Data: 02/08/2017 18:30:00 - Autore: Giampaolo Morini

Avv. Giampaolo Morini - La giustizia contrattuale è formula divenuta ormai di uso corrente nella dottrina civilistica italiana, con significative relazioni, di corrispondenza o di derivazione, con analoghe espressioni usate da giuristi di altri paesi. Essa è certo stimolante e suggestiva, ma, nella sua genericità, può implicare significati differenti, evocare valori ed esprimere direttive non agevolmente riducibili a termini univoci. Il suo impiego è spesso ambiguo anche rispetto allo stesso ordine di riferimento delle proposizioni che la contengono: etico, ideologico, economico, sociologico, giuridico. Così, nel discorso che su di essa svolgono i giuristi, non è agevole discernere, l'una dalle altre: la pura e semplice rivendicazione di un primato dei valori etici rispetto alle soluzioni del diritto positivo; la sintesi descrittiva di regole legali del diritto contrattuale; la proposta ermeneutica, costruttiva di una più ampia direttiva dell'ordinamento; la critica ideologica di tendenze dominanti, presentate come, a loro volta, ideologicamente orientate; l'indicazione di linee di politica legislativa ovvero di politica giudiziaria.

La buona fede e i valori di giustizia

L'argomento interessa lo studio della buona fede in quanto questa è spesso considerata come possibile strumento di attuazione, in ambito contrattuale, di valori di giustizia. È questa l'interferenza tra i due temi ed esulano dalla nostra trattazione approfondimenti di più vasta portata. Si tratta, in particolare, di discernere i significati della formula che possono assumere, ai nostri fini, rilievo, e di identificare l'ambito propriamente giuridico dei problemi ai quali essa allude.
Conviene tuttavia soffermarsi su alcune considerazioni preliminari che, per la stessa ricchezza di implicazioni della formula e per la complessità delle connessioni tematiche, non potranno essere circoscritte in termini di stretta aderenza alle indicate finalità.
Si riduce ad un mero esercizio retorico, è sterile o, peggio, distorsivo ogni impiego della formula che vada disgiunto dalla identificazione dei problemi di disciplina dei rapporti cui essa dovrebbe pur riferirsi, la varietà dei quali non consente alcun serio e attendibile discorso o ragionamento indifferenziato. Si pensi soltanto all'ineludibile articolazione problematica che riguarda i diversi aspetti di un ipotetico sindacato di giustizia da esercitarsi dai giudici sul contratto; e così, il suo stesso oggetto, che potrebbe consistere nelle condizioni economiche dello scambio, in quelle normative del rapporto, ovvero in entrambe, nella loro integrata correlazione, ovvero anche nella valutazione di compatibilità del contenuto del contratto con i valori della persona; i termini e i criteri del controllo, che potrebbero concernere valori etici di giustizia, commutativa o distributiva, e di solidarietà sociale, ovvero essere desunti da parametri economici e normativi consistenti negli stessi indici offerti dal mercato e dalle prassi contrattuali; gli elementi e le circostanze rilevanti, rispetto al giudizio, che potrebbero consistere nello stesso assetto economico-normativo risultante dalla convenzione in rapporto a un ideale modello di equilibrio giusto, ovvero potrebbero essere identificati nella relazione causale che possa essere intercorsa tra le condizioni soggettive e oggettive in cui ciascuna delle parti si trovava e le condotte da esse tenute nella fase negoziale e formativa, da un lato, e, dall'altro, il contenuto delle pattuizioni che ne sia stato l'effetto; l'ambito dei rapporti rispetto al quale il controllo di giustizia possa esperirsi, e cioè quello corrispondente a determinate categorie di contratti e di contraenti, ovvero quello, illimitato, della generalità dei rapporti contrattuali.

