una componente riferita ai servizi, che si articola nel tributo per i servizi indivisibili TASI (a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile) e nella tassa sui rifiuti TARI (a carico dell'utilizzatore e destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti).

La TASI trova il suo spazio normativo nell'art. 1, co. 669, della legge n. 147/2013 che, come su anticipato, ha quale presupposto impositivo "il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati" identificando quale soggetto passivo di imposta ai sensi del successivo comma 671 "chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo le unita' immobiliari di cui al comma 669" e la cui base imponibile è determinata ai sensi del comma 675 in base alla applicazione dell'IMU ex art. 13 d.l. n. 201/2011 di cui già si è ampiamente detto.

Orbene, l'art. 13 del d.l. richiamato dal comma 675 di cui sopra rientra nelle disposizioni tributarie che danno effetto costitutivo ai fini IUC a partire dal 2014, limitatamente a TASI e TARI.

Per brevità espositiva, si abbia sempre a mente quanto già detto in merito all'art. 4 dello Statuto del Contribuente, agli artt. 3, 23, 47, 53, 97 della Costituzione italiana ed all'art. 1 del protocollo addizionale alla Carta dei Diritti dell'Uomo siglato a Parigi il 20.03.1952.

Ebbene la TASI sembrerebbe, innanzitutto, una "imposta mascherata" avente stesse finalità generali di una imposta tipica in senso stretto e non già un tributo finalizzato alla remunerazione diretta di servizi (indivisibili) come vorrebbe far intendere il legislatore (quasi tendente ai principi costitutivi di una tassa) ed in secondo luogo appare atteggiarsi effettivamente come una "doppia imposizione patrimoniale" poiché si basa sui presupposti della ex ICI - D.Lgs. 504/92 - la cui odierna base imponibile è prevista ai sensi dell'art. 13 del d.l.

Si abbia, perciò, a mente che la norma istitutiva IUC (ben precisa) ha come presupposti nativi impositivi il possesso di immobili (come l'IMU), collegato a natura e valore, l'erogazione e la fruizione di servizi (indivisibili) comunali.

A ben vedere la differenziazione fatta dal legislatore in ordine ad IMU e TASI è solamente di mero scopo spartitorio di quanto derivante dal gettito fiscale da dividere tra i Comuni e lo Stato centrale; l'effetto diretto che se ne genera è che per il cittadino-contribuente trattasi di una imposizione tributaria unica IUC che (per l'appunto) sostanzialmente ed effettivamente, sia nello spirito che nel corpo, colpisce (due volte) lo stesso bene consistente nel patrimonio immobiliare. Aggiungendosi, altresì, che anche lo stesso rapporto e la medesima relazione della persona con la cosa o bene (possesso, detenzione, ecc.) subiscono lo stesso trattamento.

La doppia imposizione

Tanto detto, le uniche differenze tra IMU e TASI sono oggettivamente rinvenibili nella diversa imputazione delle risorse derivanti dal gettito fiscale IUC; quest'ultima evidentemente istituita per coprire due ambiti finanziari diversi e garantire la provvista di investimento necessaria a soggetti pubblici differenti come lo Stato centrale e gli Enti locali.

Tale differenziazione di natura meramente politico-economica o di bilancio dello Stato, però, non può mascherare la realtà dei fatti e cioè che IMU e TASI sono facce della stessa medaglia ovvero:

  • colpiscono lo stesso bene tramite uguale base imponibile;
  • identificano gli stessi soggetti passivi;
  • hanno finalità eterogenee e generali (diversamente dallo spirito che contraddistingue di una tassa);
  • coprono costi relativi al finanziamento generale dello Stato (in senso lato), salvo quelli etichettati denominati (o meglio ghettizzati) quali servizi indivisibili (come se uno Stato possa essere portatore di servizi divisibili nei confronti dei cittadini) chiamati presuntivamente tali solo per una scelta impropria del legislatore la cui finalità ab origine sarebbe la mera diversa imputazione contabile di bilancio (a prescindere dal livello di decentramento od accentramento del servizio - vedasi musei, illuminazione, ecc.).

La doppia imposizione patrimoniale non è ammessa dalla legge e soprattutto dalla Costituzione perché in danno del cittadino e delle sue economie ed in barba al rapporto di fiducia e rispetto reciproco che Stato e Cittadino hanno consacrato nell'art. 97 Cost. (buona fede) oltreché, in via indiretta, rinvenibile dall'art. 1 del protocollo addizionale della CEDU siglato a Parigi nel 1952.

Come ben (sperando) può comprendersi l'IMU e la TASI oltre a colpire lo stesso bene, colpiscono il medesimo atteggiamento del soggetto sul bene (uti dominus) nel caso del possesso, gli stessi soggetti passivi, con determinazione della identica base imponibile.

Quindi, risulta diversa esclusivamente (come può leggersi nel testo normativo) la prospettazione di finanziamento dei servizi che lo Stato, a prescindere dalla sua articolazione decentrata e dall'autonomia concessa a livello periferico, deve assicurare ai cittadini in maniera generale ed eterogenea (finalità dell'imposta).

Infatti la classificazione ai fini TASI di "servizi indivisibili" non ha una ontologica ragione giuridica e chiarezza impositiva dal momento che nell'ambito di questa rientrerebbero per esempio anagrafe, stato civile, musei, illuminazione pubblica, servizio di protezione civile, gestione dei beni demaniali e patrimoniali.

Infatti, a questo punto, sorge una riflessione particolare e cioè perché mai possa ritenersi imputabile il finanziamento dell'illuminazione pubblica a carico del soggetto TASI e non già a carico anche del soggetto IMU dal momento che entrambi godono e fruiscono direttamente e/o potenzialmente della stessa illuminazione e partecipano idealmente (pro-quota) al pagamento collettivo degli oneri e dei costi di fornitura di energia elettrica dell'Ente Locale.

In tale ottica si crede ci sia, anche in detta fattispecie, una lapalissiana violazione del trattamento egualitario dei cittadini ex art. 3 della Cost. e qualora non si dovesse condividere ciò, va perlomeno tenuto presente che la base imponibile della TASI si rifà (per relationem) ad una norma anticipatoria e sperimentale (art. 13 d.l. n. 201/2011) che tramite decreto legge non può essere generata; ciò è sanzionato come detto a più riprese dallo Statuto del Contribuente.

Si ritiene, in definitiva, che anche la TASI, come l'IMU, sia stata istituita con una formula normativa che si pone in contrasto e violazione dei dettati costituzionali oltreché dei principi CEDU.


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