Data: 16/07/2017 16:00:00 - Autore: Giampaolo Morini

Avv. Giampaolo Morini - Il legislatore è intervenuto sulla disciplina della riscossione dei tributi, sia riguardo alla riscossione affidata all'adempimento spontaneo dei contribuenti[1], sia la fase della riscossione coattiva. Con riferimento a quest'ultima, i passaggi sono rinvenibili nella legge delega 28 settembre 1998, n. 337, come attuata dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 con la quale il legislatore intervenne sull'originaria disciplina della riscossione recata dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 – e dal d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, inerente gli assetti organizzativi, compiti, facoltà e diritti dei concessionari. Il decreto n. 46 , come si è potuto verificare nel corso del testo, è intervenuto su tutto l'apparato normativo in materia di riscossione coattiva, attribuendo ai concessionari poteri molto più incisivi nella ricerca dei beni da escutere come ad esempio, la possibilità di collegarsi direttamente alla banca dati dell'anagrafe tributaria, nonché, nella fase di esecuzione dell'espropriazione forzata. A rafforzare i poteri attribuiti ai concessionari della riscossione sono poi intervenute le modifiche all'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, che hanno reso ammissibile lo strumento del fermo amministrativo dei beni mobili registrati prima dell'inizio dell'espropriazione forzata prescindendo dall' esito infruttuoso del pignoramento[2], come era previsto prima della riforma, sia l'attribuzione ai concessionari del potere di promuovere azioni cautelari e conservative previste dalla legge a tutela delle prerogative del creditore[3], prima dell'avvio dell'espropriazione forzata. Nonostante tali profondi interventi, alla metà degli anni Duemila il sistema di riscossione coattiva dei tributi rimaneva, comunque, largamente inefficiente, per cause riconducibili, in gran parte, al carattere puramente burocratico dell'operatività dei concessionari della riscossione, interessati più ad ottenere il discarico dei ruoli loro affidati che a curare l'effettivo recupero delle somme iscritte (5).

Riscossione coattiva, la riforma del 2005

Dato il fallimento delle enunciate riforme[4], vieve varato una nuova importante riforma con il decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, che ha previsto l'affidamento della riscossione coattiva ad una società privata con capitale interamente pubblico[5] e, rafforzato i poteri attribuiti al agente della riscossione, proseguendo nella direzione, delle altre riforme, volte a disegnare un profilo procedurale distinto da quello processualcivilistico di diritto comune, riconoscendo, infine all'agente della riscossione i poteri autoritativi simili, per natura, a quelli propri della funzione di accertamento: si pensi al pignoramento dei crediti verso terzi di cui all'art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, in virtù del quale l'agente della riscossione può ordinare al terzo di pagare le somme dovute direttamente nelle mani dell'agente, senza la preventiva comparizione davanti al giudice ordinariamente prevista dall'art. 543 c.p.c.[6].

L'accertamento esecutivo

Nel quadro disegnato dal legislatore, spicca il cc.dd. "accertamento esecutivo" previsto dall'art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78: gli avvisi di accertamento emessi a partire dal 1° ottobre 2011[7] contengono anche l'intimazione al pagamento delle somme risultanti dall'accertamento, entro il termine di proposizione del ricorso, o, in caso di ricorso tempestivamente proposto, della metà delle somme stesse: quest'ultima riforma, ha, dunque posto le condizione per il superamento del ruolo e della relativa cartella di pagamento.

Tutte le riforme, però, evidenziano uno sbilanciamento rispetto alle tutele del contribuente-debitore, basti pensare alla procedimentalizzazione delle attività di riscossione[8] e alla fissazione, solo grazie alle statuizioni della Corte Costituzionale[9], di un termine di decadenza per la formazione, consegna e notificazione dei ruoli d'imposta[10].

I principi del primo protocollo addizionale alla Cedu

Sulla scorta delle considerazioni fatte, appare utile confrontarsi, adesso con i principi espressi dall'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), tutela, pur tuttavia non considerata assoluta ed inderogabile. Tale protocollo, tuttavia, determina dei parametri per il legislatore che deve perseguire il principio di proporzionalità, perseguendo il bilanciamento tra la tutela delle esigenze di riscossione delle entrate tributarie con la salvaguardia dei diritti umani, sub specie di diritti proprietari. In base ale note sentenze della Corte Costituzionale[11], le norme della CEDU integrano il parametro di costituzionalità rilevante exart. 117 Cost. con conseguente sindacabilità in punto di legittimità costituzionale delle previsioni interne eventualmente confliggenti con la Convenzione[12]. Il CEDU, ha, dunque acquistato, un ruolo determinante per una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in commento principio anche noto come "interpretazione conforme"[13]. L'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU tutela il diritto di proprietà; ovvero, "ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni"[14]. Il secondo periodo del primo paragrafo nonché il secondo paragrafo del medesimo art. 1 contengono, prevedono, naturalmente, norme che autorizzano la limitazione del diritto di proprietà: la privazione della proprietà, detta esproprio o nazionalizzazione, è soggetta al rispetto di condizioni, ovvero la sussistenza una "causa di pubblica utilità" e a condizione che ciò avvenga "nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale". Il secondo paragrafo, consente agli Stati di comprimere il diritto di proprietà per "porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende". La giurisprudenza della Corte europea ha chiarito il rapporto intercorrente tra le tre norme ricavabili dalle disposizioni in discorso[15]. Il diritto di proprietà riconosciuto dal CEDU ha una portata autonoma rispetto a quella attribuita dagli ordinamenti giuridici interni[16], in quanto, accoglie una nozione di proprietà dai caratteri oggettivi, quasi un diritto"naturale, quindi sganciato da un interesse pubblico superiore, rinvenibile nel CEDU solo sotto forma di tutela dei singoli diritti previsti a livello convenzionale[17].

In particolare[18], se da un lato occorre tenere conto della c.d. "comunitarizzazione della CEDU"[19]e dell'inserimento della protezione dei diritti proprietari prevista dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (c.d. "Carta di Nizza") in un contesto di preminenza assiologica dei valori della concorrenza e del mercato[20], non possono trascurarsi, dall'altro lato, i principi costituzionali di solidarietà ed uguaglianza, quali principi fondamentali invalicabili per lo stesso diritto comunitario, che, per il tramite del riferimento alla funzione sociale della proprietà presente in diversi ordinamenti nazionali[21], limitano dall'interno la nozione di proprietà al fine di consentirne l'utilizzo per i diversi scopi sanciti a livello costituzionale, ivi compresi quelli attinenti al concorso alle spese pubbliche da parte dei consociati[22].

