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Data: 17/01/2018 20:55:00 - Autore: Marino Maglietta di Marino Maglietta - Un'ordinanza della Corte di Appello di Roma (del 5 dicembre 2017, sotto allegata) porta contributo alla tesi che i tempi siano maturi per abbandonare il riferimento al tenore di vita vissuto in costanza di matrimonio non solo per l'assegno divorzile, ma anche per quello alla separazione. Un contributo, per la verità, che giunge a conclusione di un ragionamento non completamente sviluppato, per cui le circostanze occasionali – e quindi non ripetibili - rischiano di schermare e indebolire valide considerazioni di principio. La vicendaIn breve, un provvedimento presidenziale che dispone la corresponsione di un assegno di mantenimento alla separazione di 1400 € viene reclamato dall'obbligato e il reclamo è accolto sulla base del fatto che la prima decisione non ha valutato la particolare storia della coppia e le risorse di entrambi: "la valutazione effettuata dal Presidente circa la mera comparazione tra la situazione economica dei coniugi nell'attualità ha omesso di considerare rilevanti peculiarità della vicenda coniugale e personale di vita delle parti che non possono non avere riflesso nella disciplina dei diritti/doveri nascenti dalla separazione". In effetti, entrambi sono alla seconda esperienza matrimoniale, entrambi con figli, e hanno sviluppato le proprie attività lavorative in modo del tutto indipendente, per cui non c'è stato contributo della signora alla carriera del marito. Tutto questo non è che l'elenco delle circostanze che determinano la componente compensativa dell'assegno; mentre non è in discussione alcuna eventuale componente risarcitoria. Quindi, iniziando a trarre le conclusioni la CA osserva anzitutto che "se pure il xx può essere ritenuto titolare di una attività professionale produttiva di redditi significativamente superiori, anche potenzialmente, rispetto a quelli ricavabili dalla coniuge con la propria attività commerciale..." " ... diversamente dalla coniuge egli non è titolare di un proprio patrimonio immobiliare e, uscito dalla casa familiare, di proprietà della coniuge, ha reperito una casa in locazione ". Ora, affermare che la maggiore produttività del marito è compensata da una inferiore condizione patrimoniale sembra funzionale a concludere che non c'è differenza di benessere economico all'interno della coppia: il che azzera la componente assistenziale dell'assegno. Tuttavia, si nota la totale assenza di qualsiasi riferimento al tenore di vita. In altre parole, quanto fin qui esposto dovrebbe servire a stabilire il quantum di un eventuale assegno, una volta superato il problema dell'an. E per rispondere a quest'ultimo quesito, secondo giurisprudenza ante Cass. 11504, si sarebbe dovuto valutare se l'aspirante beneficiaria avesse mezzi propri che le consentissero di godere dello stesso tenore di vita precedente. Viceversa, alla conclusione negativa si arriva per una strada del tutto indipendente da tale variabile, neppure considerata: "tali presupposti inducono a ritenere quest'ultima, ai fini della decisione in via provvisoria e urgente, del tutto in grado, per la capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, dimostrata e conseguita già prima del matrimonio e successivamente mantenuta, di provvedere con i propri mezzi a se stessa". Dunque ciò che si utilizza è direttamente una analisi della capacità di autosostentamento: "Ritenuto pertanto che non sussistano, allo stato, i presupposti per l'attribuzione alla moglie di un assegno di mantenimento, ne dispone la revoca con decorrenza dall'ordinanza stessa". Ovvero si aderisce allo stesso principio di autoresponsabilità utilizzato costantemente dalla Suprema Corte nel corso del 2017 a partire dalla citata sentenza nel caso dell'assegno divorzile. Mantenimento: addio al tenore di vita anche nella separazione?Sembra, dunque, che nella conclusione si sia raggiunta quella auspicabile generalità che rende citabile e iterabile il provvedimento. Resta il fatto che non viene svolta alcuna considerazione di principio. Ovvero, visto che perfino la probabile fonte ispiratrice di legittimità prende la distanze da una estensione all'assegno di mantenimento alla separazione sarebbe stato opportuno – se non necessario – che si dicesse qualcosa a giustificazione della scelta. Qualcosa che esiste e non è neppure troppo complicato trovare. In effetti, va stretta alla sensibilità sociale l'insistenza su differenze che, pur di natura puramente formale, hanno rilevanti ricadute concrete, quando la sostanza che le ha fatte introdurre in pratica non esiste più; come nel caso di separazione e divorzio. Suona come accanimento accademico che non vuole arrendersi alla evidente inadeguatezza sostanziale. Resta il fatto che, in attesa di un mutamento legislativo, si deve resistere alla tentazione di ignorare i vincoli giuridici, in una sorta di esproprio proletario, e cercare nel diritto vigente la legittimazione per letture diverse. E queste nel problema che ci occupa sono fornite, in estrema sintesi, dalla comparazione tra l'art. 156 c.c. e l'art. 5 comma 6 della legge 898/1970. In questo secondo caso, per valutare l'eventuale obbligo di corrispondere un assegno divorzile si fa riferimento ai "redditi di entrambi", associandoli così come erano in costanza di matrimonio. Naturalmente ciò non comporta necessariamente di doversi riferire al tenore di vita comune di un tempo, esistono altre spiegazioni. Tuttavia, se per il divorzio questo elemento non è considerato determinante, l'espressione utilizzata all'art. 156 c.c., in cui si dà importanza solo ai "redditi dell'obbligato", ovviamente attuali e non pregressi, pur rammentando che formalmente i separati sono ancora coniugati, in concreto rende a maggior ragione meno plausibile che l'assegno al coniuge separato debba essere commisurato alla vita di un tempo. In altre parole, se si svincola l'assegno divorzile dal tenore di vita a maggior ragione lo si deve fare per quello alla separazione. Per approfondimenti, leggi anche: Il precedente tenore di vita alla separazione e nel mantenimento del figlio minorenne
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