Data: 25/05/2017 15:00:00 - Autore: Angelo Casella
di Angelo Casella - L'umana propensione a soffermare l'attenzione sul presente piuttosto che proiettarla verso il futuro, favorisce comportamenti e decisioni atte ad aggravare le problematiche che potranno poi presentarsi.
L'evoluzione, inoltre, della civiltà occidentale, con le teorie liberali e dell'homo oeconomicus, ha prodotto una progressiva preminenza dell'attenzione collettiva verso i fenomeni economici in genere, a scapito dell'approfondimento sulle dinamiche riguardanti l'evoluzione e lo sviluppo dell'essere umano.
In realtà, questi due aspetti, in notevole misura, convergono e si influenzano reciprocamente, rendendo più difficoltosa la comprensione della realtà.
Può dunque presentare interesse dedicare una breve riflessione all'indagine su quali potranno essere gli aspetti dominanti degli scenari futuri.

Produzione e delocalizzazioni

Premettiamo una osservazione ormai di comune dominio: da diversi decenni (in pratica, dalla fine degli anni '60), la produzione di beni di consumo, a livello mondiale, ha subito un deciso rallentamento, a causa della progressiva saturazione dei mercati.
Il conseguente calo dei profitti ha innanzitutto suggerito, come contromisura, la globalizzazione, nell'intento di ottenere, anche con la minaccia delle delocalizzazioni aziendali, un calo del costo del lavoro (e degli oneri ambientali, nei Paesi poveri) ed un ridimensionamento del potere sindacale (nel prosieguo entrambi poi peggiorati con le ondate migratorie di disperati dai Paesi in guerra). Incidentalmente da rilevare che le delocalizzazioni hanno favorito anche un altro obbiettivo desiderato: la creazione di nuovi mercati, fornendo disponibilità con le retribuzioni a operai e impiegati degli stabilimenti insediati in aree povere.
Con la globalizzazione si è raggiunto altresì un risultato considerato molto importante per gli investitori: la libera circolazione dei capitali, che ne ottimizza il potenziale rendimento.
A questi provvedimenti, sono state affiancate – con la conquista, ovunque, del potere politico – misure normative che hanno fornito alla finanza in genere condizioni di assoluto privilegio e che hanno spazzato via le regole operative che, in tutti gli Stati, erano poste a favore e salvaguardia delle iniziative imprenditoriali locali.

