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Data: 05/06/2017 19:15:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Non c'è alcuna disparità di trattamento, di rilievo costituzionale, tra la possibilità della donna di abortire o dichiarare la sua volontà di mantenere l'anonimato perché non vuole essere madre e l'uomo che non può ingiustificatamente rifiutare di sottoporsi al test di paternità in quanto ciò rappresenta indizio decisivo che fa scattare l'accertamento giudiziale. Lo ha precisato la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 13880/2017 (qui sotto allegata) che si è pronunciata su ricorso di un uomo convenuto in giudizio dalla presunta figlia affinché fosse accertata e dichiarata giudizialmente la sua paternità naturale. L'uomo ha affermato di non ricordare di aver avuto una relazione con la madre della donna e comunque non essere mai stato informato della nascita della figlia. Le sue doglianze venivano accolte in Tribunale, ma a seguito d'impugnazione della sentenza, i giudici della Corte d'Appello disponevano CTU genetica a cui l'appellato rifiutava di sottoporsi per ragioni di salute. Da tale rifiuto, il collegio faceva scaturire l'accoglimento della domanda: il diniego opposto dall'uomo risulta ingiustificato essendo l'esame un semplice prelievo salivare, pertanto, tale rifiuto valutato congiuntamente all'incontestata frequentazione dei due presunti genitori in epoca compatibile con il concepimento integra la prova della fondatezza della domanda di accertamento di paternità. Niente disparità di regime tra maternità e paternità naturaleIn Cassazione l'uomo eccepisce, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art 269 c.c. per contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'ingiustificata disparità del regime giuridico relativo alla maternità e paternità naturali. Mentre la donna, spiega il ricorrente, può scegliere di non essere madre esercitando il diritto all'aborto o esercitando alla nascita del figlio il diritto di rimanere anonima, l'uomo non può scegliere di non essere padre perché non ha la possibilità di rimanere anonimo e sottrarsi all'azione di riconoscimento della paternità. Tuttavia per i giudici l'eccezione è infondata: le situazioni della madre e del padre, spiegano gli Ermellini, che il ricorrente ritiene normativamente discriminate non sono paragonabili. L'interesse della donna a interrompere la gravidanza ai sensi della L. 194/1978 e a rimanere animona ex d.P.R. 396/2000 non può esser assimilato all'intesse di chi, negando la volontà diretta alla procreazione, pretenda di sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale. Non può lamentarsi, dunque, alcuna disparità di trattamento attesa la ragionevolezza della scelta legislativa di regolare in maniera differenziata situazioni tra loro diverse.
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