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Data: 24/07/2017 21:10:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani di Paolo M. Storani - Road map, letteralmente "tabella di marcia", comunemente intesa quale una sequenza temporale di azioni attraverso cui raggiungere un obiettivo, che, per noi, dediti all'allestimento della terza puntata di un viaggio nel giudizio di cassazione, è la corretta redazione del ricorso. Si tratta di un mezzo di impugnazione a critica vincolata, vale a dire utilizzabile soltanto all'interno del perimetro delineato dall'art. 360 c.p.c., primo comma, 1-5, avendo nella faretra esclusivamente vizi di legittimità tesi al controllo della conformità a diritto della decisione impugnata. A pena di inammissibilità, ai sensi dell'art. 366, 1° co., n. 4, c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della decisione, con l'indicazione specifica delle norme di diritto che s'intendono violate. Il giudizio di cassazione attiene non già al rapporto della controversia, bensì alla sentenza impugnata.
Ad esempio, mai richiedere la rivisitazione di fatti e di circostanze oggetto di accertamento definitivo ad opera dei giudici di merito, altrimenti sul Vostro ricorso cominceranno ad addensarsi quegli stessi nuvoloni fantozziane (grande, Villaggio!) che vedete sormontare il Palazzaccio nella fotina di corredo al presente pezzetto. Vi sentite, dopo aver letto, l'altro giorno, dell'avvocato condannato in proprio alle spese, per l'appunto "legali" (sic!), dalla Cassazione ord. 15895/2017, come Anton Cechov, trentenne, medico e scrittore, nel 1890 quando, dopo aver attraversato la Siberia, intravede l'isola - penitenziario zarista di Sachalin, luogo realissimo ma inverosimile come Piazza Cavour? Cerchiamo di riannodare il filo del discorso approcciato in occasione dell'appuntamento d'avvio del nostro viaggio estivo nei sentieri del ricorso per cassazione: abbiamo già posto in risalto che una sentenza recentissima, in modo davvero peculiare, può esserci assai utile a comprendere quali sollecitazioni per la Corte di legittimità integrano attività sterili, ad esempio quando invochiamo una nuova valutazione di risultanze di fatto, ormai irreparabilmente cristallizzate sul piano processuale. Infatti, uno dei filamenti più di pregio della decisione di Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2017, n. 17446, Pres. Sergio Di Amato e Rel. Giacomo Travaglino, è rappresentato dal brano dedicato all'art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c.. "I motivi di censura sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d'appello, dacché essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito". Prosegue l'Estensore Consigliere Giacomo Travaglino (cognome quasi manzoniano): "Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c. mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto irricevibili,... la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzioni difensiva". Veniamo ora al punto nevralgico della presente noticina che sviluppa un tema di discussione che impegnerà LIA Law In Action anche nelle settimane venture: "è, per altro verso, principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art. 360 n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile)". Prosegue il Relatore ricordando "come, all'esito delle modificazioni apportate all'art. 360, 1° co., n. 5 del codice di rito dalla legge 134/2012, il vizio motivazionale denunciabile non sia più quello (nella sostanza lamentato dal ricorrente, al di là della sua formale intestazione) afferente al contenuto motivazione (salvo il principio del c.d. minimo costituzionale, più volte affermato, anche a Sezioni Unite, da questa stessa Corte) bensì quello di omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti - vizio del tutto impredicabile, nella specie, onde l'inammissibilità, in parte qua, della censura mossa alla sentenza impugnata". Pertanto, con riferimento al vizio di motivazione denunciabile ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., da isolare rispetto alle censure di violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, non si può sostenere che il giudice di merito sia incappato in un'errata ricostruzione della vicenda, neppure avuto riguardo all'interpretazione ed all'applicazione delle norme giuridiche sulle quali il giudicante ha edificato la sua decisione. Quel che rileva in cassazione è l'accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini del decidere, non come il giudice di merito ha interpretato o ha applicato le norme giuridiche, perché in quei casi la Suprema Corte eserciterebbe il proprio potere correttivo, sostitutivo, integrativo ed emendativo, a mente dell'art. 384, 2° co., c.p.c. (motivazione assente, inadeguata, illogica, contraddittoria). Addirittura il giudice del merito potrebbe anche aver deciso le questioni giuridiche in modo corretto, senza, però, motivare adeguatamente o senza motivare per niente. Conformemente si veda Cass., Sez. U., 25 novembre 2008, n. 28054, Pres. Carbone, Est. Morcavallo (all'epoca era vigente ancora il quesito di diritto, di cui all'art. 366-bis c.p.c.). Insomma, il dispositivo della pronuncia di merito può benissimo essere conforme a diritto mentre la motivazione è sballata! Ne è un palmare esempio anche abbastanza recente Cass., Sez. Lav., 11 novembre 2014, n. 23989, Pres. Guido Vidiri e Rel. Gianfranco Bandini. Ricorrente è la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Ragionieri e Periti. Che cosa afferma qui la S. C. al punto 3.1? "Deve... convenirsi che, da un lato, è infondata la censura di omessa pronuncia, poiché la Corte territoriale ha deciso, nei termini già ricordati, sulla questione, ma che, dall'altro, la motivazione sul punto è del tutto apparente, risolvendosi nella locuzione 'è evidente che la somma richiesta in restituzione è indicata al lordo e non al netto', la quale di per sé non esprime alcun giudizio sull'effettiva spettanza della somma al lordo, come richiesto dalla Cassa, ovvero al netto, come prospettato subordinatamente dal pensionato". Qui la Cassazione ritiene esercitabile il potere di correzione della motivazione anche in presenza di errores in procedendo, in applicazione dell'art. 384 c.p.c.. Insomma, la Corte di Cassazione ricorda ad ogni pie' sospinto che non si può anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un terzo giudizio di merito, in cui ridiscutere tanto il contenuto di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria. "Quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità" chiosa con il suo inconfondibile stile scrittorio Giacomo Travaglino nella motivazione della sentenza elevata ad emblema. Ricordiamo che la norma esaminata nella pronuncia è valida per i ricorsi contro sentenze depositate dall'11 settembre 2012 in poi; è stato introdotto nell'ordinamento il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione fra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della vertenza. Il viaggio nei meandri del ricorso per cassazione prosegue su queste colonne (fine terza puntata). |
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