La riscossione coattiva subisce, dunque, l'influenza, sia del secondo paragrafo dell'art. 1 relativo alla compressione dei diritti proprietari, sia del secondo periodo del primo paragrafo della stessa disposizione, relativa all' ipotesi di privazione del diritto di proprietà. Il secondo periodo del primo paragrafo dell'art. 1 stabilisce che la privazione della proprietà può avvenire solo qualora sussista una "causa di pubblica utilità" e siano comunque osservate "le condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale". La Corte di Strasburgo, che accoglie la tesi della proprietà "oggettiva" ha, comunque, costantemente, dato ampio margine al requisito della "causa di pubblica utilità", avallando ogni politica legittima, di ordine sociale e economico, riconoscendo agli Stati, molta discrezionalità nell'adattare il proprio sistema tributario[23]. La dottrina, in questi casi, richiama il c.d. "margine di apprezzamento statale" elaborata dalla Corte europea dei diritti umani, che, pur confermando l' assenza nel CEDU di una funzionalizzazione dei diritti proprietari ad interessi generali di rango superiore, riconosce agli Stati contraenti un'ampia margine di operatività circa gli obiettivi di politica economica e sociale da realizzare e, evidenziando, la carenza di legittimazione da parte della stessa Corte a procedere ad un sindacato di carattere sostanziale sulla meritevolezza del fine perseguito dagli Stati[24], salvo il caso in cui esso si riveli "manifestement dépourvu de base raisonnable" quindi arbitrario[25]. La giurisprudenza della Corte, ha fissato dei principi a cuile norme nazionali devono attenersi, ovvero: precisione, accessibilità e prevedibilità, ritenendo inammissibili poteri discrezionali delle autorità statali tali da rendere imprevedibili i relativi comportamenti[26]. relativamente alla conformità del provvedimento adottato alle norme di riferimento, la Corte ha evidenziato come tale requisito si sostanzi nel "devoir de l'Etat ou d'une autorité publique de se plier à un jugement ou un arrêt rendus a leur encontre"[27]: i comportamenti palesemente arbitrari devono essere censurati. In tema di privazione e compressione dei diritti proprietari, la Corte di Strasburgo, è attenta nel dare preminenza al giudizio di proporzionalità espressione del c.d. "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo: la Corte considera tale principio, requisito implicito in ognuna delle diverse previsioni dell'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU[28]. Il principio della proporzionalità, ben presente nell'ordinamento comunitario[29], è ormai divenuto principio presente anche nell'ordinamento interno[30], ed ha assunto la struttura di tripartizione elaborata dalla dottrina e giurisprudenza tedesca in merito al Verhältnismäßigkeitprinzip, vale a dire la verifica di idoneità (Geeignetheitsprüfung), il controllo di necessità (Notwendigkeitsprüfung) e, infine, la ponderazione vera e propria degli interessi in gioco (Abwägung ovvero Verhältnismäßigkeit im engeren Sinne)[31]. La Corte europea dei diritti umani, sulla base del c.d. "margine di apprezzamento statale", pone particolare attenzione al rapporto tra necessità della misura rispetto al fine perseguito, sfumando l'attenzione sulla verifica di idoneità ovvero, il rapporto tra atto e funzione, tra mezzo impiegato e fine predeterminato: il giudizio della Corte, adotta in definitiva, il tradizionale insegnamento per cui il mezzo prescelto non deve risultare eccessivo per il raggiungimento del fine (regola del c.d. "mildestes Mittel") e, più in generale, sulla valutazione complessiva del "giusto equilibrio" tra perseguimento delle esigenze statali e salvaguardia dei diritti umani, sub specie di diritti proprietari. Appare, a questo punto, esaminare la giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativa all'applicazione del citato art. 1 a questioni di carattere tributario. La prima pronuncia da esaminare, è indubbiamente, il caso Hentrich, avente ad oggetto il comportamento dell'Amministrazione finanziaria francese che esercitò il proprio diritto di prelazione su un appezzamento di terreno oggetto di compravendita, ritenendo il corrispettivo troppo basso, in virtù dell'allora[32] art. 668 del Code General des Impots, secondo cui il direttore generale delle imposte, qualora "estimant insuffisant le prix de cession déclaré dans l'acte", esercitava il diritto di prelazione sugli immobili oggetto della transazione, corrispondendo il prezzo contrattualmente previsto, maggiorato del dieci per cento, oltre al rimborso delle spese sostenute. Il caso in esame trova il suo spazio nel secondo periodo del primo paragrafo dell'art. 1, in quanto fattispecie di espropriazione dei beni della sig.ra Hentrich[33]. La Corte, nel rispetto del principio del "margine di apprezzamento statale"[34], limita il giudizio al profilo della proporzionalità.

