Data: 11/12/2017 11:15:00 - Autore: Marina Crisafi
di Marina Crisafi - Niente liquidazione anticipato all'avvocato che assiste il fallimento se prima non si è definito il giudizio, perché il suo diritto al compenso sorge solo ad affare concluso. Così ha stabilito la Cassazione, con l'ordinanza n. 29471/2017 pubblicata il 7 dicembre (sotto allegata), rigettando il ricorso di un legale che invocava il pagamento della propria parcella.

La vicenda

Nella vicenda, l'avvocato impugnava l'ordinanza con cui il tribunale di Pisa aveva rigettato il reclamo attraverso il quale chiedeva la liquidazione del compenso per l'attività difensiva svolta in favore di una sas in fallimento. Il tribunale riteneva che poiché la prestazione non si era conclusa, essendo il giudizio ancora pendente, l'avvocato avesse diritto esclusivamente al rimborso delle spese e a un acconto conforme agli usi, mentre il professionista aveva presentato una parcella completa e dettagliata per tutta l'attività svolta, la cui liquidazione integrale, oltre a non essere prevista, era preclusa dall'impossibilità di valutare i risultati del giudizio e i vantaggi conseguiti dal cliente.

L'avvocato adiva perciò la Cassazione insistendo sul fatto che l'importo richiesto costituiva solo un acconto e che proprio per tale motivo aveva depositato parcella dettagliata in modo da consentire al giudice delegato il riscontro delle prestazioni effettuate e il controllo in ordine alla corrispondenza degli importi richiesti alle tariffe vigenti.

Avvocati: compensi solo ad affare concluso

Ma gli Ermellini giungono alle stesse conclusioni del tribunale.

L'esclusione della possibilità di liquidare integralmente i compensi dovuti per l'attività svolta dal legale, operata dal tribunale, trova conforto, premettono i giudici, nella disposizione dettata dall'art. 2957 2 comma cc. che "nel disciplinare la prescrizione presuntiva delle competenze spettanti agli avvocati ancora la decorrenza del relativo termine alla decisione della lite o ad altri eventi idonei a determinare l'estinzione del mandato e in mancanza al compimento dell'ultima prestazione, in tal modo lasciando chiaramente intendere che il diritto sorge soltanto a seguito della cessazione del rapporto di prestazione d'opera professionale o comunque all'esaurimento dell'affare per il quale è stato conferito l'incarico".

E' solo in tale momento d'altronde, si legge ancora nel provvedimento, che "palesandosi l'impegno profuso dal professionista e gli effetti concreti della sua attività diviene possibile valutare appieno il pregio dell'opera da lui prestata e i risultati e i vantaggi dalla stessa procurati al cliente".

Né questo comporta, come asserisce il legale ricorrente, una trasformazione dell'obbligazione del professionista da "obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato", giacchè il riferimento esclusivo alla diligenza media esigibile in rapporto all'attività esercitata, "quale metro di valutazione dell'impegno – profuso dal professionista - nell'adempimento della prestazione, indipendentemente dal conseguimento degli obiettivi cui la stessa era preordinata, non ha infatti alcun rapporto con la possibilità di tener conto, nella liquidazione del compenso, della particolare qualità della prestazione e dei benefici conseguiti dal cliente, ammessa dalla stessa disciplina legale fin da epoca anteriore all'entrata in vigore del dm 140/2012 che ha abolito il principio dell'inderogabilità delle tariffe".

Del resto, l'insorgenza del diritto al compenso per "esclusivo effetto dell'esaurimento dell'affare non esclude – peraltro - la possibilità che le parti si accordino per la corresponsione di anticipazioni, fermo restando l'obbligo di pagamento del residuo determinato anch'esso fin dall'origine o liquidato all'esito della prestazione". Tuttavia, concludono dal Palazzaccio, "l'ammissibilità di tali pattuizioni non comporta, in assenza delle stesse o di specifiche consuetudini, il diritto del professionista al riconoscimento di acconti sul compenso, la cui liquidazione anticipata, rispetto alla cessazione del rapporto di prestazione d'opera professionale, non può ritenersi giustificata, nel caso di prestazioni professionali rese in favore di un fallimento, neppure dall'articolo 111 bis Lf". Per cui il ricorso è rigettato.


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