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Data: 02/01/2018 09:00:00 - Autore: Margherita Marzario "La bellezza dell'amore non sta nelle misure delle forme, ma nello splendore dello sguardo" (cit.). Come si fa, nei casi della cosiddetta "maternità surrogata", a consultare cataloghi che danno ogni genere di informazioni, per la propria scelta di genitorialità, per un figlio che si deve ricordare non essere proprietà di nessuno e che dovrebbe essere, invece, frutto d'amore e progetto della sua vita (e non un proprio programma)? Il giurista gesuita Francesco Occhetta fornisce una definizione: "La maternità surrogata è una pratica di procreazione in cui la donna si impegna a portare avanti una gravidanza per poi consegnare il neonato che darà alla luce a una coppia committente. È tra i temi più delicati e scottanti del dibattito pubblico, a partire dai modi diversi in cui viene definita: è chiamata «gestazione per altri», «gestazione d'appoggio», oppure «utero in affitto». Le domande antropologiche ed etiche che tale pratica suscita toccano la radice del significato di vita, di corpo, di rapporto madre-figlio, di dignità, di memoria, ma anche di dono e di reciprocità. Sembra che nel dibattito politico le categorie dell'umanesimo abbiano lasciato il posto a quelle del post-umanesimo, in cui la riflessione pubblica si limita ad accogliere (passivamente) i traguardi della tecnica"[1]. La maternità, in quanto tale, non può essere aggettivata o delimitata, meno che mai "surrogata". Ha solo e specificatamente una funzione universale: trasmettere vita e amore. L'unica ferita che può provocare al figlio è il taglio del cordone ombelicale e non un abbandono già preventivato e commissionato. Non può essere previsto un compenso come per un qualsiasi lavoro. "Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione" (art. 37 comma 1 Costituzione). "Fino a che punto – si chiede e chiede Occhetta –, dunque, l'idea del legame liquido che fonda la surrogazione può condizionare le domande e gli appelli più profondi della coscienza morale? Davvero vogliamo insegnare ai giovani che tutto può essere disponibile, soggetto a prezzo di mercato e controllato dagli interessi delle industrie biotecnologiche? Se si afferma culturalmente che nemmeno l'essere dei nascituri è indisponibile, dove fonderanno la propria libertà le giovani generazioni quando cresceranno? E quale tipo di rigetto avranno per la generazione che li ha resi disponibili? Sono queste le domande a cui rispondere come civiltà umana. La libertà è sempre «per qualcuno», non è mai «da qualcosa»; non si realizza nello spazio infinito del moltiplicarsi dei bisogni-desideri, ma si costruisce nell'accoglienza del limite e della relazione con l'altro"[2]. Il grembo materno è il primo legame del nascituro con l'altro attraverso il cordone ombelicale, il primo confine con l'altro attraverso l'utero, la prima emozione dell'altro e dall'altro attraverso il liquido amniotico. Autorizzare la maternità surrogata è autorizzare ferite abbandoniche e traumi di cui si ignorano le conseguenze. Ci si preoccupa del pedigreee (certificato genealogico) degli animali domestici e non ci si preoccupa delle origini e del patrimonio genetico, emozionale e vitale dei propri figli. Maternità è dare materia alla vita, ma è il contrario della materialità della vita. Non è e non può essere il soddisfare egoismi o desideri propri o altrui addirittura con compensi, come con la maternità surrogata. Il giurista gesuita continua: "La parte più debole rimane il nascituro, che «va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita». A questo proposito, tra l'altro, non può non suscitare interrogativi il fatto che nel mondo ci siano circa 170 milioni di bambini abbandonati. Prendersi cura di loro attraverso l'adozione o l'affido, da sostenere come cultura politica, riporterebbe nei confini dell'umano il desiderio di diventare genitori e di crescere un figlio". Prioritario è il benessere dei bambini e non quello degli adulti (art. 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia), benessere psicofisico che può essere compromesso nel caso di maternità surrogata perché, tra i tanti esempi che si possono annoverare, i bambini crescendo possono rimanere turbati nel venire a sapere delle loro origini. Con l'adozione e l'affidamento, invece, si contribuisce al benessere di bambini già in vita ma disagiata. Allora sì che diventa un atto di generosità e generatività. "Allora diviene arduo – afferma Occhetta –, sotto il profilo giuridico prima ancora che morale, considerare la maternità surrogata una tecnica riproduttiva eterologa in caso di sterilità. Questo significherebbe svilire il valore della relazione che madre e figlio vivono nei nove mesi di gestazione. La maternità surrogata non può nemmeno essere ridotta, come ritengono alcuni bioeticisti, alla semplice donazione di un organo, perché l'utero, diversamente da un rene o un polmone, esiste per contenere un'altra vita e non ha altra funzione se non quella. Basterebbe poi una consultazione