Riguardo, poi al requisito di conformità alla legge, i giudici di Strasburgo hanno censurato la normativa francese affermando che "the pre-emption operated arbitrarily and selectively and was scarcely foreseeable, and it was not attended by the basic procedural safeguards"[35]. La Corte contesta che la sig.ra Hentrich non fosse stata messa in condizione di presentare le proprie osservazioni in merito alla legittimità del comportamento tenuto dall'Amministrazione finanziaria e non fosse stata concessa alla ricorrente l'opportunità di sindacare l'esistenza in concreto del presupposto normativamente previsto per l'esercizio del potere, ovvero l'esiguità del prezzo corrisposto per l'acquisto[36]. La Corte rileva l'inadeguatezza delle forme di tutela previste dall'ordinamento francese, infatti pur, ritenendo la condotta conforme al requisito di necessità[37], ha precisato che la "sig.ra Hentrich ha sopportato un pregiudizio eccessivo [al diritto di proprietà] che avrebbe potuto considerarsi legittimo qualora le fosse stata data la possibilità – negata, nella realtà dei fatti – di contestare il provvedimento adottato nei suoi confronti"[38]. La Corte di Strasburgo ha sottolineato la necessità di prevedere tutele adeguate a favore del contribuente[39]. Nelle questioni tributarie la Corte riconosce l'esistenza di un'ampia discrezionalità in capo alle autorità statali con riferimento agli scopi che essi perseguono ma poi procede a valutare l'eventuale arbitrarietà e, quindi, il rispetto del canone di proporzionalità della misura anche in rapporto al procedimento a quel principio del contraddittorio che informa, in particolare, le norme di cui all'art. 6 della CEDU, che la stessa Corte ha più volte ritenuto di per sé inapplicabile alla materia tributaria[40]. In quest'ottica, allora, si può cogliere un interessante collegamento tra le prerogative di cui all'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU e le garanzie processuali accordate dall'art. 6 della convenzione; garanzie, queste ultime, che tendono ad assumere rilievo anche nell'ambito della tutela del diritto di proprietà, sia pur nei limiti del requisito di conformità alla legge della misura esaminata e, più in generale, del giudizio di proporzionalità. Quanto ai mezzi di tutela predisposti dall'ordinamento, è diffusamente ritenuto rilevante il caso Buffalo[41], avente ad oggetto il ritardato rimborso di crediti tributari ad opera dell'Amministrazione finanziaria italiana e delle conseguenti ripercussioni negative del ritardo sul contribuente. Incidentelmante, la Corte esamina una eccezione di iammissibilità del ricorso sollevata dallo Stato Italiano, ovvero il non aver esaurito i ricorsi interni ex art. 35 della CEDU. La Corte ha precisato che se è ben vero che l'art. 35 impone di esaurire previamente i ricorsi interni rispetto alla proposizione del ricorso alla Corte di Strasburgo, un ricorrente non è comunque tenuto ad esperire quei ricorsi che, pur essendo teoricamente idonei a costituire una via di ricorso, sono di fatto sprovvisti di chance di successo. Nel caso in esame, secondo la Corte europea dei diritti umani, l'efficacia di un rimedio interno risulta indissolubilmente legata alla celerità della sua esecuzione, diversamente, la sua esistenza diviene meramente apparente; l'impugnazione del silenzio-rifiuto giusta l'art. 69 del d.lgs. n. 546 del 1992, presuppone, perché il provvedimento di accoglimento divenga esecutivo, che siano stati aditi i tre gradi di giudizio con conseguente impiego di molto tempo. La disciplina sulle procedure previste nel sistema tributario italiano per il recupero dei crediti vantati verso il Fisco[42], data la lentezza delle procedure possano assumere rilievo nel momento finale del giudizio di proporzionalità (Abwägung ovvero Verhältnismäßigkeit im engeren Sinne), in cui si assiste alla ponderazione vera e propria degli interessi coinvolti. I principi espressi dalla Corte di Giustizia appena enunciati possono trovare applicazione in relazione agli istituti dell'iscrizione di ipoteca e del fermo amministrativo di beni mobili registrati di cui, rispettivamente, agli artt. 77 e 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, specie, in relazione ai quali sono note le incertezze che fino a non molto tempo fa persistevano sulla giurisdizione competente a vagliare la legittimità dei relativi provvedimenti, questione definitivamente risolta, per i mezzi di tutela dei crediti aventi natura tributaria, dall'art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 che ha modificato l'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 al fine di attribuire alla giurisdizione tributaria anche i ricorsi aventi ad oggetto tali provvedimenti. Ebbene, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani ha più volte evidenziato come le misure compressive o limitative dei diritti proprietari debbano comunque rispettare il fondamentale principio di proporzionalità rispetto alle finalità da queste perseguite. La sospensione dell'esecuzione exart. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, pur precludendo all'agente della riscossione l'esecuzione forzata del bene ipotecato, non fornisce piena tutela alle istanze del contribuente, restando ferma l'iscrizione di ipoteca effettuata, se del caso, in violazione della disciplina positiva[43]. Il giudice tributario investito dell'esame di legittimità dei provvedimenti di fermo amministrativo e di iscrizione di ipoteca dovrebbe fondare il proprio giudizio non solo avendo riguardo agli eventuali vizi fatti valere dal contribuente in punto di insussistenza dei presupposti per l'adozione di tali misure, ma anche alle censure relative al profilo della sproporzione tra l'ammontare del credito erariale ed il valore del bene sottoposto al vincolo[44]. Tale potere/dovere di indagine è sicuramente desumibile dall'impianto complessivo dell'art. 1 del primo Protocollo addizionale ed il principio del c.d. "giusto equilibrio" , ma anche dal principio generale di razionalità ed economia dell'azione amministrativa. La Corte di Strasburgo rileva la necessità che il giudice tributario adito proceda anche ad una valutazione di proporzionalità della misura adottata, ivi compreso il profilo attinente al rapporto tra il valore del bene individuato a garanzia del credito erariale e l'ammontare del credito garantito[45]. All'uopo, si segnalano pronunce dei giudici tributari che, hanno disposto la cancellazione di ipoteche iscritte in relazione ad un credito già ampiamente ed integralmente assistito dalla garanzia del fermo di beni mobili registrati sulla base dell'applicazione analogica in ambito tributario delle previsioni processualcivilistiche in materia di riduzione della garanzia (e, specificamente, del bene sottoposto a sequestro conservativo)[46]o, ancora, che, sulla scorta di un principio di consequenzialità dei beni da assoggettare alla garanzia del credito erariale, hanno respinto la richiesta avanzata dall'Agenzia delle entrate di sottoposizione a sequestro conservativo dell'azienda del debitore nel caso in cui la stessa Agenzia non aveva iscritto ipoteca legale sui beni del debitore, né aveva proceduto al sequestro conservativo dei beni personali del debitore medesimo, dovendo considerarsi il sequestro conservativo dell'azienda alla stregua di extrema ratio rispetto alla garanzia del preteso credito erariale[47]. I principi espressi dalla Corte di Strasburgo, hanno trovato un accoglimento, (forse solo formale vista l'esiguità del limite) nel limite di ottomila euro per l'iscrizione di ipoteca previsto dall'art. 3, comma 2-ter del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40[48] poi portato a ventimila euro e la statuizione che di crediti erariali di ammontare assai esiguo non consentono l'adozione di misure cautelari ma devono essere preceduto da misure meno invasive dei diritti proprietari, quali, in particolare, l'invio di solleciti di pagamento[49]. La prospettiva di giusto equilibrio tra interesse della collettività e salvaguardia dei diritti individuali fanno sì che l'azione dello stesso agente della riscossione si conformi a quella regola del "mildestes Mittel" insita nel principio di proporzionalità, evitando che i crediti erariali di ammontare esiguo possano essere tutelati con mezzi sproporzionati rispetto al loro valore. Le stesse considerazioni, vanno fatte in relazione al pignoramento esperibile da parte dell'agente della riscossione e, in particolare, le norme relative ai crediti verso terzi vantati dal debitore. Infatti, qualora il terzo debitore sia una pubblica amministrazione si assiste, ad una combinata applicazione delle norme in materia di sospensione del pagamento da parte della pubblica amministrazione ex art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 e di pignoramento del credito ex art. 72-bis del medesimo decreto che, appare nettamente sbilanciata in favore delle ragioni dell'agente della riscossione lasciando poco spazio alla tutela del contribuente. Occorre ricordarec he in presenza di un debito di valore superiore a diecimila euro contratto dalla pubblica amministrazione, questa, prima di procedere al pagamento del debito, è tenuta a richiedere all'agente della riscossione se sussistano pendenze del proprio creditore (una o più cartelle di pagamento) e, in caso affermativo, sospendere il pagamento dovuto. Tale procedura, che secondo il decreto ministeriale di attuazione dell'art. 48-bis, si svolge nel tempo di cinque giorni, è normalmente seguita dall'ulteriore iniziativa dell'agente della riscossione ex art. 72-bis, che può emanare un atto di pignoramento del credito vantato dal debitore esecutato verso il terzo che contenente l'ordine rivolto al terzo di effettuare, entro quindici giorni, il pagamento del credito nelle mani dell'agente della riscossione, almeno fino a concorrenza del debito erariale. Appare evidente, che l'intera procedura si svolge in un arco di tempo così ristretto da rendere improbabile che il debitore erariale possa far tempestivamente valere le proprie ragioni dinanzi al giudice, tenuto conto, che l'ordine di pagamento impartito dall'agente della riscossione al terzo non sempre viene notificato anche al debitore e che l'unico strumento astrattamente in grado di soddisfare le esigenze di quest'ultimo dovrebbe rintracciarsi in quella sospensione dell'esecuzione exart. 60 del d.P.R. n. 602 del 1973 con la difficoltà, tuttavia di provare i "gravi motivi": tali procedure appaiono sbilanciate e pregiudicano le prerogative del contribuente-debitore. In tale prospettiva, a nulla servirà ricordare il termine dilatorio di trenta giorni previsto per l'adozione dell'atto di pignoramento ex art. 72-bis rispetto alla sospensione del pagamento ex art. 48-bis(54), in quanto il debitore esecutato che già incontra difficoltà nell'individuare il giudice competente, poiché non indicato in modo chiaro nella disciplina normativa, e che, peraltro, un giudice dell'esecuzione potrebbe anche non esistere dato che l'art. 61 del d.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo il pagamento effettuato dal terzo direttamente all'agente di riscossione con conseguente estinzione del procedimento di espropriazione[50]. Ecco, allora, un ambito in cui è auspicabile un intervento legislativo o giurisprudenziale che vada nella direzione del ripristino di quel "giusto equilibrio" tra le contrapposte esigenze più volte affermato dalla Corte di Strasburgo appare quantomai auspicabile.

