Data: 25/05/2017 15:30:00 - Autore: Francesca Servadei

Cos'è la testimonianza assistita

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Per testimonianza assistita, ex articolo 197-bis del codice di procedura penale, si intende quella testimonianza escussa dal soggetto che è imputato in un processo collegato o connesso e che viene chiamato come teste in quello per il quale si procede.

I caratteri della testimonianza assistita

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Carattere fondamentale della testimonianza assistita è: 1) essa è esercitabile quando ancora non è concluso con sentenza passata in giudicato il processo collegato ovvero connesso; 2) il testimone assistito ha rilasciato dichiarazioni su fatti l'altrui responsabilità. Trattasi di teste parziali perché concernenti non i soli fatti della dichiarazione, ma anche dichiarazione condizionata a quella che riguarda l'altrui responsabilità.

Affinché si deponga in qualità di testimone assistito è necessario che: a) l'imputato sia ritualmente informato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà l'ufficio di testimone, articolo 64, comma 3 lettera c, codice di procedura penale; b) l'imputato abbia reso dichiarazioni su un fatto che riguarda l'altrui responsabilità per un reato connesso.

L'imputato è necessariamente assistito da un avvocato di fiducia ovvero d'ufficio, in virtù del legame tra il reato per il quale è innanzi all'Autorità Giudiziaria e quello per il quale è chiamato a deporre.

Aspetto particolarmente importante è che il testimone assistito gode di un privilegio che trova la sua fonte nell'articolo 197 bis comma 4, codice di rito, ossia non può rispondere su fatti che riguardano la propria responsabilità in relazione al reato per il quale si procede o per il quale si è proceduto, salvo che le precedenti dichiarazioni si riferiscano su fatti inscindibili; da ciò deriva che avvalendosi della facoltà di non rispondere tale facoltà si estende inevitabilmente anche al fatto altrui.

Particolarmente importante è il diritto a confrontarsi con l'accusatore, in tal contesto è lecito evidenziare che tale facoltà è subordinata a quando viene riconosciuto al teste il diritto al silenzio sul fatto proprio, da ciò ne deriva che più è esteso tale diritto minore sarà la possibilità di confronto con l'accusatore, inoltre risulta inaccettabile che colui che accusa continui a rendere dichiarazioni contro altri e a tacere sul fatto proprio impedendo in tal modo un esatto accertamento sui fatti.

La natura della testimonianza assistita

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Parte della dottrina si è interrogata sul carattere di tale istituto, ossia se trattasi di testimonianza volontaria ovvero coatta ed a tale interrogativo si è espressa decisamente a favore della tesi della volontarietà della testimonianza. Questo orientamento si basa sostanzialmente su due elementi: a) al soggetto viene dato l'avviso che ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda e che laddove riferisse su fatti andrebbe ad assumere la posizione di testimone assistito; b) tali avvisi vengono dati quando lo stesso è indagato e pertanto questi non sempre è in grado di comprendere che quanto dichiara possa comportare un'altrui responsabilità.

Tesi minoritaria ascrive al testimone assistito il carattere coatto in virtù della Legge 63 del 2001, dalla quale si evince che l'imputato collegato o connesso, è costretto ad assumere la posizione di testimone assistito potendo comunque accadere che diventi testimone anche nel proprio procedimento nel caso in cui questo, ai sensi dell'articolo 17 del codice di rito, venga riunito con quello connesso ovvero con quello collegato.

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