I servizi sociali in mano agli investitori

Considerato poi il calo irreversibile della domanda globale di beni e servizi, i grandi investitori hanno posto la mira sui servizi sociali, scalzandone lo Stato.
(Detto per inciso, l'espressione "grandi investitori" risale ad una paziente ricerca del 2011 (A.COGHLAN, Revealed.The Capitalist Network that Runs the World, in New Scientist, XXII, n. 2835), che ha evidenziato un certo numero di multinazionali, per la precisione 1318, che, per dimensioni e ramificazioni, costituiscono il nucleo centrale dell'economia mondiale. Di queste, ne sono state selezionate 147, tutte altamente interconnesse, nel cui capitale confluiscono partecipazioni che consentono il controllo di almeno il 40% dell'intera filiera. Le prime cinquanta di questo secondo elenco, sono gruppi finanziari la cui proprietà finale è in mano ad una ristretta cerchia di persone: per l'appunto i "grandi investitori").
Al primo posto in questa scalata, troviamo le ex società municipalizzate (dette ora utilities), per la fornitura di acqua, luce e gas. C'è voluto un referendum perché l'acqua venisse dichiarata bene pubblico, ma è rimasto inattuato: non è bastato a restituire la gestione degli acquedotti alle amministrazioni comunali. Comunque da rilevare che, nel capitale di alcune di queste utilities, troviamo fondi pensione e società finanziarie estere che ricercano facili profitti. Tra queste, la società francese Suez, a sua volta partecipata dallo Stato francese. Con il risultato che parte dei profitti delle utenze domestiche italiane finisce nelle casse di quest'ultimo, mentre il nostro se ne disinteressa.
L'acquisizione dei servizi pubblici ha consentito l'accesso ad una domanda stabile e sicura, non legata ad oscillazioni congiunturali.
Per l'utente, la gestione basata sul profitto, si è tradotta invece in un clamoroso aumento dei costi ed in un peggioramento netto della qualità del servizio.
Per quanto riguarda il nostro Paese, questa strategia è stata anticipata dalla conquista, grazie alla complicità a suo tempo di Prodi e Ciampi, delle aziende I.R.I., già modello invidiato e fiore all'occhiello del nostro sistema economico. Da allora, accanto alle ulteriori privatizzazioni delle restanti aziende pubbliche, dalle Poste alle Ferrovie, alla telefonia, ecc., lo Stivale è divenuto l'emblema dell'osso da spolpare, anche per le imprese private (con i proprietari afflitti dalla sfiducia per un sistema lasciato allo sbando), tanto che, ad oggi, nessuno dei marchi italiani importanti, dall'agroalimentare, alla moda, al comparto del lusso, è rimasto in mani nazionali. Una situazione che, oltre a rendere più difficile una politica economica efficace, ha ridotto l'Italia ad un'area di colonizzazione economica, priva di una sua identità, anche a livello internazionale.
La strategia complessiva condotta dalla finanza è peraltro più ampia e guarda alla generalità dei servizi sociali, tra i quali - in particolare - sanità, pensioni e scuola. Quest'ultima interessa anche perché consente di addomesticare e addestrare opportunamente le nuove generazioni, facilitandone la manipolazione successiva.
Per favorire queste acquisizioni, il governo - debitamente istruito - cerca di peggiorare progressivamente i servizi - anche riducendone i fondi a disposizione - e di accrescerne i costi, in modo da orientare l'opinione pubblica verso la loro privatizzazione.
In altre realtà statali sono state privatizzate addirittura le carceri e taluni settori della polizia.
Altri comparti oggetto delle mire della finanza sono quello del commercio e del lavoro professionale ed artigiano.
Come è noto, l'istituto del franchising riguarda formalmente solo il commercio. Ogni settore di questo ne è potenzialmente interessato, dall'intermediazione immobiliare alle gelaterie, bar, pizzerie, ecc. Facilita l'apertura di una attività a chi non dispone di capitali iniziali.
Ha per effetto di far sparire i punti vendita autonomi, trasformati in anelli di una catena al cui vertice sono anonimi investitori.
Ma il modello si sta allargando a macchia d'olio, e coinvolge artigiani e professionisti: aprono ovunque negozi di "servizi per la casa", dove può essere soddisfatta ogni esigenza legata ad una abitazione (con un incremento - non dichiarato - dei costi mediamente del 30%).
In tal modo l'artigiano è trasformato in dipendente e parte del prezzo pagato dal cliente finisce nelle tasche di lontani fruitori.
Ciò avviene anche nell'ambito delle "libere" professioni. E' ora previsto che gli studi professionali e, addirittura, quelli legali, possano assumere la forma di società per azioni, perdendo, di fatto, la loro autonomia e, con essa, la loro identità profonda.

La pervasività della finanza

Ma la finanza va dilatandosi in modo pervasivo invadendo tutta la società.
E' di comune osservazione nel nostro paesaggio, l'impressionante quantità di edifici rurali anche di valore storico, abbandonati e in rovina.
Ovviamente, il fenomeno non è casuale: ormai quasi tutti i terreni fertili sono stati acquistati da enti finanziari (banche, fondi, assicurazioni, ecc.), che li fanno coltivare da filiazioni aziendali apposite.
Non solo si va perdendo così la civiltà contadina, ma anche quella che era una storica struttura sociale di base.
Inoltre, la gestione delle coltivazioni con il solo obbiettivo del profitto, tiene in conto soltanto dell'andamento dei prezzi sui mercati mondiali dei beni primari, e si concentra su pochissimi prodotti (sopratutto mais e soja), di largo utilizzo nell'industria dell'alimentazione, costringendo il Paese a massicce importazioni di verdura e frutta, anche da località lontane.
Il latifondo è stato da tempo abolito nel nostro Paese ma, di fatto, oggi è più esteso che nel Medioevo. Nessuno, peraltro, sembra accorgersene.

