Data: 10/07/2017 15:30:00 - Autore: Stefano Galeano
di Stefano Galeano - I giudici del Palazzaccio, con sentenza n. 20237 del 28.04.2017 (sotto allegata), si sono pronunciati in materia di gestione dei rifiuti da parte di una associazione sportiva dilettantistica e hanno affermato che sussiste il reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152/2006 a carico del rappresentante di un'associazione sportiva dilettantistica - nella specie di tiro a volo - per l'abbandono di rifiuti derivanti da tale attività, rientrando anche tali associazioni senza scopo di lucro nella nozione di enti ai quali fa riferimento la disposizione citata.

Salubrità ambiente: valore primario e assoluto

Quello ambientale è, probabilmente, il campo giuridico che - più di ogni altro - incarna la vocazione evolutiva propria del diritto, il quale muta seguendo tanto la scienza giuridica, quanto e soprattutto la società ad esso sottostante. L'ambiente assume un ruolo fondamentale per la popolazione e un suo eventuale inquinamento porterebbe a gravi conseguenze per il mondo intero. La Corte costituzionale con la sentenza n. 641/1987 ha affermato che la salubrità dell'ambiente ricopre un valore primario ed assoluto in quanto «elemento determinativo della qualità della vita». Ergo, la tematica ambientale riveste un ruolo di primaria importanza per gli operatori del diritto come per altri professionisti.

Il caso

La questione che ci occupa ha ad oggetto la gestione di rifiuti da parte di un associazione sportiva. La sentenza in argomento rappresenta un'àncora per il consolidato filone giurisprudenziale concernente l'inquadramento giuridico della fattispecie dell'abbandono incontrollato dei rifiuti e l'individuazione del suo autore. La questione ha preso inizio nel momento in cui il Tribunale di Cassino con sentenza ha affermato la responsabilità penale del presidente di un'associazione sportiva dilettantistica di tiro a volo in relazione ai seguenti reati: art. 256, comma 2, d.lgs. 152/2006 perché abbandonava in maniera incontrollata i rifiuti prodotti dall'attività, consistiti in resti di piattelli, borre di plastica, bossoli esplosi e pallini di piombo; art. 257, comma 1, d.lgs. 152/2006 in quanto non aveva effettuato la comunicazione di cui all'art. 242 del medesimo decreto al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito a seguito all'abbandono dei rifiuti suddetti (1).
Il presidente summenzionato ricorre in Cassazione prospettando due motivi: in primis, che l'obbligo di bonifica sorge solo a fronte di un superamento della concentrazione soglia di rischio (CSR); in secundis dichiara che siccome riveste la qualifica di presidente di un'associazione non avente scopo di lucro quindi non risulta assimilabile tout court a un ente o impresa.

La decisione della Corte

Secondo la Suprema Corte, è indubbio che un'attività altamente inquinante quale quella del tiro a volo, che produce una elevata quantità di rifiuti, ripetuta nel tempo ed esercitata da più persone, rientri pienamente tra quelle considerate maggiormente a rischio dal legislatore.
Detto ciò, gli Ermellini hanno affermato che nella nozione di enti cui fa riferimento l'art. 256, comma 2, d.lgs. 152/06 «rientrano anche le associazioni e che integra il reato sanzionato da tale disposizione l'abbandono, da parte del rappresentante di un'associazione sportiva dilettantistica di tiro al volo, dei rifiuti derivanti da tale attività». Inoltre, con riferimento al secondo reato contestato, i giudici di legittimità hanno ribadito che «l'art. 257 d.lgs. 152/06 sanziona due distinte condotte, la seconda delle quali riguarda la mancata effettuazione della comunicazione di cui all'art. 242 del medesimo decreto e prescinde dal superamento delle soglie di contaminazione dell'area inquinata».
Stefano Galeano
Giurista
(1) Si è precisato che la comunicazione di cui all'art. 242 d.lgs. 152/06 non costituisce un mero adempimento burocratico, ma serve per consentire, agli organi preposti alla tutela ambientale del Comune, della Provincia e della Regione del territorio in cui si prospetta l'evento lesivo, di prenderne compiutamente cognizione con riferimento ad ogni possibile implicazione e di verificare lo sviluppo delle iniziative ripristinatorie intraprese (Cass., sez. Terza Penale, n. 40856 del 18.11.2010).

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