Data: 14/07/2017 12:00:00 - Autore: Giampaolo Morini

Impugnazione del contratto finanziario

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L'esame del contenuto di un contratto finanziario è fondamentale, dato che non è raro che lo stesso presenti dei vizi che ne inficino la validità. Chiaramente, l'esame deve essere fatto preferibilmente in via preliminare, ma il contratto può essere impugnato anche dopo essere stato sottoscritto.

Analizziamo, quindi, quali sono i principali motivi di invalidità dei contratti finanziari.

Contratti di investimento: forma scritta

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Ad esempio, in forza di quanto previsto dal primo comma dell'articolo 23 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. n. 58/1998), per i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e, se previsto, per i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori è richiesto il necessario requisito della forma scritta, in conformità a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE. Un esemplare di tali contratti è poi consegnato ai clienti.

L'unica eccezione è rappresentata dai casi in cui sussistano motivate ragioni o una particolare natura professionale dei contraenti, che determinino la Consob, sentita la Banca d'Italia, a prevedere la possibilità di stipula in altra forma, che comunque assicuri un appropriato livello di garanzia dei clienti al dettaglio.

L'inosservanza della forma prescritta dalla legge determina la nullità del contratto.

L'informazione dei clienti

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Un'altro aspetto da tenere in considerazione al fine di valutare la validità di un contratto finanziario è che, secondo la normativa di settore, la banca è tenuta ad un duplice obbligo informativo nei confronti del cliente, di natura attiva e passiva: sotto il profilo attivo la banca ha l'obbligo di illustrare i rischi dell'operazione, mentre sotto il profilo passivo deve raccogliere dal cliente le informazioni utili a valutare l'adeguatezza dell'operazione richiesta dal cliente.

In conseguenza di ciò, la banca deve astenersi dall'eseguire le operazioni ove inadeguate per quel cliente: un caso ricorrente è dato dall'incogruenza tra la durata dell'investimento e l'età del risparmiatore.

Informazione precontrattuale

Più nel dettaglio, attiene alla fase pre-contrattuale l'obbligo di consegnare al cliente il documento informativo e il dovere dell'intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria del cliente, in modo tale da essere poi nelle condizioni di adeguare ad essa la successiva operatività. Si tratta di due concetti di derivazione anglosassone: il c.d. divieto di churning e la c.d. suitability rule, che impone all'intermediario di adottare tutte le cautele necessarie al fine di garantire l'adeguatezza della proposta finanziaria rispetto al profilo del cliente, e non solo.

Essi rappresentano una garanzia della formazione consapevole della volontà del soggetto che aderisce a determinate tipologie di contratti e, ove violati, possono legittimare l'impugnazione del contratto sottoscritto.

Informazione successiva alla stipula

I doveri d'informazione sussistono anche dopo la stipulazione del contratto d'intermediazione, al fine della sua corretta esecuzione. In questa fase è dovere della banca porre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni d'investimento o disinvestimento, nonché ogni altra circostanza necessaria a disporre con consapevolezza dette operazioni.

A fronte di ciò la banca deve comunicare per iscritto l'esistenza di eventuali situazioni di conflitto di interesse, come condizione per poter eseguire ugualmente l'operazione se autorizzata.

Attengono poi al momento esecutivo i doveri di contenuto negativo posti a carico dell'intermediario, vale a dire quelli di non consigliare e di non effettuare operazioni di frequenza o dimensione eccessiva rispetto alla situazione finanziaria del cliente. Tale determinante requisito assume contenuti ancor più pregnanti allorquando si hanno di fronte risparmiatori di una certa età, età in cui è più difficile rendersi conto della complessità dell'investimento. Così pure assume rilevanza la valutazione da parte delle principali agenzie di rating in merito al rischio di un determinato prodotto finanziario.

In tale contesto, l'intermediario deve agire con la "diligenza del buon professionista" e non semplicemente con quella del "buon padre di famiglia".

L'adeguatezza delle informazioni

Nel fornire le informazioni ai clienti, così come nella prestazione di tutti i servizi e le attività di investimento, gli intermediari devono sempre comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza e disporre di risorse e procedure che assicurino lo svolgimento efficiente dei servizi e delle attività.

A stabilirlo è l'articolo 21, comma 1, del TUF, che, con riferimento agli obblighi informativi, sancisce anche il dovere di "acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati" e quello di "utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti".

Il concetto di adeguatezza, in particolare, consente valutazioni discrezionali circa la definizione degli obblighi informativi, rimesse in prima battuta all'intermediario e in secondo luogo all'interprete. Vi è, quindi, spazio - anche in Italia - per un'interpretazione elastica della disciplina dell'informazione, in grado di evitare sia di circoscrivere l'informazione richiesta a quella prevista a livello regolamentare, sia di travolgere il cliente sotto un flusso magmatico e incontrollato di dati di ogni sorta, con conseguenti, inevitabili, effetti distorsivi.

Violazioni degli obblighi informativi e responsabilità contrattuale

Tutto ciò considerato, ad opinione di chi scrive, ogniqualvolta vengano prospettate violazione di doveri comportamentali che, in forza del contratto e delle norme di settore, gravano sull'intermediario nell'esecuzione delle prestazioni alle quali egli è contrattualmente tenuto, possono ritenersi applicabili i generali principi in materia di responsabilità contrattuale, con la conseguente possibilità di pervenire, in presenza del presupposto di cui all'art. 1455 c.c. alla risoluzione del contratto per inadempimento oltre che al risarcimento del danno subito.

Il conflitto di interesse

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Infine, va evidenziato che l'art. 21, comma 1-bis, lett. a) del TUF stabilisce che, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e dei servizi accessori, gli intermediari "adottano ogni misura idonea ad identificare e prevenire o gestire i conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra tali soggetti, inclusi i dirigenti, i dipendenti e gli agenti collegati o le persone direttamente o indirettamente connesse e i loro clienti o tra due clienti al momento della prestazione di qualunque servizio di investimento o servizio accessorio o di una combinazione di tali servizi".

Si tratta di una regola analoga a quella codificata a livello europeo nel documento del Committee of European Securities Regulators (noto come CESR) "Un regime europeo per la protezione dell'investitore: l'armonizzazione delle regole di condotta", il cui standard 5 stabilisce che: Un'impresa di investimento deve prendere tutte le precauzioni necessarie affinché i conflitti di interesse tra la stessa ed i propri clienti siano identificati, e dunque eliminati o amministrati in modo tale da non pregiudicare l'interesse dei risparmiatori (…).

Anche la Direttiva Europea del 21 aprile 2004, n. 39, che abroga la Direttiva 93/22/CEE, accoglie un'impostazione simile, cristallizzando definitivamente un orientamento di matrice anglo-americana, che si era da tempo imposto nel senso della International Organisation of Securities Commissions.

La violazione del dovere dell'intermediario in tema di conflitto di interesse può rappresentare un ulteriore vizio, tale da legittimare un'impugnazione da parte del cliente.

Avv. Giampaolo Morini (foro di Lucca)

Corso Garibaldi n. 7 55049 Viareggio (Lu)

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