Data: 09/04/2017 17:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia IzzoChi alla vista della volante della polizia fugge dal posto di blocco con il proprio veicolo rischia la condanna per resistenza a pubblico ufficiale.

Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17061/2017 (qui sotto allegata), pronunciandosi sul ricorso di un uomo condannato per detenzione a fine di spaccio di canapa indiana e di resistenza a pubblico ufficiale.

A sua difesa l'imputato eccepisce, tra l'altro, violazione di legge penale e vizio di motivazione per avere la Corte territeriale ritenuto erroneamente integrato il reato di resistenza a pubblico ufficiale sebbene egli si sia limitato a darsi alla fuga e dunque a tenere un comportamento meramente passivo.

La Cassazione rammenta che, ai fini dell'integrazione della fattispecie incriminatrice in parola, il comportamento di guida deve integrare gli estremi della "violenza" o comunque della "minaccia", ossia trattarsi di comportamento idoneo a opporsi all'atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, in grado di ostacolarne la realizzazione.

A tal proposito, può integrare l'elemento materiale della violenza del delitto di resistenza a pubblico ufficiale anche la condotta del soggetto che si dia alla fuga alla guida di una autovettura, allorquando questi non si limiti a cercare di sottrarsi all'inseguimento, ma ponga deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l'incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada.

Infatti, in tale caso l'autore del fatto non si limita a tentare una semplice "ritirata" a bordo di un mezzo di locomozione e dunque a sottrarsi allatto dovuto del pubblico ufficiale, ma tiene un comportamento di guida pericoloso stante le manovre attuate per seminare gli agenti, rischiando così di mettere a repentaglio la propria incolumità e quella degli altri utenti della strada con una condotta aggressiva o comunque minacciosa.

Solo in mancanza di elementi che rendano evidente la messa in pericolo per la pubblica incolumità e l'indiretta coartazione psicologica dei pubblici ufficiali, l'agente non deve rispondere di tale reato. Tuttavia, spiega il Collegio, per distinguere tra una condotta di fuga meramente passiva e una connotata da sia pur minimi tratti di inoffensività o di messa in pericolo dell'incolumità personale di terzi (pubblici ufficiali o estranei), integrante invece la fattispecie, è necessario un attento e puntuale accertamento delle modalità esecutive del comportamento di guida tenuto dall'agente.

Questo potrà ritenersi sussumibile nell'art. 337 c.p. soltanto allorquando risulti volto non meramente a eludere, a sfuggire passivamente, ma ad intralciare attivamente l'atto d'ufficio del pubblico agente, con una condotta violenta o comunque lato sensu intimidatoria, volontaria e diretta a tale scopo.

Nella specie è stato dimostrato che l'imputato era fuggito agli operanti tenendo una condotta di guida "obbiettivamente pericolosa", "imprudente e non rispettosa delle regole della circolazione stradale" tale da porre deliberatamente in pericolo l'incolumità personale degli agenti inseguitori e della collettività e, dunque, da integrare la contestata resistenza.

Una decisione nettamente diversa rispetto a talune pronunce dei giudici di merito, ad esempio la sentenza n. 1162/2016 del Tribunale di Genova (per approfondimenti: Scappare dal posto di blocco non sempre è reato).

Il Tibunale ligure ha scagionato un uomo che aveva inchiodato nei pressi del posto di blocco invertendo la marcia, poi inseguito dall'auto della polizia. Nel caso di specie è risultata  incerta "la percezione da parte dell'imputato dell'inseguimento posto in essere dagli operanti al proprio veicolo, atteso il difetto di segnalazione dell'alt e considerato che la mera segnalazione luminosa/acustica posta in essere rendeva compatibile la presenza dell'auto di servizio con la necessità di eseguire un diverso intervento urgente".



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