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Data: 20/12/2017 15:36:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'uomo che abbia dato il consenso alla fecondazione eterologa della donna, non potrà revocarlo quando la procedura di trattamento embrionale sia già iniziata e neppure potrà, successivamente, disconoscere la paternità del nato per la sua impotenza a generare. La sentenza della Corte Costituzionale, che ha limitatamente ammesso la fecondazione eterologa, ha unificato la disciplina della procreazione assistita, ma non modificato la disciplina del consenso: il nato, infatti, non può essere privato di uno dei genitori tramite il disconoscimento di paternità, poiché quella reale non è accertabile essendo stato utilizzato un seme di provenienza ignota. Lo ha precisatola Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 30294/2017 (qui sotto allegata). La vicendaIl marito aveva convenuto in giudizio il figlio e la moglie affinché si disconoscesse la sua paternità stante la propria impotentia generandi. La domanda, tuttavia, veniva rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello. La coppia, formata da due cittadini italiani, aveva effettuato in Spagna l'impianto dell'embrione nell'utero, poiché, al tempo l'inseminazione eterologa (ovverosia con seme diverso da quello del marito o del partner) era vietata in Italia, nonostante ne venissero disciplinati gli effetti dalla legge 40/2004 nell'esclusivo interesse del nato. Solo il successivo intervento della Corte Costituzionale, sentenza n. 162/2014, ha ammesso l'eterologa in Italia. L'uomo ripropone le sue doglianze in Cassazione, lamentando violazione e vizio di motivazione, in relazione ai parametri costituzionali, in particolare quanto all'art. 6 della L. 40/2004, circa il divieto di revoca del consenso all'impianto, e dell'art. 9 della stessa legge, sul divieto di disconoscimento del figlio nato a seguito di trasferimento embrionale. Niente disconoscimento di paternità se il padre ha acconsentito alla fecondazione eterologaGli Ermellini, rammentano come, ai sensi della normativa richiamata dal ricorrente, il coniuge o convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti, non può esercitare azione di disconoscimento della paternità, in particolare anche quando, come nella specie, sia affetto da impossibilità di generare. Ancora, quanto al consenso del coniuge o del partner, la volontà può essere da lui revocata, ma sino al momento della fecondazione dell'ovulo. Con la sentenza n. 162/2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa in caso di sterilità o infertilità assolute e irreversibili: tuttavia, la stessa Consulta, nel provvedimento, ha escluso che il proprio intervento avesse provocato un vuoto normativo. La Cassazione, sulla scia della pronuncia richiamata, ritiene che la dichiarazione di incostituzionalità della normativa in esame abbia avuto quale effetto quello di unificare la disciplina della fecondazione assistita e, riferendosi esplicitamente alla disciplina del consenso, la Consulta ne ha in sostanza affermato la conformità a Costituzione. D'altronde, consentire la revoca del consenso, anche in un momento successivo alla fecondazione dell'ovulo, non apparirebbe compatibile con la tutela costituzionale degli embrioni più volte affermata dalla Corte Costituzionale (ex multis, sentt. 151/2009 e 229/2015). La stessa giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha ritenuto che l'attribuzione dell'azione di disconoscimento al marito, anche quando abbia prestato assenso alla fecondazione eterologa, priverebbe il nato di una delle due figure genitoriali e del connesso rapporto affettivo e assistenziale, stante l'impossibilità di accertare la reale paternità a fronte dell'impiego di seme di provenienza ignota. Sul punto, precisa il Collegio, non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta la preminenza della verità biologica rispetto a quella legale. Nel caso di specie, il ricorrente, dopo aver espresso il consenso all'inseminazione eterologa assieme alla moglie in un contratto con l'Istituto spagnolo, revocò tale consenso con successiva comunicazione, giunta in data nella quale il trattamento embrionale era, però, già iniziato. Per la Cassazione, dunque, la comunicazione di revoca del consenso ricevuta dall'Istituto non può rilevare, non essendovi stata dimostrazione che tale revoca era intervenuta prima dell'attivazione della tecnica di preparazione dell'embrione, ovvero della fecondazione dell'ovulo destinato all'impianto. Si tratta, d'altronde, di questione di fatto insuscettibile di controllo in Cassazione, pertanto la domanda deve essere rigettata. |
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