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Data: 30/04/2017 15:00:00 - Autore: Alessandro Sgrò Avv. Alessandro Sgrò - Accade spesso che l'Agenzia delle Entrate, tramite accesso ai conti bancari o postali del contribuente, recuperi a tassazione ai fini IRPEF /IRAP/IVA, quali ricavi non dichiarati, le somme da quest'ultimo versate sui propri conti o sul conto familiare.Dalla mia esperienza professionale ho potuto rilevare che il modus operandi dell'Ufficio Finanziario nell'accertare i ricavi che si presumono omessi non sempre è lineare. Molti, infatti, sono i casi in cui l'Agenzia delle Entrate, nel determinare in via induttiva il presunto maggior reddito tassabile, trascura di compiere una valutazione critica anche delle operazioni in uscita (c.d. prelevamenti). A volte, difatti, sarebbe sufficiente per dirimere la questione che l'Ufficio procedesse a un'analisi complessiva delle movimentazioni bancarie effettuate dal contribuente (versamenti e prelevamenti) per rendersi conto che alcune somme versate sul proprio conto altro non sono che mere operazioni di trasferimento di fondi, irrilevanti ai fini impositivi. E', dunque importante che, in sede d'invito a fornire chiarimenti sulle movimentazioni attenzionate dall'Ufficio, il contribuente controlli che il file formato excel utilizzato dall'Amministrazione Finanziaria, contenente tutte le movimentazioni dei conti oggetto di accertamento, sia correttamente visualizzato dal responsabile; nel senso che sia sbloccato il filtro del file in modo che siano visualizzabili tutte, nessuna esclusa, le operazioni effettuate sui conti oggetto di accertamento.In definitiva se si ritira da un proprio conto corrente bancario o postale delle somme per poi versarle su un altro conto bancario di cui il contribuente risulta intestatario o cointestatario, non si è in presenza di un reddito non dichiarato ma di una mera operazione di trasferimento fondi del tutto irrilevante ai fini fiscali.
Sia chiaro un punto: in materia di accertamenti sui conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale è tenuto a dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili.
In sostanza il contribuente deve dimostrare che quel contestato versamento, in verità, è frutto di un'operazione di giroconto. Occorrerà poi verificare se gli importi usciti da un conto siano superiori a quelli versati sul un altro conto e, in caso positivo, appurare se la differenza sia o meno compatibile, anche in relazione al dato temporale, con le ordinarie esigenze di vita, nella misura in cui non siano state addotte spese straordinarie.Quanto sopra, sostanzialmente è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la recentissima pronuncia n° 7259/2017, sostenendo che in sede giudiziaria la Commissione giudicante deve verificare con attenzione le tavole processuali e, segnatamente, "se i versamenti giustificati dal contribuente come sostanziali giroconti (rispetto alla provvista tratta dal conto presso la BNL o dalla banca MPS - previa deduzione degli importi spesi per le ordinarie esigenze di vita del nucleo familiare) non appaiono con certezza significativi di un reddito non dichiarato, fermo restando che l'onere della prova liberatoria, per il contribuente, si commisura alla natura ed alla consistenza degli elementi indiziari contrari impiegati dall'amministrazione".In caso contrario la pronuncia difetta di valida motivazione. Avv. Alessandro Sgrò Largo dei Lombardi n°4 – 00186 Roma Tel. 06.68891896 – fax 06.36790578
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