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Data: 24/07/2017 11:00:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani di Paolo M. Storani - Torna sulle nostre colonne direttamente dal Canton Ticino l'Avv. Zulay Manganaro Menotti con una compiuta nota di commento a Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 21 giugno 2017, n. 15362. Buona lettura! di Zulay Manganaro Menotti - "La ratio della norma di cui all'art. 495 Cpc (conversione del pignoramento) è duplice. Da un lato (quanto al comma 1) è favorire il debitore il quale voglia evitare la esecuzione e i rischi connessi, ad esempio una vendita dei propri beni a prezzo vile, dall'altro (quanto all' ultimo comma, secondo cui l'istanza può essere avanzata una sola volta a pena di inammissibilità), invece è – da una parte – impedire che il debitore esecutato attraverso istanze di conversione formulate all'ultimo momento rallenti il corso della procedura esecutiva, dall'altra, richiamare l'attenzione del debitore sulla importanza della sua richiesta e indurlo a formularla con attenzione, consapevole che in caso di rigetto non potrà reiterarla. Deve, per l'effetto, escludersi che il divieto di reiterazione non sussiste quando la prima istanza di conversione sia stata dichiarata inammissibile per vizi formali" La sentenza in esame spiega, chiarisce ed evidenzia, ancora una volta, come il processo esecutivo non abbia natura sanzionatoria ma sia – piuttosto – strutturato in modo da conciliare i contrapposti interessi del creditore da un lato, il quale intenda soddisfare il proprio diritto di credito in maniera integrale e senza eccessive lungaggini, e quelli del debitore dall'altro, soggetto passivo sì di tale procedura ma non fino a dover sopportare oneri maggiori di quanto realmente egli debba. Al verificarsi dei presupposti del processo esecutivo (esistenza di un debito; esistenza di beni; inerzia del debitore che non adempie alle proprie obbligazioni e iniziativa del creditore), si attua quel meccanismo di tutela del creditore che vede lo Stato sostituirsi al debitore inerte, nell'autorizzare la vendita dei beni del debitore stesso, al fine di far conseguire al creditore quanto gli spetti. Il meccanismo, tuttavia, è bilanciato da accorgimenti e cautele che consentano anche al debitore di difendersi. Sappiamo bene essere la legge a dirci che il primo atto del processo esecutivo è il pignoramento. Recita l'art. 491 cpc: "Salva l'ipotesi prevista dall'art. 502 (termine per l'assegnazione o la vendita del pegno, n.d.r.), l'espropriazione forzata si inizia col pignoramento". Le norme contenute negli articoli 491-497 cpc hanno carattere generale e sono potenzialmente applicabili ai tre tipi di pignoramento (mobiliare, immobiliare e presso terzi). A seguito della definizione normativa di pignoramento contenuta nell'art. 492, co. 1 ("…il pignoramento consiste in un'ingiunzione che l'ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all'espropriazione e i frutti di essi", si può tracciare una linea distintiva tra disposizioni generali volte a favorire il creditore e meglio lo stesso articolo 492 e il successivo art. 493, da una parte; disposizioni elaborate prevalentemente nell'interesse di chi soggiace al pignoramento: artt. 494-496, dall'altra. In questa seconda serie si colloca la conversione del pignoramento di cui all'art. 495, oggetto di disamina nella sentenza della Suprema Corte. Il primo comma della norma fissa il limite temporale entro il quale poter avanzare istanza di conversione, da depositare in cancelleria: "Prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569". La legge n. 80/2005 ha introdotto questa modifica rimpiazzando le parole "In qualsiasi momento anteriore alla vendita". L'istanza dev'essere, dunque, tempestiva. Se il giudice provvede sull'istanza di vendita, il diritto del debitore alla conversione non può più essere esercitato. L'ultimo comma, specifica, invece, che "L'istanza può essere avanzata una sola volta a pena di inammissibilità" così delimitando la possibilità per il debitore di riproporre sostituzione nel medesimo processo esecutivo. L'istanza, in tal senso, dev'essere univoca e si raffigura come beneficio concesso eccezionalmente, e nel rispetto delle condizioni poste dalla norma. A rigore di logica, il limite vale anche per coloro che si trovino nella identica posizione giuridica del debitore, siano essi successori a titolo universale o particolare. In questi termini si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 27852/2013. Questa circoscrizione va vista favorevolmente sia in termini di certezza del diritto sia perché la conversione del pignoramento deve porsi come strumento per ridurre tempi e costi del procedimento anziché come arma dilatoria e inutile. A pena di inammissibilità, unitamente all'istanza deve essere depositata in cancelleria una somma corrispondente come minimo a un quinto dell'importo del credito "per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data prova documentale". Del versamento va data prova secondo le modalità indicate dalla cancelleria, mentre è di competenza del giudice determinare l'ammontare complessivo di quanto dovuto dal debitore, tenuto conto anche delle spese di esecuzione, capitale e interessi, ai creditori – pignorante e intervenuti – maturato sino alla data dell'udienza per la pronuncia dell'ordinanza di conversione (v. Cass. Sez. III n. 6068/2015). La norma prevede che in presenza di giustificati motivi, il debitore possa pagare ratealmente fino a trentasei mesi (diciotto, prima della riforma attuata con l. 132/2015) la somma fissata dal giudice con l'ordinanza di cui al terzo comma, quando "le cose pignorate siano costituite da beni immobili o cose mobili" e in caso di pignoramento avente quale oggetto tali cose, con la stessa ordinanza "che ammette la sostituzione, il giudice, dispone che le cose pignorate siano liberate dal pignoramento con il versamento dell'intera somma" . La sentenza fa perno sulla ratio della norma, individuandone una propria del primo comma e una duplice nel settimo e ultimo. In particolare, se ci si attiene strettamente alla lettera della legge, l'istanza di conversione del pignoramento non può essere reiterata - a pena di inammissibilità - dallo stesso debitore esecutato o successori subentrati nella stessa posizione giuridica di quest'ultimo, nell'ambito dello stesso processo esecutivo. A questa conclusione approda la Corte di Cassazione sez. III, con sentenza n. 27852 del dicembre 2013 (resta, all'opposto, controversa la questione della legittimazione a presentare istanza di conversione, da parte del terzo acquirente a seguito di pignoramento). L'ulteriore passo che essa compie con la sentenza in esame è quello di fugare dubbi in merito alla riproposizione dell'istanza di conversione nell'ipotesi in cui la prima sia stata rigettata per vizi formali. Anche in questo caso, la soluzione è negativa. Un'istanza di conversione non può essere ripresentata se la prima è stata rigettata per vizi formali (nel caso di specie, la prima istanza veniva rigettata perché accompagnata da un pagamento inferiore al minimo legale di un quinto richiesto dall'art. 495 cpc). Vale a dire: "Non può dunque condividersi l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il divieto di reiterazione non sussiste quando la prima istanza di conversione sia stata dichiarata inammissibile per vizi formali. Anche un'istanza di conversione affetta solo da vizi formali, infatti, può in teoria essere proposta per finalità dilatorie; ed in ogni caso una tale interpretazione della norma ne svilisce l'aspetto di coazione indiretta sulla posizione del debitore". Autrice: Avv. Zulay Manganaro Menotti |
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