Anche i cc.dd. "accertamenti esecutivi" destinata a spiegare i propri effetti, a partire dagli accertamenti notificati dopo il 1° ottobre 2011, non rispettano i principi CEDU[51]. Alla luce della menzionata giurisprudenza Buffalo della Corte di Strasburgo in merito alla rilevanza dei profili fattuali relativi alla celerità e, quindi, all'adeguatezza dei rimedi a disposizione dei contribuenti, pare, evidente l'inadeguatezza delle tutele a disposizione dei contribuenti nei casi di omessa notificazione degli avvisi di accertamenti[52]: a seguito delle modifiche normative in discorso, l'atto successivo all'avviso di accertamento di cui il debitore avrà conoscenza sarà costituito, nella generalità dei casi[53], dal verbale di pignoramento (in caso di espropriazione mobiliare) ovvero dall'avviso di vendita (in caso di espropriazione immobiliare). Ebbene, tali atti, appaiono difficilmente contrastabili in ambito tributario, tenuto conto proprio dei limiti che l'art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973 pone all'esperibilità sia dell'opposizione all'esecuzione sia dell'opposizione agli atti esecutivi[54], peraltro rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario[55]. Di qui l'evidente carenza di tutele a disposizione dei contribuenti, suscettibile di assumere rilievo con riferimento non solo ai principi costituzionali di tutela del diritto di difesa, ma anche sub specie di violazione del giusto equilibrio tra interessi erariali e salvaguardia dei diritti proprietari garantito dall'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU.

Avv. Giampaolo Morini (foro di Lucca)
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[1] M. BASILAVECCHIA, La riscossione dei tributi, in "Rassegna tributaria" n. 1/2008, pagg. 22 e ss. – nell'ambito della riscossione c.d. "spontanea" e, più precisamente, nel rapporto tra dichiarazione e versamenti spontanei effettuati dai contribuenti si è passati da un sistema in cui il versamento, quale atto di carattere meramente esecutivo di una liquidazione del tributo effettuata in dichiarazione, costituiva oggetto di controllo di legittimità alla stregua di un parametro – la dichiarazione, quale atto di liquidazione del tributo predisposto dal contribuente – del tutto esterno ad esso, ad un sistema in cui, in virtù dell'introduzione dell'istituto della compensazione c.d. "orizzontale" e della concessione di benefici finanziari sotto forma di crediti d'imposta fruibili in sede di pagamento delle imposte dovute, il versamento trascende la sua natura di atto meramente esecutivo, assorbendo anche la funzione che sarebbe stata propria di istanze di rimborso o di opzioni per il riporto in avanti di posizioni creditorie. Di qui l'introduzione negli ultimi anni di norme rivolte ad attuare un controllo più stringente sull'utilizzo di crediti in compensazione e, specificamente, a sanzionare, sotto il profilo tanto amministrativo quanto penale, l'utilizzo in compensazione di crediti inesistenti.

[2] Si veda, in proposito, la modifica recata dall'art. 1, comma 1, lett. q) del d.lgs. 27 aprile 2001, n. 193. In precedenza, il potere di disporre il fermo amministrativo di beni mobili registrati era attribuito alla Direzione Regionale delle entrate, che poteva esperirlo, tuttavia, solo quando non era possibile eseguire il pignoramento per mancato reperimento dei beni.

[3] Si vedano le modifiche recate dall'art. 1, commi 415 e seguenti della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge c.d. "finanziaria per il 2005"). Per un'analisi dell'evoluzione normativa in materia di riscossione dei tributi si veda R. RINALDI, voce Riscossione dei tributi, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Milano, 2006, vol. V, p. 5341-5352.

[4] S. GOLINO, La riforma della riscossione: cause e novità, in "il fisco" n. 9/2006, fascicolo n. 1, pagg. 1316 e ss.

[5] A. PARLATO, Gestione pubblica e privata nella riscossione dei tributi a mezzo ruolo, in "Rassegna tributaria" n. 5/2007, pagg. 1355 e ss. nonché M.C. PARLATO, Brevi note sulla Riscossione S.p.A., in "Rassegna tributaria" n. 4/2006, pagg. 1174 e ss.

[6] Vale evidenziare, peraltro, come l'art. 3, comma 40, del decreto-legge n. 203 del 2005 avesse limitato la forma di pignoramento in discorso allo stipendio percepito dal debitore-lavoratore (pignoramento del c.d. "quinto dello stipendio") e alle somme dovute a seguito della cessazione del rapporto di lavoro. Tale pignoramento – che, comunque, già rappresentava un'estensione della speciale forma di pignoramento previsto per i fitti e le pigioni dall'art. 72 del d.P.R. n. 602 del 1973 – è stato poi generalizzato nel suo ambito applicativo a tutti i "crediti presso terzi" vantati dal debitore iscritto ad opera dell'art. 2, comma 6, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262. Per una lucida disamina dell'evoluzione normativa in materia, vedi C. GLENDI, La «nuova» espropriazione dei crediti del debitore verso terzi nell'esecuzione forzata tributaria, in "Corriere tributario", 2007, pagg. 263 e ss.

[7] Originariamente, il termine di riferimento era il 1° luglio 2011. Il differimento dell'applicazione della riforma al 1° ottobre 2011 è stato previsto dall'art. 23, comma 30, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.

[8] M BASILAVECCHIA, La riscossione dei tributi, cit., p. 22 e ss. il quale sintetizza le numerose modifiche intervenute nell'ambito della riscossione coattiva dei crediti erariali operando riferimento ad una "spiccatissima procedimentalizzazione delle attività di riscossione, che si espande fino all'imminenza del pignoramento o meglio fino alla stessa esecuzione del pignoramento".

[9] Corte Costituzionale n. 280 del 15 luglio 2005. Per un commento della pronuncia si veda E. DE MITA, La Corte evidenza una doppia lacuna, in "Il Sole 24 Ore", 16 luglio 2005; M. ALLENA, I termini della riscossione: moniti della Corte Costituzionale ed interventi del legislatore, in "Rivista di diritto tributario", 2005, parte II, p. 649 e ss.; A. CARINCI, Termini di notifica della cartella di pagamento e funzioni del ruolo: perplessità applicative e dubbi sistematici in merito al nuovo art. 25 del d.P.R. n. 602/1973, in "Rassegna tributaria" n. 5/2005, pagg. 1669 e ss.

[10] M. BASILAVECCHIA, Il ruolo e la cartella di pagamento: profili evolutivi della riscossione dei tributi, in Diritto e pratica tributaria, 2007, pagg. 127 e ss.

