|
Data: 03/08/2017 11:00:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani di Stefano Massimiliano Ghio - Contrariamente a quanto avviene nella discussione, tutta italiana, sull'equo compenso per le libere professioni, penso che il principio a cui ci si debba ispirare sia la nuova (ma non troppo) visione economica che sta emergendo nei paesi occidentali. Questa, nel tempo della globalizzazione, si interroga se il capitalismo sia l'unica regola economica valida o se il libero mercato sia veramente l'unica regola delle democrazie (già mi immagino i primi nasi arricciati di qualche esimio collega che sta pensando all'art. 24 della Costituzione). Viene spesso citato Wolfgang Streeck, direttore del Max-Planck Institut di Colonia, il quale afferma che la crisi attuale non è un fenomeno accidentale, ma il culmine di una lunga serie di disordini politici ed economici che indicano la dissoluzione di quella formazione sociale che definiamo capitalismo democratico (citato da L'Espresso – luglio 2017). La nuova visione economica, che si potrebbe definire progressista, quindi, sta guardando verso la necessaria protezione dell'economia reale, sempre più offesa dalla speculazione dei grandi gruppi e dal dumping sociale, che ha l'obbiettivo di competere sui bassi costi, attraverso un sistema di regole che favoriscano la qualità e puniscano le pratiche scorrette. Nel contesto di tale macro discussione, in vero del tutto estranea al dibattito casalingo, arriva in aula al Senato il disegno di legge sull'equo compenso per le professioni legali che fa gioire la rappresentanza dell'avvocatura (sempre giustamente attenta all'art. 24 citato) la quale però palesa la sua incapacità di lettura delle evoluzioni sociali e la sua incapacità di orientare e governare le complessità che la riguardano. Due argomenti si potrebbero suggerire ai nostri rappresentanti. Sul fronte più propriamente politico, e quindi di visione, non vi è ancora la consapevolezza che gli argomenti normalmente usati richiamano principi e prospettive d'altri tempi, gli anni nei quali la corporazione esisteva veramente ed aveva creato dei recinti a salvaguardia dei risultati economici e non dei diritti. Le timide aperture dell'Antitrust e del governo sull'argomento paiono quelle riservate agli scocciatori. E' mai immaginabile il collegamento tra tutela dei diritti costituzionalmente garantiti ed i compensi economici dell'avvocato? La risposta è evidentemente no, altrimenti, operando di pura logica, con il gratuito patrocinio si dovrebbe accedere ad una inammissibile tutela di serie B! Tale accostamento viene utilizzato ogni volta che si accede alla discussione con coloro che intendono la professione come una attività di impresa e quindi giustificano l'applicazione delle medesime regole; tale discussione costituisce evidentemente una trappola argomentativa in quanto la liberalizzazione dei compensi potrebbe essere oggetto di discussione anche senza accedere alla "copertina" europea dell'esercizio di impresa. Infatti la pratica scorretta dei grandi gruppi (che attiene anche la politica dei prezzi) nei confronti degli studi legali può sempre inquadrarsi tra quelle pratiche scorrette che vengono insufficientemente regolamentate dalla normativa sulla concorrenza e ciò anche se gli studi venissero qualificati come piccole imprese. Allora proviamo a cambiare prospettiva partendo da quelle regole economiche che impongono una visione diversa del capitalismo liberista, un capitalismo da regolamentare con norme che disciplinino comportamenti corretti e conformi con uno sviluppo equilibrato e ben orientato dell'economica europea. Se ci si rendesse conto della necessità di preservare le differenze, di salvaguardare la piccola economia di qualità, di attuare una moderazione del sistema di potere dato dall'economia, di salvaguardare la democrazia economica e politica, saremmo in grado di far capire quanto le professioni, in buona compagnia, siano state le vittime sacrificate sull'altare della globalizzazione economica perché strutturalmente e necessariamente deboli nei confronti di un mercato fatto di derivati economici e sociali. Questo forse improbabile