La colonizzazione del lavoro umano e l'assillo del profitto

La progressiva colonizzazione di ogni ambito del lavoro umano, va progredendo velocemente nella società attuale, trasformandola in un enorme cantiere di lavoro dipendente, con ricadute culturali che ricordano i foschi panorami delineati dalla fantasia predittiva di Huxley e Orwell.
L'angoscioso assillo del profitto per il capitale accumulato trova comunque il suo ambito per così dire naturale, negli strumenti finanziari.
Ne sono stati inventati di tutti i tipi, con fantasia e spregiudicatezza tali da sfiorare il codice penale. Ed è noto che la crisi del 2008 è stata causata proprio dal crollo di questi castelli di carte.
Nonostante i disastri causati, la commercializzazione di questi titoli non si è arrestata. Il principio operativo è rimasto lo stesso: vendere titoli il cui reddito è fornito dalla vendita di altri titoli, e così via all'infinito.
Le transazioni finanziarie giornaliere a carattere speculativo superano di circa 100 volte quelle per lo scambio di beni reali.
In effetti, l'accennata contrazione globale della domanda di beni reali, ha determinato una contrazione degli investimenti, che ha prodotto a sua volta flessioni importanti nei consumi, nei salari e nell'occupazione. Il sistema finanziario, all'investimento in strutture manifatturiere, ha preferito l'accumulazione, creando denaro dal nulla con il credito, le speculazioni sui tassi di interesse e sulle divise, l'emissione di titoli e di derivati.
E' qui il caso di inserire una piccola digressione per rammentare, a titolo di esemplificazione emblematica, una delle più importanti modalità inventate per estrarre ricchezza dalla popolazione nell'ambito della strategia di espansione dell'indebitamento.
Ed ecco la banca che sollecita al cliente la stipulazione di un mutuo per l'acquisto della casa (da notare che, negli Usa, la Commissione parlamentare di indagine sulla crisi del 2008 ha accertato che circa 1000 miliardi di dollari di prestiti ipotecari erano stati concessi in modo fraudolento).
Il corrispondente credito della banca viene trasformato in titoli che sono ceduti ad una entità formalmente esterna, in modo da toglierlo dal bilancio ed aggirare i vincoli sul rapporto tra attivo e patrimonio. L'entità esterna, filiazione della banca, è denominata "veicolo" e paga i titoli ricevuti emettendo altri titoli. I titoli acquistati dalla casa madre vengono poi accorpati in altri titoli di valore elevato e destinati ad investitori istituzionali (gestori del risparmio, ecc.).
La banca che ha ceduto i titoli, li assicura acquistando dei certificati assicurativi (detti Cds, ovvero Credit Default Swaps) emessi da entità create dalla stessa azienda di credito.
Si tratta di una forzatura a scopo speculativo (ma questi titoli consentono profitti molto elevati) in quanto vengono emessi anche con riferimento alla posizione di terzi. In altri termini, i certificati emessi da una banca possono riferirsi alla eventualità che risultino insolventi i debitori di un'altra banca.
L' ammontare complessivo di questi strumenti finanziari fittizi è molto elevato e rappresenta ancora oggi un fattore di instabilità per l'economia reale, come è avvenuto con la crisi del 2007/8, risolta, anzichè con fallimenti, con interventi governativi di salvataggio, attuati con il denaro della collettività.
Le banche centrali, BCE e FED, strettamente interconnesse, facilitano ancora queste pratiche fornendo alle banche liquidità illimitate, senza in contropartita chiedere alcun impegno a sostenere l'economia reale. Vengono così privilegiati gli interessi del sistema finanziario a scapito della gente comune. Come risultato, si è prodotto "un vasto trasferimento di ricchezza (...) dalle classi povere e medie verso i predoni finanziari" (J.F. GAYRAUD, La grande fraude, Paris, 2011).

I vincoli europei

Gli Stati europei, in particolare, con i Trattati costitutivi della Unione (di fatto guidata e infiltrata da organismi finanziari internazionali), rimuovendo ogni vincolo alla libera movimentazione dei capitali, hanno corrispondentemente generato costrizioni e oneri per le altre attività economiche e per i cittadini comuni.
Come ripercussione, infatti, sono state realizzate le privatizzazioni di pensioni, sanità, istruzione, ecc, la liberalizzazione dei servizi, la flessibilità del mercato del lavoro, il ridimensionamento della protezione sociale, il contenimento dei salari. Dal 2009 al 2016, secondo la Confederazione Sindacale Europea, i salari reali sono rimasti fermi e, in alcuni casi, Regno Unito (- 0,4% annuo) e Italia (- 0,3% annuo), sono diminuiti.
In pratica, con la mistificazione europea della pace e della fratellanza tra i popoli, dopo aver rimbambito le popolazioni, sono state costruite delle vere gabbie normative per favorire la finanza e con le quali è stato formato un sistema giuridico speciale ad hoc (v. ad esempio il c.d. "bail in"). Con i Trattati europei (giuridicamente illegittimi) sono stati trasferiti i poteri decisionali dai Parlamenti nazionali a ristretti gruppi di persone politicamente irresponsabili di fronte alle popolazioni coinvolte e che operano direttamente come esponenti degli interessi finanziari.
I popoli europei sono stati posti nell'impossibilità di far valere la propria volontà: il processo decisionale democratico è soppresso. Un drastico crollo della democrazia è stato realizzato escludendo ogni coinvolgimento dei popoli nelle decisioni che li riguardano ("la democrazia è partecipazione attiva alle decisioni concernenti il bene pubblico" dice Hannah Arendt).