[11] Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 2007. Le sentenze hanno formato oggetto di un'ampia disamina in dottrina. Si vedano, per tutti, AA.VV., Riflessioni sulle sentenze 348-349/2007 della Corte Costituzionale, a cura di C. SALAZAR-A. SPADARO, Milano, 2009; B. CONFORTI, La Corte costituzionale e gli obblighi internazionali dello Stato in tema di espropriazione, in "Giurisprudenza italiana", 2008, pagg. 569-573; A. RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d'inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte Cost. nn. 348 e 349 del 2007), in www.forumcostituzionale.it.

[12] A seguito delle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, la Corte Costituzionale è più volte intervenuta a precisare il proprio orientamento in merito ai rapporti tra ordinamento interno e norme internazionali recate dalla CEDU. Il riferimento è alle sentenze della Corte Costituzionale nn. 39 e 129 del 2008, 311 e 317 del 2009 e 93 del 2010. La questione, peraltro, è ben lungi dall'essere risolta. Un profilo di rilievo riguarda quell'orientamento manifestato dalla giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, incline ad affermare la c.d. "comunitarizzazione" della CEDU, con conseguente applicabilità anche nei confronti delle norme della convenzione europea della ben nota dottrina sulla disapplicazione diretta ad opera dei giudici nazionali delle norme interne confliggenti con le norme comunitarie. E ciò sulla scorta del carattere innovativo dell'art. 6, par. 3, del TUE, in forza del quale "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali". Per menzionare le sole pronunce più recenti fondate su questo assunto, può farsi riferimento da un lato alla sentenza del TAR Lazio, sez. II-bis, 18 maggio 2010, n. 11984 e, dall'altro lato, alle sentenze del Consiglio di Stato, 2 marzo 2010, n. 1220;28 maggio 2010, n. 3760 e 29 settembre 2010, n. 7200, quest'ultima con nota di D. GALLO-L. PALADINI, Note sulla "rilevanza diretta" della CEDU nella recente giurisprudenza amministrativa, in corso di pubblicazione in "Giurisprudenza italiana". Per una risposta, neanche tanto indiretta, della Corte Costituzionale a tali posizioni giurisprudenziali, nel senso che la disapplicazione diretta ad opera dei giudici nazionali delle norme interne confliggenti costituisce principio informatore dei soli rapporti tra diritto interno e diritto comunitario e, come tale, non estensibile anche ai rapporti tra normativa CEDU e diritto interno, a proposito dei quali resta fermo il sindacato di costituzionalità ad opera della Consulta, si veda la recente sentenza della stessa Corte n. 80 dell'11 marzo 2011. Per un primo commento di tale sentenza, considerata quale vera e propria summa del pensiero della Corte Costituzionale in tema di rapporti interordinamentali, si veda A. RUGGERI, La Corte fa il punto sul rilievo interno della CEDU e della Carta di Nizza-Strasburgo, in www.forumcostituzionale.it.

[13]A. CELOTTO-G. PISTORIO, Interpretazioni comunitariamente e convenzionalmente conformi, in Giurisprudenza italiana, 2010, pagg. 1979 e ss. nonché G. PISTORIO, I "limiti" all'interpretazione conforme: cenni su un problema aperto, in "Rivista AIC", 2011, n. 2, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

[14] M.L. PADELLETTI, Art. 1 Protezione della proprietà, in AA.VV., Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a cura di S. BARTOLE-B. CONFORTI-G. RAIMONDI, Padova, 2001, p. 801-802.

[15] Si vedano, in proposito, la fondamentale Corte europea dei diritti dell'uomo, 23 settembre 1982, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, nonché Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 febbraio 1986, James e altri c. Regno Unito; Corte europea dei diritti dell'uomo, 9 dicembre 1994, Les saints monastères c. Grecia; Corte europea dei diritti dell'uomo, 25 marzo 1999, Iatiridis c. Grecia; Corte europea dei diritti dell'uomo, 28 luglio 1999, Immobiliare Saffi c. Italia. In dottrina, si vedano N. BARATTI, Genesi ed interpretazione dell'articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo nei lavori preparatori, in "Rivista internazionale dei diritti dell'uomo", 1989, p. 215 e ss.; F. BUONUOMO, La tutela della proprietà dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, Milano, 2005, p. 65 e ss.; L. CONDORELLI, La proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in Rivista di diritto internazionale, 1970, p. 187 e ss.

[16] M.L. PADELLETTI, Art. 1 Protezione della proprietà, cit., p. 803, nonché L. CONDORELLI, in AA.VV., La Convention européenne des Droits de l'Homme. Commentaire article par article, Parigi, 1995, p. 975.

[17] M. COMBA, Verso una nuova funzione della proprietà privata, in AA.VV., Diritti e Costituzione nell'Unione europea, a cura di G. ZAGREBELSKY, Roma-Bari, 2003, p. 164-167. Nella stessa linea di pensiero anche R. CONTI, Proprietà e Convenzione dei diritti dell'uomo, in AA.VV., La proprietà e i diritti reali minori, a cura di R. CONTI, Milano, 2009, p. 249, secondo cui "il sostrato del diritto di proprietà avuto presente dai conditores del Protocollo n. 1 della CEDU sembra a tratti assai vicino ad una concezione giusnaturalistica che intravede nella proprietà non un mezzo per raggiungere determinati fini, ma piuttosto un diritto soggettivo 'pre-statuale': una sorta di diritto naturale innato che costituisce elemento essenziale della dignità umana e che, come tale, rappresenta un valore fondamentale della persona". Si veda, ancora, C. ZANGHÌ, La proprietà e i diritti umani, in "I diritti dell'uomo", 1999, p. 42 che, con riferimento all'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, afferma che "la proprietà viene privilegiata perché viene considerata come il frutto della trasformazione della natura ad opera del lavoro umano ed è quindi la proiezione di questo diritto di libertà".

[18] RISCOSSIONE COATTIVA E CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO: ALCUNE RIFLESSIONI di Giuseppe Melis e Alessio Persiani, Rass. Tributaria, 2011, 4, 901.

[19] M. COMBA, Verso una nuova funzione della proprietà privata, in AA.VV., Diritti e Costituzione nell'Unione europea, a cura di G. ZAGREBELSKY, Roma-Bari, 2003, p. 164-167. Nella stessa linea di pensiero anche R. CONTI, Proprietà e Convenzione dei diritti dell'uomo, in AA.VV., La proprietà e i diritti reali minori, a cura di R. CONTI, Milano, 2009, p. 249, secondo cui "il sostrato del diritto di proprietà avuto presente dai conditores del Protocollo n. 1 della CEDU sembra a tratti assai vicino ad una concezione giusnaturalistica che intravede nella proprietà non un mezzo per raggiungere determinati fini, ma piuttosto un diritto soggettivo 'pre-statuale': una sorta di diritto naturale innato che costituisce elemento essenziale della dignità umana e che, come tale, rappresenta un valore fondamentale della persona". Si veda, ancora, C. ZANGHÌ, La proprietà e i diritti umani, in "I diritti dell'uomo", 1999, p. 42 che, con riferimento all'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, afferma che "la proprietà viene privilegiata perché viene considerata come il frutto della trasformazione della natura ad opera del lavoro umano ed è quindi la proiezione di questo diritto di libertà".

