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Data: 31/05/2017 17:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - La formazione continua riguarda non solo l'approfondimento delle conoscenze e competenze professionali già acquisite, ma anche il loro costante accrescimento ed aggiornamento, quindi anche l'apprendimento di materie nuove o solo in parte trattate nei corsi universitari, come la deontologia oppure la mediazione, la conciliazione e l'arbitrato. Lo ha precisato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 331/2016 (qui sotto allegata) pubblicata sul sito istituzionale il 30 magio 2017. Il ricorrente avvocato aveva impugnato la decisione con cui il competente COA gli infliggeva la sanzione disciplinare della censura per il mancato assolvimento all'obbligo della formazione continua, conseguendo 0 crediti sui 50 previsti per il triennio 2008/2010. Tuttavia, a dire dell'avvocato, il mancato assolvimento dell'obbligo di aggiornamento professionale è derivato dalla mancata consegna da parte del COA di appartenenza delle credenziali per accedere al sistema cd. "Riconosco", nonché dalla mancata comunicazione e pubblicizzazione degli eventi formativi per il conseguimento dei crediti. Per il CNF, tuttavia, l'impugnazione è infondata: per consolidata giurisprudenza, ai fini della imputabilità dell'infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza della illegittimità dell'azione ma è sufficiente la volontarietà con la quale è stato compiuto l'atto deontologicamente non corretto, a nulla rilevando la ritenuta sussistenza da parte del professionista di una causa di giustificazione o non punibilità. Nel caso di specie il mancato conseguimento di alcun credito formativo nel periodo indicato risulta incontestato e neppure risulta che l'avvocato abbia mai chiesto l'esonero dai crediti. Inoltre, prosegue il Collegio, la partecipazione agli eventi di cui all'art. 7 del regolamento della Formazione continua, è solo una delle ipotesi attraverso il quale i gli iscritti, soggetti all'obbligo formativo, possono assolverlo: si può, ad esempio, partecipare a corsi di aggiornamento, master, convegni giornate di studio, commissioni o gruppi di lavoro, eventi patrocinati del CNF o del Consiglio dell'Ordine. Formazione obbligatoria anche per materie nuove e non universitarieIl principio fissato dall'art. 13 del codice deontologico è un preciso dovere del professionista tenuto ad accrescere non solo le proprie conoscenze, ma a focalizzarle in relazione ai segmenti dell'attività nella quale viene ad incardinare il proprio impegno. Un obbligo che, sottolinea il CNF, non rappresenta un "il bollino blu dell'avvocato" o una mera raccolta di punti in una visione schematica e approssimativa del "sapere". Ed è per questo che accanto ai saperi giuridici tradizionalmente insegnati nelle Università, oggi è richiesto non solo l'ampliamento e rafforzamento delle conoscenze giuridiche, ma anche l'apprendimento post lauream di materie nuove o solo in parte trattate nei corsi universitari. Si tratta di argomenti come la deontologia, le tecniche dell'argomentazione e della persuasione, l'informatica giuridica e amministrativa, le scienze sociali e del comportamento, le tecniche di composizione stragiudiziale delle controversie, quali la mediazione, la conciliazione e l'arbitrato, l'organizzazione e gestione dello studio legale, le principali lingue straniere parlate nell'Unione Europea. In tal senso la formazione continua è funzionale, in primo luogo al mantenimento di conoscenza, abilità e competenze già acquisite, ma soprattutto all'aggiornamento, cioè all'acquisizione di dati giuridici (normativi, giurisprudenziali, dottrinali) nuovi in relazione all'espletamento degli incarichi professionali assunti, sì da rafforzare le suddette abilità e competenze. Aver elevato il dovere di aggiornamento al rango di fondamentale canone deontologico denuncia la piena consapevolezza del nesso esistente tra aggiornamento, qualità della prestazione e tutela di interessi che, personali nella loro dimensione effettuale, rispecchiano nella dinamica della difesa, un valore fondante la convivenza democratica. Pertanto, va rigettato il ricorso in quanto, sottolinea il Collegio, "la mancanza di consapevolezza della non ultroneità del precetto deontologico costituisce elemento esplicativo, di per sé, della indifferenza del ricorrente alla visione complessiva strutturante persino la norma deontologica di riferimento".
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