Data: 23/07/2017 16:00:00 - Autore: Giampaolo Morini

Avv. Giampaolo Morini - L'esigenza di salvaguardare un giusto equilibrio economico e normativo tra le prestazioni e tra le prerogative e i vincoli rispettivi dei contraenti � certo pi� attendibile e di pi� immediata comprensione se ricondotta alla formula della giustizia commutativa. Non pare invero sensato assumere il contratto, e il suo controllo e adeguamento giudiziale, a strumento per modificare gli assetti distributivi della ricchezza in senso perequativo.

La giustizia commutativa

In primo luogo, si affiderebbe la funzione distributiva alla spontaneit�, occasionalit� dei contatti contrattuali, alla variet� delle loro circostanze, anche relative alle consistenze patrimoniali dei singoli contraenti e alla dimensione economica dei singoli scambi, oltre che alla natura dei beni che ne costituiscono l'oggetto, e ne deriverebbero quindi effetti redistributivi casuali, non uniformi, disordinati, e quindi in senso generale iniqui oltre che inefficienti. Inoltre, poich� la salvaguardia di valori di giustizia commutativa si riflette in effetti conservativi della consistenza patrimoniale dei contraenti anteriore alla stipulazione, piegare indiscriminatamente il contratto al perseguimento di finalit� redistributive implicherebbe il paradosso di interventi impositivi di effetti economici contrattuali in senso commutativo sperequati.
Naturalmente, la specifica inidoneit� del sindacato giudiziale sul contratto all'attuazione di finalit� di giustizia distributiva non significa che a queste ultime non possano servire oltre che normative di ordine fiscale, previdenziale o simili, anche regole di diritto dei contratti che impongano imperativamente prezzi e condizioni normative.

Le connessioni tra giustizia contrattuale commutativa e distributiva

Non mancano tuttavia tentativi di stabilire connessioni tra giustizia contrattuale commutativa e distributiva e di valorizzare la seconda anche rispetto a un sindacato giudiziale sui contenuti del contratto.
Certo, l'effetto cumulativo di una indefinita pluralit� di contratti sperequati pu� nuocere a una giusta distribuzione della ricchezza tra i consociati, particolarmente a ragione della probabilit� statistica che le singole sperequazioni si manifestino in pregiudizio di soggetti e ceti gi� penalizzati dall'assetto distributivo preesistente alle operazioni contrattuali. Ma tale considerazione pu� solo indurre ad assumere che la salvaguardia della giustizia commutativa possa contrastare il deterioramento ulteriore delle sperequazioni distributive, non gi� che essa sia strumento efficace per correggere queste ultime.
Se si precisa, e limita, il significato distributivo della giustizia contrattuale nel senso della salvaguardia delle cosiddette "quote distributive minime", ovvero della soglia del "tenore di vita minimo che il contenuto contrattuale non pu� ledere", finalit� che vi corrispondono non sembra possano essere efficacemente n� equamente perseguite mediante un sindacato giudiziario sull'equilibrio dei singoli contratti. Una volte escluse per le ragioni gi� indicate, valide anche nel caso in cui sia in questione il tenore di vita minimo di uno dei contraenti la ragionevolezza e l'equit�, oltre che l'efficienza, di un generalizzato sistema redistributivo realizzato mediante il sindacato giudiziario correttivo dei contratti, potrebbe immaginarsi che questo sia, invece, attendibilmente esperibile quando lo scambio concerne beni o servizi cruciali rispetto alla salvaguardia del tenore di vita minimo (locazione della casa di abitazione, erogazione di acqua ed energia, beni di consumo primario). E possono al riguardo ipotizzarsi due proposte alternative: quella di un intervento del giudice che prescinda dalla ricorrenza in concreto di condizioni economiche dell'acquirente o utente che pongano in questione il suo tenore di vita minimo, e quella che invece lo subordini a tale ricorrenza.
Nel primo caso, il sindacato giudiziario dovrebbe presupporre una direttiva di controllo autoritativo generalizzato delle condizioni economiche di scambio di determinati beni e servizi. Tale direttiva pu� per� esprimersi in modo pi� appropriato mediante discipline legislative o amministrative di prezzi e tariffe, le quali, operando in modo uniforme per categorie di beni e servizi scambiati, e per categorie di contraenti, assicurano un'applicazione omogenea. In mancanza di una direttiva siffatta, l'intervento del giudice assumerebbe un ruolo di supplenza che si porrebbe in contrasto con l'opzione non interventista dell'ordinamento. Mentre, in tal modo, non sarebbe assicurata l'omogeneit� delle determinazioni autoritative dei contenuti contrattuali, con evidenti conseguenze di disuguaglianza nell'�mbito di entrambe le categorie di contraenti: quella dei venditoriesercenti e quella degli acquirentiutenti.
Nel secondo caso, l'onere dell'intervento distributivo verrebbe a gravare in modo causale sui venditori ed esercenti che si trovino a contrattare con soggetti le cui condizioni economiche pongano in causa il loro tenore di vita minimo, mentre ne resterebbero immuni coloro che contrattino con soggetti che non versino in tali situazioni. Ne conseguirebbe il rischio che ne restino pregiudicate le stesse categorie che si vorrebbero proteggere, ben potendo immaginarsi il ricorso a cautele precontrattuali e a rifiuti di contrarre da parte dei venditori ed esercenti; e per ovviarvi occorrerebbe apprestare strumenti di coercizione a contrarre, certo pi� coerenti a normative autoritative che non ad un sistema di controlli affidati ai giudici.
In tal senso, dunque, il perseguimento di finalit� di realizzazione di valori di giustizia distributiva sembra poter essere attendibilmente demandato solo a interventi legislativi e di governo che, in materia contrattuale, possono esprimersi in termini di definizione autoritativa dei corrispettivi di beni e servizi ovvero in limitazioni dell'autonomia in ordine alla pattuizione di determinate tipologie di clausole. Possono, a quest'ultimo riguardo, configurarsi �mbiti valutativi del giudice definiti dalla stessa disciplina autoritativa, come accade nella legislazione in materia di contratti dei consumatori; ma, per le ragioni gi� accennate, non sembra attendibile perch� non realistico, non efficace, casuale, non omogeneo, e quindi in definitiva non equo un sindacato giudiziario, generalizzato e svincolato da direttive legislative, volto a piegare il contratto a strumento di realizzazione di valori di giustizia distributiva interpretati e attuati secondo un'autonoma valutazione del giudice.
Se ci si volge all'eventualit� di un sindacato giudiziario sul contenuto del contratto orientato all'attuazione di valori di giustizia commutativa, sorge innanzitutto un'alternativa: si tratta di valutare la conformit� a giustizia del l'equilibrio economico e normativo considerato di per se stesso, ovvero in rapporto a circostanze del negoziato, a condizioni dei contraenti e alla loro condotta nella fase precontrattuale e formativa? �, in tal senso, in questione una substantive fairness o una procedural fairness? Interessa qui soffermarsi sulla prima alternativa, essendo la seconda meno problematica rispetto ai profili che andiamo ora considerando, perch� pi� agevolmente riconducibile a un pi� solido terreno di valutazioni giuridiche, orientate da definizioni normative di fattispecie o, quantomeno, da collaudate clausole generali riferite a comportamenti.

Avv. Giampaolo Morini

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