pubblica nei vari Paesi europei per capire che la maggioranza della popolazione è contraria alla pratica". Ammettere la maternità surrogata significa non riconoscere la vera funzione della maternità e disgiungerla anche dal dolore e dai rischi che comporta, come la nascita pretermine (si veda la Carta dei diritti del nato prematuro) o la morte perinatale o il morire di parto. Egidio Termine, regista de "Il figlio sospeso", film sulla maternità surrogata, afferma in un'intervista: "Intanto mi oppongo ad un fatto storico che sta avvenendo da un punto di vista sociologico: il passaggio dall'umanesimo al post-umanesimo che vuole vedere e rielaborare la stessa antropologia umana. Da un punto di vista scientifico, filosofico ci si inventano delle teorie ma, purtroppo per loro, ci si scontra sempre con quella che è la natura dell'uomo, la vera antropologia dell'uomo, quasi a volere forzare un sentimento che mai potrà morire. Questa ricerca c'è sempre: una mamma sa sempre e comunque che da qualche parte ha un figlio". Coloro che approvano e ricorrono alla maternità surrogata dovrebbero almeno riflettere sul particolare legame del cordone ombelicale e sull'importanza della conservazione del cordone stesso. Il regista Termine incalza dicendo: "Si parla spesso di maternità surrogata focalizzando l'attenzione sulle madri che oggi possono essere anche quattro. Nessuno pensa invece al bambino, al figlio che è il protagonista di questo fatto sociale nuovo. Quindi mi sono messo dalla parte del bambino e lo stesso titolo "Il figlio sospeso" è esplicativo di questo mio punto di vista che parte appunto dalla necessità di attenzionare il bambino, il protagonista che viene scambiato nella maternità surrogata". Con la maternità surrogata si va a incidere sullo status di figlio (figlio di chi e quanti?) e, pertanto, sull'identità. Nell'art. 7 par. 1 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si legge la locuzione "conoscere i propri genitori". "Proprio", etimologicamente "vicino", è ciò che appartiene esclusivamente a una persona. E nella maternità surrogata ciò non è garantito, perché quell'utero avrà dato o potrà dare alla luce altri figli sconosciuti e sparsi nel mondo cui viene negata aprioristicamente maternità naturale e rapporto di fratellanza. Francesco Occhetta osserva: "La valutazione etica della maternità surrogata […] non può limitarsi a stabilire una sorta di «argine» al limite delle tecniche di procreazione artificiali. Non si tratta nemmeno di fissare parametri – quanto sarebbe giusto o dove sarebbe troppo – per capire fin dove è possibile arrivare con uno strumento tecnico che di per sé dovrebbe essere neutro. Infatti, essendo coinvolte la persona e la sua dignità come oggetto dell'agire tecnico, bisogna ricordare quell'imperativo che Immanuel Kant identificava come punto chiave del comportamento umano: «Agisci in modo da considerare l'umanità, sia nella tua come nella altrui persona, sempre come fine e mai come semplice mezzo». La valutazione etica di tale prassi si pone al più radicale dei livelli dell'umano, quello del senso della vita. Parlare di un approccio etico alla maternità surrogata significa portare la domanda morale al cuore della tecnica per cercare come questa possa servire l'uomo, senza servirsene. Trasformare la procreazione in una produzione rivela un decadimento della percezione dell'umano verso le derive del post-umano: l'uomo svuotato del significato antropologico unitario, che rimane malleabile e plasmabile secondo il desiderio dei più forti e dei più ricchi. Se lo sguardo che poniamo sulla maternità surrogata non si facesse carico di tale domanda sul significato umano di questa prassi, negheremmo la dignità umana, che invece ci permette di trovare risposte alle questioni qui sollevate. Proprio la storia del Novecento, con le sue pagine sanguinose, mostra come i crimini che l'umanità ha subìto abbiano di fatto espresso il volto più cruento eliminando il fondamento della dignità dalla coesistenza umana"[3]. "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza" (art. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). Nella maternità surrogata non sembra che siano garantite queste premesse. In particolare, esaminando la parola "dignità", essa deriva da "degno" che, secondo alcuni etimologi, avrebbe la stessa radice dei verbi latini "dicere", dire, e "docere", mostrare: quelle peculiarità umane di dire e mostrare le radici della vita e della singola storia che appaiono compromesse nella maternità surrogata. Nell'abbandono di neonati o nel non riconoscimento, invece, per quanto disdicevole o disapprovabile quest'atto, vi è una storia e vi è una radice che può essere rammendata e rammentata dai genitori adottivi o da chi per loro. Nel silenzio mediatico il 2 febbraio 2016, a conclusione dell'Assise per l'abolizione universale della maternità surrogata, è stata firmata a Parigi presso il Parlamento francese, la Carta per l'abolizione universale della maternità surrogata (cosiddetta Carta di Parigi), promossa dall'associazionismo