Data: 03/09/2017 17:30:00 - Autore: Giorgio Filippo Alfonso

Avv. Giorgio Filippo Alfonso - Per orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la cartella clinica ha natura di atto pubblico si sensi e per gli effetti degli artt. 2699 ss. cc., per cui "fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale (qualificazione soggettiva che assume dunque il medico redigente n.d.r.) che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti".

Natura giuridica, contenuti e valore probatorio. Le conseguenze penalistiche e civilistiche della violazione dell'obbligo di fedele compilazione e tenuta della cartella clinica

Considerata la natura di atto complesso della cartella clinica deve tuttavia limitarsi tale "fede privilegiata" solo alle trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non involte le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse (cfr Cassazione civile, sez. III, 30/11/2011, n. 25568, Cass. 12 maggio 2003 n. 7201). Rimane fermo che tali ultime annotazioni sono comunque utilizzabili a fini probatori, congiuntamente ad altri elementi di prova, ai fini della formazione del convincimento del Giudice.

Quanto ai contenuti, il medico redigente dovrà attenersi alle modalità previste dall'art. 26 del Codice di deontologia medica, ai sensi del quale il medico redige la cartella clinica, quale documento essenziale dell'evento ricovero, con completezza, chiarezza e diligenza e ne tutela la riservatezza; Il medico riporta nella cartella clinica:

a) i dati anamnestici e quelli obiettivi relativi alla condizione clinica e alle attività diagnostico--‐terapeutiche a tal fine praticate;

b) il decorso clinico assistenziale nel suo contestuale manifestarsi o nell'eventuale pianificazione anticipata delle cure nel caso di paziente con malattia progressiva, garantendo la tracciabilità della sua redazione.

c) i modi e i tempi dell'informazione e i termini del consenso o dissenso della persona assistita o del suo rappresentante legale anche relativamente al trattamento dei dati sensibili, in particolare in casi di arruolamento in protocolli di ricerca.

Qualsiasi eventuale correzione va motivata e specificamente sottoscritta, in quanto, atteso che la redazione della cartella clinica produce effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica, e funge da documentazione delle attività compiute dal pubblico ufficiale che ne assume la paternità, qualunque alterazione integra il reato di falsità in atto pubblico ed è punibile, ex art. 476 co. 2 c.p., con la reclusione da tre a dieci anni (cfr. Cassazione penale, sez. V, 12/07/2011, n. 42917). Oltre che per mezzo di aggiunte mendaci, il reato di falsità in atto pubblico può essere integrato anche attraverso un comportamento omissivo allorché l'attestazione incompleta, cioè priva dell'informazione su un determinato fatto, attribuisca al tenore dell'atto un senso diverso, così che l'enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero (Cassazione penale, sez. V, 10/12/2014, n. 5635; Cass. Pen., sez. 05, del 23/04/2013, n. 45118). A contrario, dunque, non assumeranno rilievo quelle omissioni che non siano idonee a conferire un significato diverso all'atto, ovvero a determinarne una ontologica falsità.

L'intangibilità – derogabile nei termini sopra detti – della cartella clinica si manifesta altresì nel divieto di inserimento"ora per allora" nell'atto di fatti, anche se con il preteso intento di rendere il contenuto conforme al vero, poiché tali aggiunte successive implicano l'alterazione del diario clinico e pregiudicano la funzione tipica di tale atto, senza che possa ricondursi tale condotta a un errore materiale o a una innocua alterazione: su queste premesse, ad esempio, è stato rigettato il ricorso proposto da un medico ospedaliero pubblico avverso la condanna per il reato di falso materiale in atto pubblico, pronunciata nei suoi confronti per avere integrato, a distanza di anni, la cartella clinica di un malato, con annotazioni originariamente mancanti (Cassazione penale, sez. V, 29/05/2013, n. 37314).

L'obbligo di una fedele e diligente compilazione della cartella clinica, oltre a poter assumere rilievo penalistico, incide negativamente nei confronti del medico anche sul piano dell'accertamento della responsabilità civile, e segnatamente del nesso eziologico, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza 31 marzo 2016, n. 6209: « la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente » (nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d'appello, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una gestante che aveva partorito una neonata affetta da grave insufficienza mentale per asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotoracografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto).

Diritto di accesso alla cartella clinica ed illegittimo diniego

Strettamente connessa alla tematica sopra trattata è quella del diritto di accesso alla cartella clinica propria o di altro soggetto, e degli strumenti giuridici approntati dall'ordinamento per l'ipotesi di diniego illegittimo.

