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Data: 17/04/2017 17:00:00 - Autore: Mauro Di Fresco di Mauro Fresco - Quando si parla di Jobs Act spesso si pensa ad una legge oppure ad un corpus normativo, ma non è così. Per Jobs Act si intende un insieme convulso e disordinato di normative di novellazione su materie lavoristiche che il governo ha voluto modificare e quindi di una serie di decreti legislativi unicamente progettati, diretti a mutare le regole giuridiche esistenti. I Jobs Acts sono precisamente costituiti dai DD.Lgss. nn. 22, 23, 80, 81, 148, 149, 150 e 151 del 2015 e spaziano dalla tutela dei disoccupati al licenziamento, dai contratti di lavoro agli organi di vigilanza ispettiva, dai congedi per migliorare le condizioni di vita del lavoratore al telelavoro. Per la questione disciplinare, ai fini del presente lavoro, oggetto dell'esplorazione sarà il D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 23 "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183". Il d.lgs. n. 23/2015Si tratta appunto di un decreto attuativo che regolamenta la tutela dei licenziati per motivi soprattutto di ordine disciplinare e che pertanto si contrappone alla tutela già prevista dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 nonché dall'art. 8 della legge 15 luglio 1966 n. 604. Infatti l'art. 7 della legge delega n. 183/2014 autorizzava il Governo unicamente a: "adottare (...) uno o più decreti legislativi (...) in coerenza con la regolazione dell'Unione europea e le convenzioni internazionali", prevedendo un "contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio ... escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamenti disciplinari ingiustificati, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento". L'applicazione espressa è di ordine temporale e riguarda tutti i contratti a tempo indeterminato stipulati dal 7 marzo 2015 ovvero tutti i lavoratori a tempo indeterminato che, non avendo la propria azienda il requisito dimensionale dei 16 dipendenti per Comune (commi 8 e 9 dell'art. 18 St. Lav.) prima della vigenza del decreto, la raggiunga successivamente alla vigenza, attraverso la stipula di nuovi contratti a tempo indeterminato; in questo la nuova tutela permane anche se il requisito dimensionale dovesse ridursi subito dopo (questa è la tesi maggioritaria) ed inoltre tutti i convertiti o trasformati dal 7 marzo 2015. Il requisito dimensionale si calcola secondo l'impiego medio annuale dei lavoratori (c.d. normale occupazione) e le tipologie contrattuali stipulate (si V. anche art. 27, D.Lgs. n. 81.2015 nonché Cass., Lav., 14 dicembre 2010 n. 25249 e 21 ottobre 2013 n. 23771). Lo fece la giurisprudenza attraverso una esegesi di diritto. Ai privati privi del requisito dimensionale assunti prima del 7 marzo 2015 si applicano le tutele obbligatorie previste dalla legge n. 604/1966. La dottrina ritiene, per lex specialis, che ai sindacalisti continui comunque ad applicarsi la tutela dell'art. 18. Del resto il decreto 23 disciplina i licenziamenti economici, che nella P.A. sono regolati dall'art. 34 del D.Lgs. n. 165/2001 (gestione del personale in disponibilità); per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari, parimenti troviamo la regolamentazione della materia per la P.A. negli artt. 55 e ss. dello stesso decreto 165. Ciò protende verso l'inapplicabilità del decreto 23 ai licenziamenti economici e disciplinari della P.A.. In caso di licenziamento nullo perché discriminatorio (art. 15 St. Lav.) ovvero per altri motivi ai quali la legge riconduce la nullità (in costanza di gravidanza fino ad un anno dopo, vendicativo, per rappresaglia, ritorsivo, perché insussistente la disabilità psico-fisica addebitata al lavoratore, in frode alla legge art. 1344, per motivo illecito art. 1345, violazione delle regole di sciopero, scadenza del comporto), quando il licenziamento è intimato oralmente e non per iscritto, il giudice deve disporre la reintegra, ma se il lavoratore non riprende servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva, il rapporto di lavoro si risolve (per rinuncia). Con l'ordine di reintegra, il giudice condanna il datore all'indennità risarcitoria (costrutto non giuridicamente corretto da parte del legislatore) parametrando la somma all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto l'aliunde perceptum, comunque mai inferiore a cinque mensilità oltre i contributi previdenziali e assistenziali. L'indennità sostitutiva è fissata in quindici mensilità senza contribuzione previdenziale.
del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità senza contribuzione previdenziale pari a due mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due anni e non superiore a dodici anni di servizio. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato senza indicare i motivi sottesi, neppure quando vengono chiesti, l'art. 2 della legge n. 604/1966 disponeva l'inefficacia, così come quando vi era violazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970. Il datore può revocare il licenziamento a seguito di precise contestazioni stragiudiziarie opposte dal lavoratore. Il datore o il lavoratore possono anche conciliare presso le commissioni di conciliazioni o arbitrali situate nelle direzioni provinciali del lavoro ovvero presso le commissioni di certificazioni. L'importo transattivo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito, privato della contribuzione previdenziale, deve essere pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno estingue il rapporto e ogni ulteriore azione giudiziaria (acquiscenza). Anche in caso di licenziamento collettivo intimato in forma orale, per mobilità o riduzione di personale, si applica il regime dettato; diversamente continuerà ad applicarsi la legge n. 223/1991. L'ultima previsione del decreto esclude l'applicazione del rito Fornero che, quindi, si assesta esclusivamente nelle previsioni di cui all'art. 18 St. Lav. |
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