[20] V. nota 13.

[21]Nell'ambito della Carta di Nizza, la tutela della proprietà è prevista dall'art. 17, in base al quale "ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale". Sulla preminenza assiologica in ambito comunitario della tutela della concorrenza e del mercato e sulla diversità rispetto alla CEDU – nel cui contesto, come detto, la proprietà è tutelata a prescindere da una sua funzionalizzazione ad un interesse pubblico superiore – si veda M. COMBA, Verso una nuova funzione della proprietà privata, cit., p. 166-167, il quale evidenzia la non equivalenza della tutela prevista dalla Carta di Nizza rispetto a quella di cui all'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU "per il semplice motivo che essa è inserita in un sistema assiologico, con buona pace delle declamazioni circa la neutralità e la natura meramente compilativi della Carta". Si veda anche R. CONTI, Proprietà e diritto comunitario, in AA.VV., La proprietà e i diritti reali minori, a cura di R. CONTI, Milano, 2009, p. 259 il quale, dopo aver chiarito che nell'ordinamento comunitario – e a differenza dell'ambito CEDU – la proprietà può subire limitazioni per il perseguimento di altri interessi concorrenti, puntualizza che la "funzione sociale comunitaria" della proprietà "è strumentale alla salvaguardia delle libertà economiche riconosciute nei Trattati e specificamente connesse agli sviluppi economici del mercato interno" e che "in questa prospettiva, le similitudini con il sistema costituzionale della funzione sociale […] della proprietà si attenuano profondamente", atteso che "nel diritto comunitario ad assumere valenza pregnante sono gli obiettivi mercantilistici, tratteggiati nel Preambolo al Trattato istitutivo della Comunità europea".

[22] Il riferimento è non solo all'art. 42, secondo comma, della Costituzione italiana, ma anche all'art. 14, secondo comma, della Grundgesetz tedesca, a mente del quale "Eigentum verpflichtet. Sein Gebrauch soll zugleich dem Wohle der Allgemeinheit dienen" (traduzione: La proprietà comporta degli obblighi. Il suo uso deve servire nel contempo al benessere della collettività). Sul ruolo di tale previsione si veda, ex multis, R. WENDT, Art. 14, in AA.VV., Grundgesetz. Kommentar, a cura di M. SACHS, Monaco, 2009, p. 615 e ss

[23] Corte europea dei diritti dell'uomo, 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, par. 80; Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 maggio 2002, Jokela c. Finlandia, par. 52; Corte europea dei diritti dell'uomo, 16 marzo 2010, Belmonte c. Italia, par. 41.

[24] La Corte di Strasburgo sembra porsi in linea di coerenza con quanto sopra illustrato in merito al carattere tendenzialmente oggettivo della tutela dei diritti proprietari offerta dalla CEDU, al di fuori, cioè, di un nesso funzionale di tale tutela rispetto a superiori valori o interessi di carattere generale.

[25] ex multis, F. BUONUOMO, La tutela della proprietà dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, cit., p. 73 e ss.; F. MANGANARO, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo e il diritto di proprietà, in "Diritto amministrativo", 2008, p. 379 e ss.; M.L. PADELLETTI, Art. 1 Protezione della proprietà, cit., p. 811 e ss.; M.L. PADELLETTI, La tutela della proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Milano, 2003, p. 174 e ss; C. PANZARINO, Il diritto di proprietà nell'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Rassegna di giurisprudenza, in "Rivista amministrativa della Repubblica italiana", 2003, p. 340-341.

[26] Corte europea dei diritti dell'uomo, 8 luglio 1986, Lithgow e altri c. Regno Unito, par. 110; Corte europea dei diritti dell'uomo, 22 settembre 1994, Hentrich c. Francia, par. 42; Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 febbraio 2008, Driha c. Romania, par. 31. Si veda altresì la recentissima Corte europea dei diritti dell'uomo, 7 luglio 2011, Serkov c. Ucraina su cui, più ampiamente, la successiva nota n. 37. M.L. PADELLETTI, Art. 1 Protezione della proprietà, cit., p. 821 secondo cui "oltre ad accertare l'esistenza di un interesse generale che giustifichi la regolamentazione dell'uso dei beni, la Corte applica anche a tale proposito i principi di legalità e proporzionalità". Quanto alla giurisprudenza, si veda la statuizione contenuta in Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 maggio 2002, Jokela c. Finlandia, par. 48, secondo cui "each of the two forms of interference defined must comply with the principle of lawfulness and pursue a legitimate aim by means reasonably proportionate to the aim sought to be realised".

[27] Corte europea dei diritti dell'uomo, 25 marzo 1999, Iatridis c. Grecia, par. 58.

[28] M.L. PADELLETTI, Art. 1 Protezione della proprietà, cit., p. 814-815.

[29] D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità nella giurisprudenza comunitaria, in "Rivista italiana di diritto pubblico comunitario", 1993, p. 833 e ss.; G. SCACCIA, Il principio di proporzionalità, in AA.VV., L'ordinamento europeo, a cura di S. MANGIAMELI, Milano, 2006, tomo II, p. 225-274.

[30] E. CARATELLI, Il principio di proporzionalità quale derivato tecnico del principio di legalità, in "Il Consiglio di Stato", 2003, p. 2481 e ss; D.U. GALETTA, Una sentenza storica sul principio di proporzionalità con talune ombre in ordine al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in "Rivista italiana di diritto pubblico comunitario", 2000, p. 459 e ss.; D.U. GALETTA, La proporzionalità quale principio generale dell'ordinamento, in "Giornale di diritto amministrativo", 2006, p. 1106 e ss.

[31] G. SCACCIA, Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000, passim, nonché, più di recente, S. COGNETTI, Principio di proporzionalità, Torino, 2011.

[32] Sulla avvenuta abrogazione di tale disciplina, si veda la sentenza Hentrich, par. 42, nonché P. BAKER, Taxation and the European Convention on Human Rights, in European Taxation, 2000, p. 305.

[33] Per completezza, che la ricorrente aveva invocato anche la violazione dell'art. 6 della CEDU sulle garanzie processuali. La Corte europea, nell'accertare la violazione anche di tale previsione, si tiene ben lungi – e forse a ragione, date le particolarità del caso di specie – dall'affrontare il tema dell'applicazione dell'art. 6 ai giudizi tributari, limitandosi ad evidenziare come l'assenza di rimedi giurisdizionali effettivi a disposizione della ricorrente in una con la durata irragionevole del giudizio avessero dato luogo ad una violazione anche dell'art. 6 della CEDU.

