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Data: 27/01/2018 08:54:00 - Autore: Marina Crisafi di Marina Crisafi - Reato per chi impone al proprio cane il collare antiabbaio che gli infligge una scossa elettrica ogni volta che abbaia. Lo ha sancito la terza sezione penale della Cassazione (con sentenza n. 3290/2018 sotto allegata), confermando la condanna a carico di un uomo per il reato ex art. 727 c.p. La vicendaL'uomo veniva condannato alla pena di 800 euro di ammenda per il reato di cui all'art. 544 ter c.p., derubricato poi in art. 727 c. 2 c.p., per il maltrattamento dei propri cani che venivano detenuti con collari c.d. "antiabbaio", aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all'abbaiare, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze. Secondo il padrone, invece, i setter erano stati trovati in buona salute, come risultava anche dalla consulenza tecnica effettuata, per cui la sentenza andava annullata per inosservanza od erronea applicazione della legge penale, difettando "il requisito essenziale costituito dalle lesioni, che ha giustificato la derubricazione nell'ipotesi contravvenzionale – e mancando - comunque la prova che l'avere apposto i collari antiabbaio costituisca condotta incompatibile con la natura dei cani o che abbia recato loro sofferenze, essendo evidente che i collari servivano ad evitare che fosse provocato disturbo ai vicini". Collare antiabbaio è reatoPremettendo che le censure prospettate dal ricorrente sottoponevano aspetti di esclusiva competenza del giudice di merito, gli Ermellini, ricordano che per quanto attiene al reato x art. 727 c.p., è giurisprudenza consolidata che, "ai fini dell'integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale, né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti". Nello specifico, è stato più volte chiarito dalla Cassazione, che l'uso del collare antiabbaio, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, "integra il reato di cui all'art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale" (cfr., tra le altre, Cass. n. 38034/2013). Inoltre, precisano da piazza Cavour, per quanto attiene alla sussistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie di cui all'art. 727 c.p., "è stato precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione". E, in ogni caso, per "abbandono", deve intendersi non solo la condotta di distacco volontario dall'animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia. Nel caso di specie, dunque, i giudici di merito hanno agito correttamente e la condanna è confermata.
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