Data: 09/08/2017 09:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - È legittimo il licenziamento che l'impresa commina ai suoi dipendenti per esigenze di profitto, pur in assenza di una situazione di crisi: deve, tuttavia, essere verificata dal giudice l'effettività del ridimensionamento e il nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato.

Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell'ordinanza n. 19655/2017 (qui sotto allegata) dichiarando inammissibile il ricorso di una società datrice di lavoro il cui licenziamento comminato a un dipendente per riduzione del personale veniva dichiarato illegittimo.

La Corte d'Appello aveva condannato la s.p.a. ricorrente altresì alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente e al pagamento, a suo favore e a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal licenziamento.

In Cassazione, la datrice di lavoro evidenzia, tra gli altri motivi, che il licenziamento è dipeso dalla soppressione dell'intero reparto cui era addetto il lavoratore. Tuttavia, come rilevato dalla Corte d'Appello e condiviso dalla Cassazione, l'istruttoria esperita non aveva dimostrato che fosse stato soppresso l'intero settore per il quale il dipendente era stato assunto, a tal fine dovendo aversi riguardo a tutte le forme (e relativi contenuti) di utilizzazione di personale tecnico, anche in forma di collaborazione o consulenza o, a maggior ragione, con contratti a termine, a cui la società risulta aver fatto ricorso.

Legittimo il licenziamento "per profitto" dell'impresa

In realtà, precisa la Corte, è legittimo il licenziamento per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa, in esse comprese anche quelle attinenti a una migliore efficienza gestionale o produttiva ovvero dirette a un aumento della redditività di impresa, una volta che ne sia stata verificata l'effettività del ridimensionamento e del nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato.

Si tratta di un accertamento di ricorrenza, e non pretestuosità, delle ragioni stabilite dall'art. 3 L. 604/1966 affidato al sindacato giudiziale, senza alcuna indebita interferenza sull'insindacabile autonomia imprenditoriale.

L'orientamento richiamato è da ritenersi "consolidato" per i giudici del collegio in quanto molte altre pronunce hanno avvalorato la legittimità del licenziamento "per profitto" (ex multis, Cass. 25201/2016, 25197/2013, 7474/2012 e 15157/2011).

Tuttavia, va evidenziato che sussiste altra e più restrittiva scuola di pensiero secondo cui, pur rientrando nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa, deve essere deciso dall'imprenditore non semplicemente per un incremento del profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, imponendo un'effettiva necessità di riduzione dei costi (Cass. n. 14871/2017 e n. 21282/2006).
Nel caso in esame, tuttavia, un legittimo sindacato è stato operato dai giudici di merito è sussiste congrua e logica motivazione, integrando un accertamento in fatto insindacabile dalla stessa Cassazione. Pertanto le doglianze della società devono essere respinte.

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