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Data: 20/06/2017 22:50:00 - Autore: Valeria Zeppilli di Valeria Zeppilli – La riforma del processo penale approvata in via definitiva la scorsa settimana ha legalizzato i cd. trojan di Stato, ovverosia dei captatori informatici che, di fatto, si estrinsecano in dei malware mediante i quali controllare da remoto i dispositivi sui quali sono inseriti, ovverosia pc, tv, automobili, smartphone, tablet e tutto ciò che è connesso a internet. È una novità che, a ben vedere, è passata in secondo piano ma che, in realtà, produce degli effetti dirompenti: in sostanza, gli apparecchi interessati divengono dei veri e propri strumenti di intercettazione, che possono essere controllati da lontano, non solo aprendo le porte di tutti i loro contenuti, ma anche attivando telecamera o microfono. Lanciato il virus, insomma, le e-mail, le foto, i file, i documenti non saranno più un segreto ma potranno essere prelevati in qualsiasi momento. Reati interessatiLe indagini che potranno essere condotte attivando i trojan di Stato, peraltro, non sono solo quelle gravissime di mafia, concorrenza sleale e terrorismo, ma anche alcune di rilevanza minore, come quelle inerenti ai reati di ingiuria, frode commerciale, stupefacenti, minaccia e vendita di prodotti alimentari non genuini. La prassiIn realtà, la novità apportata dalla riforma del processo penale non è tale per tutti: molti tribunali, infatti, adottano già da tempo la prassi di ricorrere a un tal genere di malware. Lo fanno, però, trovando una legittimazione, peraltro solo parziale, nella giurisprudenza (cfr., ad esempio, Cass. n. 26889/2016). Oggi, invece, la nuova frontiera dell'intercettazione viene ufficializzata e diviene diffusa, con tutte le conseguenze che ne derivano. Vai allo speciale sulla riforma del processo penale con il testo approvato |
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