Data: 14/08/2017 16:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Nonostante il ricorso proposto dal contribuente appaia fondato, anche costui deve essere condannato alle spese (compensate) del giudizio poiché l'atto introduttivo del giudizio appare eccessivamente prolisso e infarcito di contestazione anche dilatorie. 
La deroga al principio di soccombenza è giustificata dal comportamento processuale della parte che così costringe i giudici a un'attività valutativa molto più lunga e complessa. Questo è quanto ha stabilito la Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone nella sentenza n. 712/2017 (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un contribuente contro l'avviso di accertamento teso alla tassazione dei maggiori compensi.

La vicenda

Nel chiedere l'annullamento, previa sospensione, dell'atto impugnato, il ricorrente eccepiva ben 11 motivi in gran parte concentrati sulla legittimità dell'atto e in conclusione anche nel merito. Le questioni pregiudiziali sollevate dalla parte ricorrente, tuttavia, si palesano tutte infondate e meritevoli di rigetto.

Diversa la situazione per la questione di merito che richiede al giudice una valutazione di un'intervenuta transazione tra il ricorrente e il Comune, dalla quale sono derivati i pagamenti che l'Agenzia delle Entrate intende tassare.
La Commissione conferma che trattasi di somme percepite a titolo di risarcimento del danno subito (danno emergente), come si desume dalle stesse voci che compongono e identificano le somme accordate: su tali somme, pertanto, non c'è imposizione non trattandosi, invece, di integrazione o sostituzione di redditi perduti (lucro cessante) per le quali, al contrario, sarebbe stata giustificata l'imposizione tributaria.

Ricorso prolisso: spese compensate

Tuttavia, nonostante le spese di norma spettino alla parte vittoriosa che, nel caso in esame, sarebbe il contribuente ricorrente, la Commissione ritiene di poterle compensare in ragione della condotta processuale tenuta dalla parte ricorrente nella predisposizione dei propri atti difensivi, estremamente prolissi e infarciti di contestazioni infondate, talune anche meramente dilatorie. 
A proposito, la Commissione Tributaria richiama i principi espressi dalla Cassazione che, in casi analoghi, ha addirittura stabilito che ne derivasse l'inammissibilità della domanda, come nella recente sentenza n. sentenza n. 18962/2017 (per approfondimenti: Processo civile: ricorso poco "sommario" quindi inammissibile). 
Per la Corte di legittimità, l'inammissibilità deriverebbe dalla violazione dell'art. 366, n. 3, c.p.c., secondo cui il ricorso deve contenere a pena d'inammissibilità, l'esposizione sommaria dei fatti della causa, principio che non può certamente dirsi rispettato quando il ricorrente riproduca dei contenuti superflui e prolissi costringendo l'organo di valutazione a un'attività del tutto inutile ai fini del compito che si è chiamati a svolgere. 
Certo, la norma summenzionata, rilevano i giudici della Commissione, regola il solo ricorso per Cassazione, mentre quello innanzi alla CTP è regolato dal d.lgs. n. 546/1992: pertanto, alla prolissità del ricorso in esame non può essere comminata una censura di inammissibilità, ma, trattandosi ugualmente di una condotta processuale meritevole di censura, questa può determinare una deroga al principio della soccombenza che regola la materia delle spese processuali tributarie.

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