[34] Fermo restando che la Corte non giunge, sulla base di ciò, a revocare in dubbio l'esistenza di una legittima causa di pubblica utilità, sembra che tali considerazioni – anche alla luce delle difese del governo francese che aveva affermato la necessità della normativa in parola anche nell'ottica del contrasto all'evasione fiscale – possano aver inciso sull'esito del successivo giudizio di proporzionalità della misura. Nello stesso solco ci pare si ponga anche la più recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, 23 luglio 2009, Joubert c. Francia, in cui si discuteva della legittimità di una norma francese del dicembre 1996 che, con efficacia retroattiva sul contenzioso già pendente, aveva stabilito che le ispezioni effettuate dalle autorità fiscali e oggetto di contestazione in giudizio per motivi di competenza territoriale degli uffici procedenti dovessero considerarsi legittime se effettuate in conformità alla normativa emanata nel settembre del 1996. Con la conseguenza che, in tal modo, venivano a pregiudicarsi i diritti di quei contribuenti che, anteriormente all'emanazione delle previsioni in discorso, avessero impugnato gli atti impositivi precedentemente notificati (nel caso di specie, si trattava del contenzioso relativo ad un atto impositivo emanato nel 1993) facendo leva sull'incompetenza territoriale degli uffici che avevano proceduto alla verifica. Ebbene, in tale contesto i giudici di Strasburgo, pur nutrendo dubbi sull'effettivo perseguimento di una causa di pubblica utilità ad opera della norma in discorso – si veda il par. 65 della sentenza, laddove si precisa "dans ces conditions, la Cour émet des doutes sur le point de savoir si l'ingérence dans le respect des biens des requérants servait une 'cause d'utilité publique'" – si limitano a censurare la norma stessa in punto di inosservanza del principio di proporzionalità (si veda il par. 68 della pronuncia in cui si afferma che "de l'avis de la Cour, l'adoption de l'article 122 de la loi de finances pour 1997 a fait peser une 'charge anormale et exorbitante' sur les requérants et l'atteinte portée à leurs biens a revêtu un caractère disproportionné, rompant le juste équilibre entre les exigences de l'intérêt général et la sauvegarde des droits fondamentaux des individus").

[35] Par. 42 della sentenza in commento.

[36] Tra i pochi casi in cui la Corte è giunta a ritenere violato l'art. 1 del primo Protocollo addizionale alla CEDU a motivo della mancata osservanza del requisito di prevedibilità della normativa va segnalato il recentissimo Corte europea dei diritti dell'uomo, 7 luglio 2011, Serkov c. Ucraina, relativo alle conseguenze del mutamento di orientamento interpretativo operato dal massimo organo giurisdizionale dell'Ucraina sull'ambito oggettivo di applicazione di un regime fiscale agevolativo previsto per le piccole imprese. Ebbene, in tale contesto, i giudici di Strasburgo hanno affermato la violazione della norma convenzionale, in quanto il mutamento interpretativo aveva pregiudicato la prevedibilità della disciplina stessa e ciò si era risolto in una lesione delle prerogative del contribuente (si veda il par. 40 della sentenza, in cui si precisa che "the Court considers that the manner in which the domestic courts interpreted the relevant legal provisions undermined their foreseeability").

[37] Ne risulta, dunque, un Notwendigkeitsprüfung attinente tanto al profilo soggettivo dell'eccessiva ampiezza dei soggetti potenzialmente esposti all'esercizio del diritto di prelazione rispetto al fine di contrasto dell'evasione fiscale, quanto al profilo oggettivo, secondo la tradizionale formula della c.d. "regola del mezzo più mite".

[38] Par. 49 della sentenza.

[39] La ricorrente affermazione della Corte – contenuta, ad esempio, in Corte europea dei diritti dell'uomo, 24 ottobre 1986, AGOSI c. Regno Unito, par. 55; Corte europea dei diritti dell'uomo, 21 maggio 2002, Jokela c. Finlandia, par. 45 – secondo cui "although Article 1 of Protocol No. 1 contains no explicit procedural requirements, the proceedings at issue must also afford the individual a reasonable opportunity of putting his or her case to the responsible authorities for the purpose of effectively challenging the measures interfering with the rights guaranteed by this provision. In ascertaining whether this condition has been satisfied, a comprehensive view must be taken of the applicable procedures". Si veda anche R. ERGEC, Taxation and Property Rights under the European Convention on Human Rights, in Intertax, 2011, p. 6-7.

[40] La nota sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 12 luglio 2001, Ferrazzini c. Italia, in cui i giudici di Strasburgo, facendo ancora una volta leva sul dato letterale e pur riconoscendo che "un procedimento tributario ha indubbiamente un oggetto patrimoniale", hanno ribadito che "possono esistere delle obbligazioni 'patrimoniali' nei confronti dello Stato e dei suoi organi che, ai fini dell'art. 6, paragrafo 1, devono essere considerate come rientranti esclusivamente nell'ambito del diritto pubblico e di conseguenza non sono compresi nella nozione di 'diritti ed obbligazioni di carattere civile'". In questo senso, ha specificato la Corte, "la materia fiscale rientra ancora nell'ambito delle prerogative del potere di imperio, poiché rimane predominante la natura pubblica del rapporto tra il contribuente e la collettività". Per un commento della pronuncia si veda M. GREGGI, Giusto processo e diritto tributario europeo: applicazione e limiti del principio (il caso Ferrazzini), in "Rivista di diritto tributario", 2002, p. 571 e ss. Sull'applicazione delle garanzie proprie del giusto processo alle controversie tributarie si vedano, per tutti, A. BODRITO-A. MARCHESELLI, Questioni attuali in tema di giusto processo tributario nella dimensione interna e internazionale, in "Rivista di diritto tributario", 2007, p. 723-793; L. DEL FEDERICO, Il giusto processo tributario: tra art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo eart. 111Cost.. Nota alla sentenza della Corte di Cassazione, sezione tributaria, 17 giugno 2004, n. 11350, in "GT – Rivista di giurisprudenza tributaria", 2005, p. 154-159; S. DORIGO, Il diritto alla ragionevole durata del giudizio tributario nella giurisprudenza recente della Corte europea dei diritti dell'uomo, in "Rassegna tributaria" n. 1/2003, p. 42 e ss.; F. GALLO, Verso un «giusto processo» tributario, in "Rassegna tributaria" n. 1/2003, p. 11-41; P. RUSSO, Il giusto processo tributario, in "Rassegna tributaria" n. 1/2004, p. 14 e ss.; F. TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in "Rassegna tributaria" n. 1/2006, p. 11-58.

[41] C. GIOE', Profili di responsabilità civile dell'amministrazione finanziaria, Padova, 2007, p. 178-189 e G. ROMANO-E. LIZZA, La Convenzione europea dei diritti dell'uomo ed il diritto tributario: risarcimento per il ritardo nel rimborso di crediti d'imposta, in "I diritti dell'uomo", 2005, p. 9-21.

[42] Occorre considerare, infatti, che altro è il giudizio in merito alle chance di successo dei ricorsi interni ai fini della regola di previo esaurimento dei ricorsi interni ex art. 35 della CEDU, altro è, invece, il giudizio in punto di "giusto equilibrio" tra interesse collettivo e diritti individuali che viene salvaguardato in presenza di "domestic procedures affording a sufficient remedy to ensure the protection of the applicant company's right to the peaceful enjoyment of its possessions"; procedure che, in ipotesi, dovrebbero essere totalmente assenti e che, invece, possono individuarsi anzitutto nelle istanze di rimborso di carattere amministrativo proponibili, entro i termini normativamente fissati, all'Amministrazione finanziaria – e nella relativa prosecuzione contenziosa, ancorché la Corte abbia ritenuto quest'ultima scarsamente efficace sotto il profilo della rapidità temporale – e, in secondo luogo (ma, a ben vedere, soprattutto) nella facoltà riconosciuta ai contribuenti dall'art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 di procedere al pagamento dei debiti tributari e previdenziali anche mediante compensazione delle somme a debito con i crediti tributari o previdenziali vantati.