femminile. Vi si legge: "La maternità surrogata, detta "gestazione per altri" (GPA), praticata in diversi paesi, è la messa a disposizione del corpo delle donne per far nascere bambini che saranno consegnati ai loro committenti. Lungi dall'essere un gesto individuale, questa pratica sociale è realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana, in un sistema organizzato di produzione, che comprende cliniche, medici, avvocati, agenzie etc. Questo sistema ha bisogno di donne come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto diventino delle procedure funzionali, dotate di un valore d'uso e di un valore di scambio, e si iscrivano nella cornice della globalizzazione dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano. Se nessuna legge lo protegge, il corpo delle donne è richiesto in quanto risorsa a vantaggio dell'industria e dei mercati della riproduzione. Certe donne acconsentono a impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute, la loro vita e la loro persona, sotto pressioni multiple: i rapporti di dominazione famigliari, sessisti, economici, geopolitici. Infine, la maternità surrogata fa del bambino un prodotto con valore di scambio, in modo che la distinzione tra persona e cosa viene annullata. Il rispetto del corpo umano e l'uguaglianza tra donne e uomini devono prevalere sugli interessi particolari". A proposito della maternità surrogata, la storica Emma Fattorini ha posto l'accento sulla creazione del legame – definito dal linguaggio tecnico bonding – che inizia nel periodo pre-natale, si consolida alla nascita e raggiunge un suo equilibrio nei primi anni di età: "Si nega la relazione mente-corpo, alla base del rapporto madre-bambino. Lo «spezzettamento» della maternità in tanti segmenti, pezzi diversi, l'ovulo, l'ovocita, l'utero riducono la maternità a un processo meramente biologico. Come se la gravidanza potesse ridursi a un fatto meramente biologistico, secondo quel biologismo ottocentesco che ancora non aveva colto la relazionalità della vita intrauterina. Come se si potesse infrangere l'unità tra mente e corpo che è stata una delle più grandi scoperte della soggettività novecentesca. […] Lo stress, che si comunica, o gli effetti della musica che si sente o le infinite correlazioni madre-bambino – di cui è consapevole l'esperienza femminile – lasciano degli effetti di tipo epigenetico, come dimostrano recenti ricerche delle neuroscienze"[4]. La maternità è una relazione esistenziale, vitale, difficilmente sostituibile come si evince pure dalla Carta dei diritti del bambino nato prematuro (2010): "Ogni neonato prematuro ha diritto ad usufruire dei benefici del latte materno durante tutta la degenza e, non appena possibile, di essere allattato al seno della propria mamma. Ogni altro nutriente deve essere soggetto a prescrizione individuale quale alimento complementare e sussidiario" (art. 5). La filosofa Francesca Izzo sostiene: "Se si accetta, come nella maternità surrogata, anche in quella cosiddetta solidaristica, di spezzare l'unitarietà del processo, di segmentarlo in ovociti, gravidanza e neonato, togliendo alla gravidanza ogni "pregnanza" fisica, emotiva, relazionale e simbolica, facendone un processo meccanico/naturale, si incrinano le basi stesse dell'autodeterminazione. Paradossalmente, in nome della libertà si espropriano le donne di ciò che la determina e la fonda. È dunque propriamente in nome della libertà femminile che la surroga è inaccettabile". Segmentare, spezzettare e disgiungere la gravidanza dalla nascita significa misconoscere o annullare la naturalezza e l'unicità di quello che è stato ritenuto e vissuto come il più bel momento nella vita della donna e della vita in generale (si pensi anche al mondo animale, in particolare ai mammiferi e al contatto che si stabilisce tra madre e cuccioli subito dopo il parto) e di tutto ciò che lo caratterizza, come l'importanza dell'allattamento materno (art. 24 lettera e Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). Vari gli indici normativi contrastanti con la maternità surrogata: il parere negativo del Comitato nazionale per la bioetica del 18 marzo 2016, in cui si ribadisce il disposto dell'art. 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997); l'art. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (2000); i valori costituzionali, tra cui quelli espressi dall'art. 2 e l'art. 32 Costituzione (la sentenza 272/2017 della Corte Costituzionale, che offre numerosi spunti di discussione su più fronti sulla maternità surrogata, ha altresì ribadito "l'elevato disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità"). Un'altra voce è quella del teologo argentino Humberto Miguel Yáñez: "[…] la valutazione dell'autentica apertura alla vita non potrebbe ridursi a questione di «metodo», ma deve riferirsi all'intenzionalità della coppia, la quale, nel coltivare un vero amore coniugale, dovrà discernere tutti gli aspetti e le condizioni che vi concorrono. Si valuterà certamente il metodo, ma soprattutto i criteri che rendono l'atto