Data: 30/01/2018 10:00:00 - Autore: Paolo Accoti

Avv. Paolo Accoti - Il danno non patrimoniale subito a seguito della perdita di un parente non può considerarsi in re ipsa (in se stesso) ma deve essere dedotto e provato, sebbene con il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni ma, pur sempre, sulla scorta di elementi oggettivi forniti dal danneggiato.

Ai fini della sua liquidazione, inoltre, deve tenersi conto del grado di parentela, dell'entità numerica del nucleo familiare, nonché dell'eventuale convivenza con la vittima, delle sue abitudini di vita, di quelle della famiglia e di ogni ulteriore circostanza utile allo scopo indicata dal danneggiato.

Una tale tutela si estende anche alla lesione dei diritti inviolabili della persona e della famiglia, costituzionalmente protetti (artt. 2, 29 e 30 Cost.) che, tuttavia, non sono assimilabili ad una perdita economica bensì personale, che si estrinseca nella definitiva privazione del godimento e delle relazioni interpersonali con il congiunto, immediato effetto della lesione dell'interesse protetto.

Ad ogni buon conto, anche in presenza di tali lesioni, è onere del danneggiato provare il conseguente danno, anche ricorrendo alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.

Questi i principi di diritto ribaditi dalla Corte di Cassazione, con l'ordinanza 907, depositata in data 17 Gennaio 2018, in materia di danno da uccisione di un prossimo congiunto, onere della prova e quantificazione del danno.

La vicenda

I prossimi congiunti del de cuis agivano in giudizio, in proprio (iure proprio), al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di un parente e, a tal uopo, convenivano in giudizio il datore di lavoro del proprio familiare, essendo lo stesso deceduto a seguito di un incidente sul lavoro.

Instauratosi il contraddittorio, con la chiamata in causa della compagnia di assicurazioni che garantiva la responsabilità civile della ditta datrice di lavoro, il Tribunale di Foggia accoglieva la domanda, condannando gli stessi - in solido tra loro - a risarcire i danni patiti in ragione del rapporto parentale intercorrente tra i superstiti (coniuge, figli, madre e fratelli) e con quantificazione effettuata sulla scorta delle tabelle milanesi per il risarcimento del danno in ipotesi di perdita di congiunto.

Sull'appello proposto dai soccombenti la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza di primo grado, rifacendosi al precedente del giudice di legittimità per cui <<(Cass. Sez. 3 4253 del 16 marzo 2012) nel caso di morte di un congiunto legato da uno strettissimo legame parentale o di coniugio- come può essere il genitore, il coniuge ed il figlio o il fratello- il danno dovuto alla perdita del congiunto è presunto dovendosi ritenere che nella ordinarietà delle relazioni umane, i parenti stretti sono fra loro legati da vincoli di reciproco affetto e solidarietà in quanto facenti parte dello stesso nucleo familiare. Nel caso di specie ricorre tale figura poiché la vittima era figlio, fratello e coniuge degli appellati i quali quindi non erano onerati di fornire la prova di relazioni di convivenza o di vicendevole affetto e frequentazione»>>.

Propone ricorso per cassazione la ditta datrice di lavoro deducendo, tra l'altro, la violazione degli artt. 2729 Cc, <<presunzioni semplici, erroneamente utilizzate per colmare l'omessa allegazione degli elementi costitutivi del danno reclamato>>, 2056 e 1226 Cc, <<in relazione alla valutazione equitativa del danno>>.

La Cassazione sul danno non patrimoniale da uccisione del congiunto

La Corte di Cassazione nel decidere il ricorso, ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali in materia, ricordando come <<è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio in ragione del quale il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, quale tipico danno - conseguenza non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire. La sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti e di ogni ulteriore circostanza allegata (cfr. Cass. Sez. 3 11/11/2003, n. 16946; Cass. Sez. 3, 06/09/2012 n. 14931)>>.

Richiama altresì il precedente delle Sezioni Unite per cui <<è stata estesa la tutela ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, per effetto di tale estensione, è stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2059 c.c., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) con la precisazione che il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. Tanto precisato, hanno altresì ribadito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. Sez. U. 11/11/2008, n. 26972)>>.

Evidenzia infine come, <<ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito a causa della uccisione di un prossimo congiunto non hanno rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, ma è necessario che il pregiudizio venga compiutamente descritto e che ne vengano allegati e provati gli elementi costitutivi (Cass. Sez. 3 17/07/2012, n. 12236)>>.

Ciò posto rileva come la corte territoriale non si è affatto attenuta agli anzidetti principi, specie allorquando ha sostenuto che i parenti della vittima, siccome figlio, fratello e coniuge, non avrebbero dovuto provare la convivenza ed il vicendevole affetto e frequentazione con la stessa.

Tali affermazioni, conclude la Suprema Corte, risultano erronee essendo disancorate dagli indicati precedenti giurisprudenziali, <<tenuto conto che la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento da darne concreta allegazione e prova. La Corte territoriale in sostanza ha erroneamente ritenuto che il danno fosse in re ipsa affermando in modo assertivo che dovesse spettare ai "parenti stretti" secondo il criterio presuntivo provvedendo -sulla base dei criteri tabellari in uso- a liquidare in maniera indiscriminata la medesima somma in favore di ciascuno degli otto fratelli (elevati a nove) così violando i principi in materia di presunzioni e di valutazione equitativa del danno>>.

In definitiva, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari.



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