Il significato unitario di giustizia contrattuale

Pur con queste avvertenze, ed anzi proprio in vista delle indispensabili articolazioni problematiche, può cogliersi un significato unitario e comprensivo di "giustizia contrattuale". Questa, nella sua letteralità, potrebbe ricomprendere la stessa forza vincolante del contratto e le regole che la assicurano, assumendosi lo stesso pacta sunt servanda quale precetto etico espressivo di valori di giustizia. Ma il significato che appare implicato dall'uso corrente della formula sembra piuttosto esprimere una contrapposizione, o quantomeno una tensione, una conflittualità potenziale, tra vincolo contrattuale e giustizia, tra osservanza del contenuto delle pattuizioni e salvaguardia di interessi che sono da esse pregiudicati e che sia invece giusto proteggere. Questo ampio significato è tale da accogliere la stessa descrizione sintetica e un loro comune fondamento delle regole, e delle esigenze che le ispirano, che in vario modo limitano o escludono la forza vincolante dei patti in presenza di determinate situazioni tipiche previste dalla legge; e ciò con riguardo a settori tradizionali della disciplina dei contratti: regime delle incapacità, dei vizi della volontà, della rescissione, regole che impongono lo scioglimento del vincolo a ragione di circostanze sopravvenute considerate con esso incompatibili. Questi rimedi sono tutti volti alla rimozione del vincolo su iniziativa del contraente da essi protetto, il quale però spesso non dispone di strumenti che gli consentano di soddisfare, invece, il suo positivo interesse alla realizzazione dell'operazione contrattuale a condizioni ricondotte a giustizia. Solo il regime della rescissione implica un sindacato sul contenuto del contratto, che è invece estraneo alla disciplina degli altri rimedi; ma anche per la rescissione occorrono presupposti ulteriori rispetto alla considerazione dell'equilibrio economicocontrattuale. A ragione di questi caratteri, non ha avuto modo di affermarsi nella nostra tradizione la costruzione, dall'insieme di queste regole, di un principio generale, di una portata che le trascendesse, sul quale fondare un controllo circa la conformità del contratto a un modello ideale di giusto equilibrio economico normativo e un conseguente controllo e adeguamento giudiziale delle condizioni convenute dalle parti. Al contrario, se ne è tratto argomento in particolare dalla disciplina della rescissione per negare l'ammissibilità di operazioni siffatte.
Pertanto, rispetto a tali regimi, la formula "giustizia contrattuale" non sembra possa avere altro significato che quello di una loro sintesi descrittiva.
Più problematico appare il contenimento della formula nei limiti di un significato descrittivo di regole e rimedi specifici stabiliti dall'ordinamento riguardo alle direttive evolutive che si sono affermate con la disciplina delle clausole abusive dei contratti dei consumatori, dell'abuso di dipendenza economica nei contratti tra imprese, dei termini di pagamento dei corrispettivi contrattuali. Questi nuovi regimi implicano infatti, a differenza dei rimedi tradizionali, un sindacato sull'equilibrio contrattuale. E, seppur esso è circoscritto a determinati contenuti pattizi e non è per lo più di per sé rilevante, disgiunto dalla considerazione delle condizioni dei contraenti e della loro condotta nella fase negoziale e formativa, tuttavia appare legittimo l'interrogativo se sia ricostruibile una direttiva di più generale portata, o mutuabile al diritto comune dei contratti, e in quali termini.
La verifica dell'esistenza di un fondamento di diritto positivo di un supposto principio di giustizia contrattuale, e di sindacabilità e modificabilità giudiziaria, alla stregua di esso, dei contenuti delle private convenzioni, può prospettarsi, oltre che riguardo all'attendibilità di una generalizzazione di regole e rimedi specifici stabiliti dalla legge, anche nel senso della ricerca di enunciati normativi da cui possa direttamente desumersi, in via ermeneutica, costruttiva, una direttiva siffatta. Ed è naturale che i fautori di tendenze innovative, in mancanza di precetti più definiti dai quali trarre il principio, si siano volti al valore costituzionale di solidarietà economica e sociale (art. 2 Cost.) e alla clausola generale di buona fede, onde fruire di più estesi spazi di argomentazione. Di questi profili giuridici ci occuperemo più avanti, nella specifica loro connessione con la prospettiva della buona fede. Conviene però brevemente intrattenerci su altri aspetti, anche non propriamente giuridici, che di quelli costituiscono in certo senso il contorno e in vario modo possono con essi interferire. Innanzitutto, la stessa formulazione dell'interrogativo circa la sussistenza nel nostro ordinamento di un principio di giustizia contrattuale impone di discernere diversi possibili significati del medesimo. Si ricerca un precetto di contenuto etico, pur destinato ad essere trasferito nell'ordine giuridico, ovvero un precetto da mutuarsi dall'ordine economico? ovvero un alore etico destinato ad essere attuato mediante il riferimento a parametri economici? E secondo la distinzione aristotelica, che nei discorsi dei giuristi, oltre che in quelli degli studiosi di filosofia morale e di teoria della giustizia, mostra una persistente attualità vuole assumersi una qualificazione di giustizia in senso distributivo o commutativo? Rispetto a queste alternative si prospettano differenti problematiche con riguardo: alla stessa teorica legittimità e attendibilità di un sindacato sul contratto in termini di sua conformità a giustizia, a seconda che esso attenga soltanto all'oggettiva valutazione dell'equilibrio contrattuale o si estenda anche all'apprezzamento delle circostanze e delle condotte inerenti alla fase delle trattative e della formazione del vincolo; alle considerazioni circa le condizioni, i modi e i criteri di pratica esperibilità di un intervento del giudice di controllo e conformazione dell'affare privato; alle ragioni di policy che possono rispettivamente sostenere l'affermazione o la negazione del principio, o, nel primo caso, orientarne i criteri di attuazione.

Avv. Giampaolo Morini

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