Data: 31/05/2017 11:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Commette resistenza a un pubblico ufficiale chi, privo di patente, assicurazione e bollo, si barrica nella propria autovettura minacciando i carabinieri di darsi fuoco e impedendo agli agenti di svolgere i dovuti controlli

Sul caso è intervenuta la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, che con la sentenza n. 26869/2017 (qui sotto allegata) ha respinto il ricorso di un uomo condannato per il reato di cui all'art. 337 del codice penale.

All'imputato era stato contestato di aver minacciato i carabinieri, che lo avevano sorpreso alla guida privo dei documenti del veicolo, della patente e della copertura assicurativa, di darsi fuoco con del liquido infiammabile, se gli avessero tolto l'autovettura, barricandosi al suo interno.

La difesa dell'uomo sostiene che il comportamento ascritto non fosse qualificabile nella fattispecie di cui all'art. 337 c.p.., quanto piuttosto in un comportamento di mera resistenza passiva, nella quale la minaccia aveva ad oggetto un danno riguardante la sola persona dell'imputato (in ogni caso neppure realizzabile, visto che il liquido posseduto non era infiammabile).

La Corte di appello, soggiunge il ricorrente, non avrebbe inoltre tenuto conto che la richiesta di scendere dal veicolo era comunque arbitraria, potendo legittimamente l'imputato andare via e non partecipare all'atto della contestazione.

È reato impedire i controlli con la minaccia

Per la Cassazione, invece la condotta ascritta all'imputato non può essere definita di mera resistenza passiva: l'uomo, infatti, non si è limitato a disobbedire alle richieste degli agenti, barricandosi all'interno dell'autovettura, ma, come accertato di Giudici di merito, ha tenuto un comportamento positivo, volto ad impedire, con l'uso della minaccia, al pubblico ufficiale di compiere l'atto del proprio ufficio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, prosegue il Collegio, per integrare la minaccia ad un pubblico ufficiale, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso di una qualsiasi coazione, anche morale, o anche una minaccia indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale.

Tale minaccia può essere anche costituita da una condotta autolesionistica dell'agente, quando la stessa sia finalizzata a impedire o contrastare il compimento di un atto dell'ufficio ad opera del pubblico ufficiale.

Integrano la fattispecie, pertanto, anche contegni o propositi autolesivi del soggetto agente, che, per l'intrinseca ingiustizia del male così minacciato, siano suscettibili di intralciare l'esercizio della pubblica funzione, cui quei propositi autolesivi sono in modo specifico e strumentale diretti.

L'idoneità della minaccia va valutata con giudizio ex ante

È inutile per l'imputato evidenziare che la minaccia si fosse rivelata in concreto irrealizzabile, per l'assenza di benzina nella bottiglia posseduta dall'imputato, poiché di ciò non potevano essere a conoscenza gli agenti: infatti, l'idoneità della minaccia posta in essere per opporsi al pubblico ufficiale deve essere valutata con un giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato non esclude il reato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato.

Neppure trova spazio l'esimenti di cui all'art. 393-bis c.p., perché gli agenti stavano svolgendo un legittimo atto di controllo e, una volta constatato che l'imputato circolava senza patente, senza libretto di circolazione e sprovvisto anche di copertura assicurativa, si apprestavano al fermo amministrativo dell'autovettura, secondo quanto dispone il codice della strada (art. 214).


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