Data: 07/11/2017 10:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Il reato di atti persecutori è integrato da una serie di comportamenti tra i quali rientra anche il cosiddetto stalking giudiziario, ovverosia quello compiuto attraverso la proposizione reiterata di denunce ed esposti.

Come si evince dalla sentenza della Corte di cassazione numero 50438/2017 del 6 novembre (qui sotto allegata), se la portata concreta dello stalking giudiziario ai fini dell'applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento va valutata con un'attenta analisi dei profili fattuali della vicenda concreta, laddove ad esso si affianchino condotte persecutorie ben più pregnanti la legittimità della misura è comunque più che legittima.

La vicenda

Nel caso di specie, le condotte persecutorie poste in essere dallo stalker erano state accertate in giudizio come sistematiche e varie e avevano correttamente legittimato il divieto di avvicinamento.

L'imputato, oltre ad aver posto in essere dei comportamenti idonei a integrare stalking giudiziario, aveva infatti compiuto una serie di azioni per impedire alle sue vittime l'uso esclusivo di una strada sulla quale era in corso tra di loro una controversia civilistica. In particolare, aveva sparso chiodi, imbrattato le pareti, collocato massi davanti al cancello ed era arrivato addirittura ad aggredire le vittime verbalmente e fisicamente.

Il tentativo dello stalker di veder cancellata la misura cautelare del divieto di avvicinamento è quindi caduta nel nulla: i suoi atteggiamenti non sono fatti episodici e isolati "ascrivibili a modeste questioni di "cortile" tra vicini", anche a prescindere dalla sussistenza dello stalking giudiziario.


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