Data: 11/04/2017 11:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - È dentologicamente rilevante il comportamento dell'avvocato che, associato ad altro difensore nello svolgimento dell'incarico professionale, riscuote integralmente e in via autonoma gli onorari dal cliente, nonostante il mandato fiduciario fosse stato instaurato da questo e il collega.

Non costituisce causa di esclusione di responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale. Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 216/2016 (qui sotto allegata) pubblicata sul sito istituzionale il 9 aprile.

Ricorre al CNF un avvocato al quale era stata irrogata dal competente COA la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per quattro mesi. Un collega gli aveva esteso il mandato professionale a lui conferito da una società e, nonostante fosse retribuito dal collega per le prestazioni espletate dal mandato, aveva emesso nei confronti della cliente una parcella di onorari non dovuti.

Incrinato il rapporto professionale, il collaboratore chiedeva e otteneva dal COA un decreto ingiuntivo a seguito di "taratura" delle parcelle. La sanzione della sospensione giungeva a seguito di procedimento disciplinare in cui l'avvocato veniva considerato deontologicamente colpevole.

Il Consiglio Nazionale, chiamato a esprimersi sulla vicenda, rileva che dalle testimonianze raccolte nella fase pre-istruttoria e rese nel procedimento, è emerso che l'avvocato che aveva richiesto la collaborazione al ricorrente, fosse solito assegnare ai collaboratori la gestione di alcune pratiche di clienti, dando loro altresì l'incarico di dare riscontro, telefonicamente o per iscritto, dello sviluppo delle pratiche e di prestare consulenza in caso di richieste di pareri.

Risulta altresì documentato il rapporto contrattuale tra il ricorrente e il collega, nonché il contenuto dell'obbligazione assunta dal primo nei confronti della seconda, che ricomprendeva appunto anche prestazioni di assistenza e consulenza assicurata tramite i collaboratori dello studio.

In base a tali prove appare quindi legittima la decisione del Consiglio locale. Dimostrato, infatti, che il mandato fiduciario fosse stato instaurato tra il collega e la società, e non tra questa e il ricorrente, il cui impegno professionale traeva origine dal rapporto di collaborazione instauratosi, l'incolpato non aveva alcun titolo per richiedere compensi alla società cliente.
Come evidenziato da un richiamato precedente del CNF (n. 182 del 15 dicembre 2011), "pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che, associato ad altro collega nello svolgimento dell'incarico professionale, agisca in via del tutto autonoma al fine di riscuotere integralmente le competenze relative alla propria notula, pur nella consapevolezza che talune di tali attività possano interferire o sovrapporsi o duplicarsi con quelle svolte dal codifensore e senza curarsi delle maggiori difficoltà che un tale comportamento possa procurare all'attività di riscossione delle competenze del collega di studio, e che non possa costituire di per sé causa di esclusione di responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale".

L'illecito deontologico si ravvisa a maggior maggiore nel caso di specie, ove, come si è visto, il mandato fiduciario sussisteva, semmai, tra dominus e collaboratore e non tra collaboratore e cliente. Tuttavia, pur ravvisando la responsabilità deontologica dell'incolpato, il CNF ritiene di rideterminare la sanzione in quella meno afflittiva della censura.


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