I riferimenti normativi in materia sono rappresentati da un lato dagli articoli 22 ss. della legge 241/90 e dall'altro dal "Codice in materia di protezione dei dati personali" di cui al d. lgs. n. 196/2003.

In particolare, l'art. 25 della legge 241/90 consente a coloro che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento del quale è chiesto l'accesso, di avanzare richiesta motivata di accesso agli atti all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. L'esame dei documenti è gratuito, mentre il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.

Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso debbono essere motivati. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta.

L'articolo 92 del D. lgs 196/03 prevede, in particolare, che eventuali richieste di presa visione o di rilascio di copia della cartella e dell'acclusa scheda di dimissione ospedaliera da parte di soggetti diversi dall'interessato possono essere accolte, in tutto o in parte, solo se la richiesta è giustificata dalla documentata necessità:

a) di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. In tal caso il parametro di raffronto non è il semplice "diritto di azione e difesa", ma il diritto sottostante che il terzo intende far valere sulla base del materiale documentale che chiede di conoscere" (cfr. provv. del 9 luglio 2003 del Garante della Privacy, doc. web n. 29832). Peraltro, la valutazione sull'istanza di accesso non deve essere circoscritta al mero raffronto fra i diritti coinvolti, ma deve basarsi sull'ulteriore verifica volta ad appurare – anche ai fini dell'accoglimento solo parziale dell'istanza – se i dati o tutti i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute oggetto di richiesta siano effettivamente "necessari" al fine di far valere o difendere gli equivalenti diritti in sede contenziosa (cfr. prov. del 9 luglio 2003 citato e art. 11 del Codice).

b) La richiesta è giustificata altresì dalla documentata necessità di tutelare una situazione giuridicamente rilevante di rango pari a quella dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Così, ad esempio, l'istanza di accesso alla cartella clinica di persona defunta volta ad appurare la trasmissibilità della patologia determinante il decesso a scopo di prevenzione terapeutica deve essere accolta (T.A.R. Venezia, sez. III, 07/03/2003, n. 1674).

Altro dato normativo rilevante è costituito dall'articolo 1 co. 39 della L. 76/2016, a norma del quale "in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari", che estende il diritto di accesso alla cartella clinica anche a coloro che non sono uniti da vincolo di matrimonio o da unione civile, ma versano in una "semplice" convivenza di fatto.

In caso di illegittimo diniego di accesso agli atti è possibile ricorrere al Tribunale Amministrativo competente per territorio entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione da impugnare o dalla formazione del silenzio: il Giudice, sussistendone i presupposti, decide con sentenza in forma semplificata, ordinando l'esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni, e dettando, ove occorra, le relative modalità.

Oltre ad avere conseguenze sul piano amministrativo, però, non possono preterirsi le conseguenze di natura penale dell'illegittimo diniego: infatti, il mancato tempestivo rilascio della cartella clinica integra il delitto di cui all'art. 328 comma 1 c.p. (omissione d'atti d'ufficio), in quanto consistente nel rifiuto di un atto pubblico la cui completa e regolare compilazione, sempre funzionale a ragioni di sanità, è rimessa in via definitiva e ufficiale al responsabile di reparto, nella specie il primario, in qualità di pubblico ufficiale (Cassazione penale, sez. VI, 13/01/2015, n. 6075).

La cartella clinica "elettronica"

Tutto quanto detto vale altresì per quella particolare tipologia di cartella clinica denominata "cartella clinica elettronica", che può definirsi come una raccolta di dati clinici del paziente disponibile su supporto informatico integrato al servizio delle Aziende Ospedaliere.

Introdotta con un emendamento sulle Semplificazioni approvato dalle commissioni Affari Costituzionali e Attività produttive della Camera, in vigore dal 12 febbraio 2012, la cartella clinica elettronica ha la funzione di:

a) acquisire, aggiornare e consultare in tempo reale tutte le informazioni relative al paziente;

b) condividere velocemente le informazioni fra tutti gli operatori sanitari;

c) effettuare ricerche statistiche e analisi sui dati dei pazienti;

d) unificare e standardizzare le procedure operative del sistema ospedaliero.

Avv. Giorgio Filippo Alfonso

Studio Legale in Sant'Agata Militello (ME)

e-mail: avvocatoalfonso@libero.itt


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