[43] A. SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in "Rassegna tributaria" n. 5/2008, p. 1299 e ss; M. CANTILLO, Ipoteca iscritta dagli agenti della riscossione e tutela giudiziaria del contribuente, in "Rassegna tributaria" n. 1/2007, p. 11 e ss.

[44] S.M. MESSINA, L'iscrizione di ipoteca sugli immobili ed il fermo dei beni mobili registrati nella procedura esattoriale e nel processo tributario, in "Rivista di diritto tributario", 2008, p. 348-349.

[45] S.M. MESSINA, I riflessi degli accertamenti esecutivi sull'adozione delle misure cautelari pro fisco, in AA.VV., Atti preparatori del convegno "La concentrazione della riscossione nell'accertamento", tenutosi a Sanremo il 3-4 giugno 2011, p. 405 e ss.

[46] Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, sez. I, 30 luglio 2009, n. 250, in "GT – Rivista di giurisprudenza tributaria", 2010, p. 71-76, con nota di P. PICIOCCHI, L'abuso delle garanzie a tutela del credito tributario.

[47] Commissione tributaria provinciale di Milano, sez. I, 1° ottobre 2009, n. 521, in "Bollettino tributario d'informazioni", 2010, p. 711-714, con nota di A. TAGLIONI, Brevi note sulla richiesta di sequestro conservativo dell'azienda da parte dell'erario.

[48] M. BASILAVECCHIA, Moderati i poteri dell'agente della riscossione, in "Corriere tributario", 2010, p. 1903-1906. Si tratta, a ben vedere, di una norma che recepisce in via normativa la conclusione raggiunta da Corte di Cassazione, sezioni unite, 22 febbraio 2010, n. 4077, in "Corriere tributario", 2010, p. 1455-1461 con nota di P. PICIOCCHI, Illegittima l'iscrizione dell'ipoteca se il debito non supera ottomila euro.

[49] Al riguardo, le previsioni di cui all'art. 7, comma 2, lett. gg-quinquies), gg-decies) e gg-undecies) del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. Per un primo commento delle misure si veda L. LOVECCHIO, Al via da subito gli avvisi bonari per piccoli debiti, in "Il Sole 24 Ore", 22 giugno 2011, p. 6.

[50] Sulle criticità in merito alla tutela del contribuente interessato dalle procedure di cui agli artt. 48-bis e 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 si veda, amplius, G. MARINI, Blocco dei crediti, ordine di pagamento al fisco ed effettività della tutela giurisdizionale, in AA.VV., Atti preparatori del convegno "La concentrazione della riscossione nell'accertamento", tenutosi a Sanremo il 3-4 giugno 2011, p. 243 e ss; A. SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, cit., p. 1299 e ss.

[51] A. GIOVANNINI, Riscossione in base al ruolo e agli atti d'accertamento, in "Rassegna tributaria" n. 1/2011, p. 22 e ss., A. CARINCI, Prime considerazioni sull'avviso di accertamento "esecutivo" ex DL n. 78/2010, in "Rivista di diritto tributario", 2011, p. 159-181 nonché i numerosi contributi in AA.VV., Atti preparatori del convegno "La concentrazione della riscossione nell'accertamento", tenutosi a Sanremo il 3-4 giugno 2011. In particolare, diversi autori hanno evidenziato i profili di "solve et repete" insiti nella logica (anche se non nella lettera) della disciplina in parola. Si vedano, per tutti, E. DE MITA, Fare gettito rispettando regole e diritti, in "Il Sole 24 Ore", 16 maggio 2011, p. 1-2; U. PERRUCCI, Una variante del "solve et repete" (sempre che il "repete" non sia precluso dal fallimento del contribuente), in "Bollettino tributario d'informazioni", 2010, p. 1039-1041.

[52] C. GLENDI, Notifica degli atti "impoesattivi" e tutela cautelare ad essi correlata, in AA.VV., Atti preparatori del convegno "La concentrazione della riscossione nell'accertamento", tenutosi a Sanremo il 3-4 giugno 2011, p. 8 e ss. del dattiloscritto. Si veda anche A. CARINCI, Prime considerazioni sull'avviso di accertamento "esecutivo" ex DL n. 78/2010, cit., p. 168-169 il quale, premessa la nota divergenza di inquadramento della notifica quale condizione di esistenza ovvero mero requisito di efficacia dell'atto, precisa come "stabilendo espressamente che l'atto diviene esecutivo con la notifica (ovvero, decorsi sessanta giorni dalla stessa), il Legislatore lascia intendere di aver optato per la prima alternativa; la notifica, infatti, pare qui integrare un elemento costitutivo, un requisito di esistenza, del titolo esecutivo piuttosto che una semplice condizione di efficacia".

[53] Salvo, cioè, il caso di espropriazione forzata iniziata dopo il decorso di un anno dalla notificazione dell'avviso di accertamento, posto che in tal caso l'agente della riscossione deve notificare l'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973.

[54] A. SCALA, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, cit., p. 1299 e ss.; J.V. D'AMICO, Profili problematici dell'esecuzione esattoriale mediante ruolo: è legittima l'esclusione dell'opposizione all'esecuzione?, in www.judicium.it e bibliografia ivi citata. Sulla proponibilità dell'opposizione agli atti esecutivi nel caso di omessa notificazione dell'avviso di accertamento nonostante il disposto dell'art. 57, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973 si veda l'autorevole disamina di C. GLENDI, Notifica degli atti «impoesattivi» e tutela cautelare ad essi correlata, cit., p. 18-19 del dattiloscritto, secondo cui "nel momento stesso in cui la norma esclude le opposizioni relative alle notificazioni del titolo esecutivo, complementarmente postula che la notificazione del titolo esecutivo vi sia stata, perché in mancanza, v'è soltanto un atto esecutivo, a cominciare dal pignoramento, privo di titolo e perciò invalido. Nei casi, quindi, di materiale carenza di notifica dell'atto 'impoesattivo' o di giuridica inesistenza di siffatta notificazione, è da ritenere ammissibile anche l'opposizione agli atti esecutivi, con la conseguente applicabilità della relativa normativa di riferimento".

[55] C. GLENDI, Notifica degli atti "impoesattivi" e tutela cautelare ad essi correlata, cit., p. 17 del dattiloscritto e, in particolare, nota n. 47, ove ampi e puntuali riferimenti in giurisprudenza e dottrina. L'Autore comunque precisa che "il dato positivo non sembra avallare questa prospettiva […] tenuto specificamente conto di quanto disposto dall'art. 19 e dall'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992, ove si esclude la tutela giurisdizionale davanti alle commissioni tributarie oltre la soglia del pignoramento e non risulta indicato da nessuna parte il pignoramento quale atto autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario".


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