ragionamento mi porta ad affrontare il secondo argomento che avevo in mente: l'ingiustificato entusiasmo per la qualità normativa della proposta di legge che si sta discutendo in Senato visto che il siffatto testo, orfano di ogni premessa di respiro, si presta alle medesime critiche già avanzate dell'Antitrust in merito ai parametri forensi ("si prestano a svolgere lo stesso ruolo delle tariffe"). Parlo naturalmente della proposta Sacconi la quale in attuazione dell'art. 36 della Costituzione sancisce all'art. 2 la nullità delle clausole che non prevedono un equo compenso, con la presunzione di sproporzione per i compensi non conformi ai parametri determinati dai decreti ministeriali di riferimento. Se è pur vero che il Presidente dell'Antitrust Pitruzzella ha riconosciuto che "la natura economica delle professioni vada coniugato con la tutela di fondamentali interessi pubblici di rango costituzionale" e quindi "la peculiarità del diritto delle professioni", allo stesso tempo non dimentica di ricordare che secondo "la giurisprudenza europea, le professioni sono attività economiche assimilabili all'impresa". Il dubbio sulla sostenibilità dell'entusiasmo per il contenuto della proposta di legge è molto concreto. Manca l'esplicito riferimento ad un fatto ormai ineludibile, che riterrei essenziale, la qualificazione di parte contrattuale debole del professionista. La tutela rispetto alla preponderanza delle grandi committenze, che evidentemente utilizzano la loro posizione dominante per "affamare" i professionisti, rappresenta infatti l'argomentazione giuridica più efficace per contrastare gli infondati sospetti tradizionalmente manifestati dall'Antitrust. Ciò a maggior ragione se tale esigenza venisse coniugata con la citata nuova visione del "capitalismo democratico" e con la necessità di regolamentare l'accesso ai servizi professionali al fine di contrastare la proletarizzazione di massa di una grande parte della popolazione a discapito dei poteri forti. Mi convince la delusione rispetto alla qualità della proposta Sacconi, mentre mi sorprende la proposta di legge Barretta. Di quest'ultima, leggendo la relazione di presentazione ed il suo testo, introduce il concetto di equo compenso nei rapporti dell'avvocato con clienti diversi dai consumatori. Il testo mi sembra inconsapevolmente in linea con i concetti da me male esposti prima. La siffatta proposta infatti disciplina la vessatorietà e la nullità delle clausole sul compenso non equo nei contratti stipulati con i soggetti che non rientrano nella disciplina dell'art. 3 comma 1 lett. a) del codice del consumo. Tale norma prende implicitamente atto che la posizione dell'avvocatura può qualificarsi di natura dominante nei confronti del consumatore e allo stesso tempo vittima nei confronti delle grandi lobbies. Una consapevolezza che è ben chiara a tutti gli avvocati ma che non viene mai manifestata per l'atavica memoria collettiva dei tempi in cui lo studio legale era un tempio della scienza umanistica ed un luogo ove si decidevano le sorti delle leggi e degli uomini. Un punto di partenza importante che non potrebbe trovare alcun ostacolo dall'Antitrust vista la sensibilità dello stesso di evitare che le piccole aziende (sic!) subiscano le posizioni dominanti dei grandi gruppi e troverebbe il favore di coloro che intendo contrastare il dumping sui prezzi dei servizi legali. L'avvocatura sarà pronta ad affrontare le sfide che attendono il nostro Paese o la sua proletarizzazione economica gli impedirà di utilizzare l'unica risorsa economicamente intangibile quale è l'intelletto? Occorre avere il coraggio di scegliere tra le soluzioni possibili quella più in linea con le esigenze di una professione collocata in un contesto sociale post moderno, a cui tutti debbono guardare senza nostalgie e ripensamenti pena la sconfitta e la dissoluzione. Se si prendessero seriamente in mano le sorti della nostra professione forse potremmo rivalutarci come uomini e professionisti che, per cultura ed indole, hanno le capacità di prendere in mano le sorti di un Paese altrimenti destinato alla deriva dei particolarismi e delle fazioni. Avv. Stefano Massimiliano Ghio |
|