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Data: 06/11/2017 16:00:00 - Autore: Gabriella Lax di Gabriella Lax - Sulla riforma delle intercettazioni c'erano state le rassicurazioni da parte del ministro della giustizia Andrea Orlando. A suo dire, la normativa non avrebbe intaccato la libertà di stampa. In realtà rischiano fino a 3 anni di carcere i cronisti che pubblicano le conversazioni che finiscono nell'archivio. Intercettazioni: giro di vite sulle possibilità di utilizzo e non sulle autorizzazioniMolte intercettazioni saranno registrate, ma solo quelle "essenziali e necessarie" confluiranno nei provvedimenti dei giudici. Tantissime, probabilmente la maggior parte, non saranno neppure trascritte. Ma niente andrà perso. A chiarire ci aveva pensato qualche giorno fa, su Repubblica, il ministro «La parola 'stretta' dà l'impressione di una riduzione della possibilità di fare intercettazioni. In verità il provvedimento non incide su questo e su alcuni reati riduce e semplifica le autorizzazioni per effettuarle». Il nodo dunque è rappresentato non dalle autorizzazioni ma dalla possibilità del loro utilizzo. Le intercettazioni che non hanno rilevanza penale devono essere custodite in un apposito archivio di cui è responsabile il capo della Procura fino alla fine del processo e poi eliminate. Quindi le intercettazioni inizialmente giudicate non penalmente rilevanti che poi dovessero rivelarsi utili, potranno essere ripescate tranquillamente nell'archivio. La polizia giudiziaria annota le singole intercettazioni, c'è un indice per cui vengono recuperate quelle che poi risultano utili nel corso delle indagini. Intercettazioni, la trappola dell'archivioMa il punto è proprio l'archivio e quello che rappresenta. Nell'articolo 3 del decreto, comma 5, dell'articolo 268-quater si legge: "Gli atti e i verbali relativi a comunicazioni e conversazioni non acquisite sono immediatamente restituiti al pubblico ministero per la conservazione nell'archivio riservato … sono coperti da segreto". Ecco spiegato perché i cronisti rischiano fino a tre anni di carcere nel caso di pubblicazione delle intercettazioni, che considerate irrilevanti, finiscono nell'archivio a disposizione delle parti. Il "segreto" che copre le conversazioni irrilevanti penalmente, ma che invece possono essere di pubblico interesse. Proprio la pubblicazione di queste intercettazioni può integrare il reato di rivelazione di segreto d'ufficio in concorso con il pubblico ufficiale. Fnsi e Odg: «Salvaguardare il diritto dei giornalisti di pubblicare le notizie»La norma, vista come una sorta di spada di Damocle che pende sulla testa dei cronisti, ha suscitato le perplessità del sindacato e dell'ordine dei giornalisti, perché nega di fatto il diritto di pubblicare notizie rilevanti. Così in un comunicato intervengono la Federazione nazionale della Stampa italiana e l'Ordine dei giornalisti: «Le critiche sollevate da magistrati, avvocati, giuristi e associazioni dei giornalisti dovrebbero indurre il governo a rivedere la proposta sulle intercettazioni e il Parlamento a sollecitare radicali modifiche. Sulla cosiddetta "essenzialità" rischia di innescarsi un grave conflitto con pesanti ripercussioni sullo stesso diritto di cronaca e sul diritto dei cittadini ad essere informati su questioni essenziali come la conoscenza di vicende di mafia, corruzione e malaffare. Non casualmente, manca per l'ennesima volta il riconoscimento del diritto di pubblicare ogni notizia che abbia il requisito del pubblico interesse e della rilevanza sociale, a prescindere dalla rilevanza penale, così come stabilito in diverse occasioni dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Il governo finge di ignorare che non tutto ciò ha rilevanza per l'opinione pubblica deve avere necessariamente rilevanza penale». Secondo Fnsi e Odg «va salvaguardato il diritto dei giornalisti di pubblicare le notizie, anche se coperte da segreto o senza alcuna rilevanza penale, che possano contribuire a rendere l'opinione pubblica informata» e si dichiarano pronti a rimanere accanto ai colleghi che potrebbero finire nell'ingranaggio ed essere denunciati, o subire qualsiasi forma di censura, per aver deciso di rispettare gli obblighi deontologici ed il dovere di informare.
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