La politica al servizio della finanza

Entra così nel nostro scenario un altro elemento di fondo: la totale convergenza tra politica e finanza, con la prima che è divenuta strumento della seconda. Alcuni, senza incertezze, parlano della realizzazione in Europa di un vero colpo di Stato, con il quale il sistema finanziario si è impossessato direttamene del potere politico, insediandosi nei governi nazionali. In alcuni casi, (v. Monti, in Italia) elementi provenienti dalle più discusse strutture finanziarie internazionali, sono stati posti a capo dei governi per realizzare direttamente gli interessi della finanza (B. BROWN, Financial Coup d'Etat in Europe. Governement by the Banks, for the Banks, in Global Research, 1.7.2012, nonché GALLINO, Il colpo di Stato di banche e governi, Torino, 2013).
In dipendenza dei Trattati europei, i popoli non possono più prendere decisioni, in casa propria, in ordine alle entrate ed alle spese.
Con il pretesto di dover ridurre il debito pubblico, la c.d. "Europa" ha imposto rigidi vincoli di spesa ai governi nazionali, con il preciso intento di demolire i servizi sociali (sanità, scuola, pensioni, assistenza, ecc.) ed ottenerne finalmente la totale privatizzazione.
Che il debito, secondo la litania europea, costituisca un impedimento allo sviluppo, è del tutto falso. Senza addentrarci in un argomento lungo e tecnico, bastino gli esempi del Giappone e degli Usa, le cui economie vanno benissimo pur con un ammontare del debito assai più elevato di quello italiano, pur oggetto degli strali europei. D'altronde, come diceva Keynes, il debito è un pezzo di carta che, alla scadenza, è sostituito da un altro pezzo di carta e tutto rimane come prima.
La realtà è che detti servizi muovono un volume complessivo di attività pari a circa 4 mila miliardi di euro all'anno (pari al 25% del Pil Ue): una torta troppo attraente per la finanza. Per impossessarsene, essa cerca di indurre, con pretesti fasulli, il verificarsi di eventi eccezionali, con caratteristiche e dimensioni tali da giustificare interventi eccezionali, non realizzabili in condizioni normali.
Costringere all'austerità dunque, per demolire i servizi, togliendo di mezzo l'intervento statale. E fornire le prestazioni a pagamento.
Da sottolineare, in tutta questa gigantesca manipolazione dell'opinione pubblica, che - in massima parte - la spesa sanitaria e previdenziale è finanziata mediante contributi obbligatori versati direttamente da lavoratori e imprese, e quindi non grava nella misura drammatica che si vuol far credere, sul bilancio pubblico.

La riduzione del debito

L'obbligo per gli Stati europei, ed accettato dai nostri governi, di ridurre il debito, rende particolarmente critica la posizione del nostro Paese.
Come è noto, dal 2015 ogni Stato dovrà rimborsare - ogni anno - una percentuale del suo debito, per scendere, in non più di venti anni, al 60% del Pil (mantenendo nel contempo un deficit non superiore al 3% del medesimo).
Questo significa, per l'Italia, recuperare ogni anno, per vent'anni, con tagli e imposte, una cifra tra i 50 e 60 miliardi di euro.
Si tratta di un salasso del tutto insostenibile: comporterebbe il taglio di pensioni e stipendi, l'annullamento dei servizi pubblici e la vendita dei beni pubblici, a cominciare dalle nostre coste (sulle quali da tempo sono appuntati gli appetiti della finanza).
In sostanza, ciò significa fare la fine della Grecia, dove è in atto un massacro sociale senza precedenti, con il tenore di vita sceso sotto i livelli post-bellici.
I vertici europei, peraltro, hanno ammorbidito per il momento la loro posizione e non hanno insistito per il rispetto rigoroso delle prescrizioni dei Trattati.
Il motivo è dato dal timore che i disastri sociali che ne conseguirebbero porterebbero oggi al governo una classe politica (Lega e M5S) contraria ai Trattati e, in alcuni casi, poco disponibile a privilegiare gli interessi della finanza.