coniugale più adatto a esprimere l'amore coniugale e, quando occorra, la fecondità, la quale va distinta dalla mera fertilità". "[…] sviluppare la medicina preventiva, l'educazione dei genitori e l'informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare" (art. 24 lettera f Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). Pianificazione familiare non è più (o non solo) prevenzione di gravidanze indesiderate e/o controllo del numero delle gravidanze, ma anche scelta del metodo di procreazione o, comunque, scelta del momento e del contesto in cui procreare. Tra maternità surrogata, conflittualità crescente ed esasperata, famiglie chiasmatiche ed altro, urge sempre più che la genitorialità sia autenticità, intenzionalità e fecondità. Questo è uno dei contenuti dell'indirizzo concordato della vita familiare di cui all'art. 144 cod. civ.. Occorre, pertanto, dare un'accezione nuova e più ampia a "pianificazione familiare": attualmente i genitori rivelano un tale disorientamento o incapacità genitoriale che è necessario accompagnarli al senso e significato di genitorialità affinché comprendano e concretizzino cosa costituisca il benessere dei loro figli e cosa sia opportuno per la loro vita, dalle modalità di concepimento alla tipologia di relazioni parentali. Anche la scrittrice Susanna Tamaro si è espressa: "Un amore che reclama diritti che razza di amore è? Il concetto di amore e quello di diritto sono assolutamente incompatibili. Non esiste il diritto di amore, così come non esiste il dovere di amare. Persino il Decalogo – oserei dire, il codice etologico dell'umanità – ci impone di onorare il padre e la madre, non di amarli. L'amore, per essere davvero tale, non richiede una legge a cui uniformarsi, ma piuttosto un'idea del bene, e l'idea del bene soggiace sempre a quella di reciprocità. Quale forma di reciprocità ci può essere in un rapporto di commissione della vita? Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te stesso è il principio su cui è retta la società umana fino ad ora. Per esercitare un nostro diritto, dunque, costringiamo lucidamente una persona a venire al mondo privandola di ciò che fa di un uomo un uomo, vale a dire la genealogia, mettendo sulla sua vita una grande ipoteca di infelicità"[5]. I figli non sono oggetti di diritto né beni in commercio, sono soggetti di diritto e persone cui voler bene. Non si può pretendere di diventare genitori a tutti i costi a discapito di altri esseri nuocendo loro già dal concepimento, per cui bisognerebbe riflettere umanamente e umilmente sulle conseguenze della fecondazione eterologa e della maternità surrogata. "Riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un'atmosfera di felicità, amore e comprensione" (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia): ambiente e atmosfera sono ciò che circondano già il nascituro. "Il fanciullo […] avrà diritto ad un nome, ad acquisire una nazionalità e, nella misura del possibile, a conoscere i propri genitori ed essere da essi accudito" (art. 7 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). La fecondazione eterologa, la maternità surrogata, o altre metodiche dettate spesso da egoismi, non tutelano "nella misura del possibile" il bambino che ha diritto a "propri genitori", diritto naturale, mentre non esiste il diritto degli adulti ad avere un figlio. Un bambino: "Cos'è una madre surrogata?". Un adulto: "Bambini, andate a giocare!" (dal dialogo di un film)[6]. È necessario e doveroso rispondere alle domande dei bambini o perlomeno non metterli di fronte a situazioni imbarazzanti e disorientanti per la formazione della loro opinione. Bisogna dire le cose in modo naturale e semplice con parole alla portata dei bambini e spiegare loro anche quello che non si condivide (perché non è certo nascondendolo che si risolve un problema) con la spontaneità che scaturisce stando con i bambini e rimanendo bambini. Educarli alla realtà e alla verità è educarli alla libertà, anche per "[…] assicurare al fanciullo capace di formarsi una propria opinione il diritto di esprimerla liberamente e in qualsiasi materia, dando alle opinioni del fanciullo il giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità" (art. 12 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). "È il principio più importante dell'educazione: nessuno guida un altro dove non è mai stato" (il salesiano Bruno Ferrero): essere genitori è un salto nel buio ma, al tempo stesso, è portare luce nella vita dei figli indicando da dove sono venuti e dove potrebbero andare. [1] F. Occhetta in "La maternità surrogata" su "La Civiltà Cattolica" n. 4006 del 20 maggio/3 giugno 2017, p. 368 [2] F. Occhetta in "La maternità surrogata", op. cit., p. 379 [3] F. Occhetta in "La maternità surrogata", op. cit., pp. 377-378 [4] E. Fattorini a Roma, Montecitorio, 23 marzo 2017 [5] S. Tamaro in "Non in mio nome" su Avvenire, 24 marzo 2017, p. 3 [6] Dal film "Baby love", titolo originale "Comme les autres", regia di Vincent Garenq, 2008 |
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