Cosa ci attende

A questo punto è possibile avere un quadro degli eventi che ci attendono:
- eliminazione dei contratti collettivi nazionali
- incremento della flessibilità del lavoro
- lotta al lavoro sommerso (anche per allargare il mercato del lavoro)
- ridimensionamento drastico delle retribuzioni, sopratutto di quelle iniziali
- discrezionalità salariale e di carriera nella P.A.
- riduzione delle pensioni ed elevazione dell'età pensionabile
- forte ridimensionamento dell'assistenza sanitaria e aumento dei c.d. tickets, sia in valore, sia per tipo di prestazioni
- spostamento del carico fiscale dal lavoro ai consumi ed alle proprietà immobiliari. Riduzione dunque dell'Irpef e aumento dell'Iva e dell'IMU
- incremento complessivo del carico fiscale sulla classe media e sulle attività artigianali. Riduzione per le grandi imprese
- reintroduzione dell'Imu sulla prima casa
- privatizzazione generalizzata della proprietà pubblica, riduzione delle riserve e dei parchi nazionali
- riforma del sistema scolastico, con aumento dei costi a carico dei fruitori e riformulazione dei programmi, con un orientamento mirato non più alla persona, ma alla preparazione al lavoro dipendente
- eliminazione dei servizi alla famiglie e dei sostegni al reddito a fronte di vecchiaia, povertà, invalidità, disoccupazione
- ridimensionamento dei diritti al lavoro e del lavoro e dei sistemi di protezione dell'occupazione e delle indennità per la perdita del lavoro
Tutto ciò non costituisce frutto di proiezioni, ma del contenuto di direttive europee già approvate e decise.
Ulteriori esiti si verificheranno nell'assetto sociale per l'aumento delle diseguaglianze, la riduzione dell'integrazione fra le classi, l'insorgere di conflitti e tensioni sociali.
Naturalmente, è da prevedere un forte peggioramento generale delle condizioni di vita tranne che per una ristretta casta di privilegiati.
La scelta del lavoro dovrà tener conto che le posizioni favorevoli saranno solo quelle di vertice e di base.
Per vertice intendiamo sopratutto l'acquisizione di specializzazioni molto elevate, che rendano unica la prestazione offerta. Le professioni di base riguardano i lavori c.d. elementari, cioè ristorazione, pulizia, sorveglianza e simili, sempre comunque orientate a fornire servizi e prodotti non eguagliabili.
Il progressivo abbandono delle produzioni di massa potrebbe avvantaggiare determinate attività artigianali molto specializzate, legate al talento individuale e non sostituibili con apparati meccanici.
L'investimento del risparmio sarà più complesso. Disincentivazione dei consumi (con l'aumento dell'Iva) e appesantimento del prelievo fiscale sugl immobili sono preordinati a favorire l'acquisto di strumenti finanziari. 
Scarsamente dunque appetibile, per i motivi evidenziati (pur se comunque offre margini di sicurezza), l'acquisto immobiliare, a meno che costituisca strumento dell'attività prescelta, come nel caso della coltivazione della terra (con prodotti biologici o ricercati), o dell'allevamento (sempre altamente specializzato) di animali. Più interessante, eventualmente, in selezionati Paesi esteri, non particolarmente appetibili per mire speculative.
Alquanto incerto il ricorso a strumenti finanziari, per la prevedibile formazione di incontrollabili instabilità e l'aumento dei rischi in dipendenza dell'incremento delle tensioni speculative. Il volume del denaro fittizio creato con le acrobazie finanziarie cui si è fatto cenno, ammonta - nell'Eurozona (esclusa l'Inghilterra) - al 300% del Pil dell'area. Cifra che sale al 600% con la finanza-ombra.
Tra i beni rifugio, i dati raccolti privilegiano l'oro rispetto ai diamanti.

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