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Data: 31/01/2018 16:30:00 - Autore: Margherita MarzarioArticolo 1Bisognerebbe cominciare a riflettere già dalla proposizione iniziale "L'Italia è" e chiedersi ma l'Italia veramente è? E cos'è? Riflettendo sul sempre più discusso significato della festa della Liberazione e su altri risultati del revisionismo storico, ci si dovrebbe interrogare sul fondamento dell'incipit del primo articolo della Costituzione: "L'Italia è o era?". Sembra che l'Italia sia sempre più bistrattata, tra l'altro, dalla politica (chiamarla così è quasi un eufemismo) e dallo scarso impegno generale. Bisogna credere nell'art. 1 e educarsi e educare in tal senso. Il fatto che la Costituzione cominci con "l'Italia" dovrebbe essere l'obiettivo di tutto ciò che è pubblico o si dice pubblico. Peccato dover dire quello che l'Italia non è. Per ri-costruire qualcosa di buono, occorre cominciare a dire e a dirsi quello che l'Italia è, o quello che le rimane di essere o potrebbe essere. L'art. 1 comincia con "L'Italia", nome che è ripetuto solo nell'art. 11, il penultimo dei "Principi fondamentali". Mettendo insieme gli incipit dei due articoli si può ricavare: "L'Italia è una e ripudia la guerra", ogni guerra, soprattutto "italianicida", ovvero contro l'Italia stessa e l'italianità. Come ha scritto il giornalista Antonio Caprarica: "Gli Inglesi sono più cittadini che sudditi, gli Italiani sono più sudditi che cittadini. Negli alberghi inglesi è sufficiente dichiarare la propria identità, negli alberghi italiani bisogna rilasciare la propria carta d'identità". A cosa si sono ridotte la sovranità del popolo e tutta l'italianità contenuta nella Costituzione? Bisogna risalire a quel 2 giugno 1946: tornano alle elezioni i partiti politici, dopo la sospensione fascista, e, per la prima volta, votano le donne italiane. Per onorare la Repubblica, ogni giorno si dovrebbe rinnovare il senso profondo di queste conquiste sociali. Così si rende concreto il primo comma dell'art. 1 della Costituzione, "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro", ricordando che il significato etimologico di lavoro è "volgere la volontà, l'intento, l'opera a qualcosa". Un lavoro fondamentale e insostituibile è quello "invisibile", quello casalingo, valorizzato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, quello di molte donne che, talvolta, sono costrette ad abbandonare il lavoro fuori casa per dedicarsi completamente ai neonati, ai figli disabili, ai genitori anziani. Quel lavoro non retribuito per cui si usa la parola "caregiver" (o "carer"), per il quale le donne hanno avuto sempre "care", cura, attenzione, preoccupazione, sin dai tempi preistorici quando rimanevano nelle caverne a badare ai piccoli e al cibo da preparare volgendo sempre lo sguardo verso l'apertura della grotta per vigilare contro l'intrusione degli animali o di estranei. L'art. 1 è una sintesi della storia d'Italia: il nome "Italia", attribuito all'estremità meridionale della Calabria e poi esteso alla penisola con l'avanzare della conquista romana; "repubblica", di origine latina; "democratica", di origine greca; "popolo" di reminiscenza romana perché evoca l'espressione "Senatus Populusque Romanus". Italia costruita dal lavoro, da quello degli schiavi romani nelle grandi opere pubbliche a quello dei geni, quali Michelangelo e Leonardo, da quello delle corporazioni delle arti e dei mestieri nel Medioevo a quello del design moderno esportato e imitato in tutto il mondo. Il lavoro rappresenta la vera sovranità del popolo italiano, il quale, poi, così costituito e unito può esercitare il potere legislativo mediante proposta (art. 71) e nel cui nome è amministrata la giustizia (art. 101) cui, in alcune forme, può partecipare direttamente (art. 102). Articolo 2Dopo l'articolo 1, in cui sono enunciati concetti collettivi come "popolo", segue l'art. 2 che ha una valenza formativa dell'individuo per arrivare, poi, al cittadino di cui all'art. 3. Quest'articolo è una vera cattedra di educazione alla cittadinanza e alla vita che, in realtà, è dovere di tutti, a ogni età e diretta a ogni età, come si legge tra le righe nelle parole del formatore don Antonio Mazzi: "Vorrei solo capire perché a trent'anni i giovani siano considerati "grandi" quando ci interessa e "piccoli" quando gli interessi si accavallano a preconcetti o ideologie. E qui mi fermo, disorientato. Il bene che voglio ai giovani mi obbliga a non fare con loro giochi equivoci e di comodo. Essere padri, madri, giudici o psicologi non ci esonera dal compito di testimoniare con la vita, con i fatti e con le leggi che non si diventa i grandi di domani approfittando degli errori fatti dai grandi di ieri". Quando si parla di educazione e formazione, il primo soggetto a essere chiamato in causa è la scuola. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, spiega: "Compito della scuola non è soltanto quello di insegnare a leggere, scrivere e far di conto, come si diceva nell'Ottocento, ma soprattutto quello di costituire una palestra in cui l'interazione tra pari possa svolgere un compito formativo. È proprio questa interazione, in cui dovrebbero essere banditi squilibri di potere e di opportunità, che tocca da vicino le radici dell'«homo socius», dell'uomo, cioè, programmato per vivere insieme ad altri uomini, nel superamento di quell'affascinante e difficile sfida che richiede la capacità di armonizzare mondo interno e mondo esterno, di conciliare il bisogno di autoaffermazione con quello di appartenenza". In tal modo la scuola è una delle principali "formazioni sociali ove si svolge la personalità" dell'essere umano, infatti nel Titolo II "Rapporti etico-sociali" della Parte I della Costituzione è disciplinata dopo la famiglia. "È evidente che bisogna chiarire finalità e motivazioni della scuola, - precisa la storica Lucetta Scaraffia - ridare un significato all'insegnamento invece di pensare di risolvere tutto aumentando le ore di inglese e spiegando l'uso del computer a ragazzi che già lo conoscono da quando hanno 2 anni. Un processo del genere non può fondarsi che su un ripensamento profondo. La scuola non è solo un posto dove si ricevono informazioni, ma è un posto dove si impara a diventare esseri umani migliori". La scuola, perciò, non è un'agenzia, ossia "che agisce per altri". Eloquenti ancora le parole di Ada Fonzi: "La scuola, oltre che reprimere questi comportamenti devianti, dovrebbe impegnarsi a coltivare non solo le competenze cognitive degli allievi, ma anche quelle emotive, fornendo una grammatica emotiva di base che permetta loro di calarsi nei panni degli altri, di coltivare capacità di empatia, di apprezzare la condivisione, di cogliere specificità e unicità dell'altro". È importante educare all'empatia, perché dall'empatia, sentirsi come l'altro, matura la solidarietà, sentirsi con l'altro. La solidarietà dovrebbe essere il contrario di solitudine ma, spesso, si è nella solitudine a credere e a operare per la solidarietà. La solidarietà non dovrebbe essere solo un dovere della Costituzione repubblicana, ma un dovere della costituzione relazionale e quotidiana. Il primo gesto di solidarietà è conoscere e riconoscere che si appartiene tutti alla stessa famiglia umana e che, chi più chi meno, si è frutto di migrazioni. Anagrammando la parola "solidarietà" si ricavano "solidità, sodalità, solarità, ilarità", caratteristiche dello stare insieme. Quello stare insieme che si basa e richiede l'educazione alle differenze e che è educare all'identità, all'alterità, alla diversità, che contribuisce allo svolgimento della personalità e alla solidarietà. Ada Fonzi afferma: "Non si tratta soltanto di proteggere le donne dalle sopraffazioni dei maschi, ma di far emergere e progredire fin dalla più tenera età, e in entrambi i sessi, una cultura della non violenza, della tolleranza, dell'accettazione, in cui ogni tipo di diversità abbia diritto al rispetto". La Fonzi aggiunge: "I mezzi di comunicazione ci informano che continua a essere alto il numero delle donne vittime di violenze, spesso nell'ambito familiare, per mani di mariti, padri, fratelli, fidanzati. Non si tratta solo di giovani immigrate punite per aver osato ribellarsi ai costumi della loro società di origine, ma di donne appartenenti per nascita alla nostra cultura". Ogni violenza è violazione dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità. La Fonzi soggiunge: "Bullismo al femminile che, ancora più di quello maschile, rivela aggressività e sordità sociale, e rimanda a un percorso educativo fallito. In questi casi il compito che, in quanto membri di una comunità, ci compete è ancora più difficile". Porre rimedio ad un percorso educativo fallito è anche "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà". "Perché – asserisce Fulvio Scaparro – le vittime non siano lasciate sole non bastano buone parole e un'indignazione rituale, ma una vicinanza fisica, un sostegno concreto, e un impegno collettivo per non dimenticare quanto è avvenuto, e per prevenire la violenza e il terrorismo anche attraverso un forte impegno nella diffusione della pace e di una maggiore giustizia sociale". La solidarietà non è solo una parola, ma un atteggiamento che richiede "metterci la faccia, sporcarsi le mani, spaccarsi la schiena" per gli altri, insieme agli altri, contro ogni male anche se ci si fa male. Alla base di tutto ciò vi è la famiglia: "Troppi padri e troppe madri sembrano adolescenti in perenne crisi. Abbiamo bisogno di una maggior capacità diffusa di prendersi cura delle future generazioni. Abbiamo bisogno di rimettere al centro l'inutile economico cioè l'utile umano" (da uno degli ultimi articoli del pedagogista Alain Goussot, 1955-2016). La prestazione che sembra più latitare oggi è la cura, in mezzo a tante patologie della cura stessa, quali l'incuria (quando le cure sono latenti), la discuria (quando le cure sono distorte), l'ipercura (quando le cure sono eccessive). La cura genitoriale può essere intesa come la forma primaria di quella solidarietà di cui si parla nell'art. 2. La "giusta" genitorialità segna e insegna solidarietà e gratuità, ricordando che "gratuito" ha lo stesso tema etimologico di "grato" e "grazioso": "[…] è necessario avere una dinamica dell'amore gratuito, senza la quale l'egoismo cancellerebbe ogni dimensione comunitaria. È l'amore che deve in un certo senso equilibrare le fratture, le ingiustizie, i dislivelli che le società sempre tendono a ricreare" (il filosofo Vittorio Possenti)[1]. La traduzione giuridica dell'amore nel quotidiano è la solidarietà politica, economica e sociale. Da qui nasce la comunità, su cui è magistrale il saggista Goffredo Fofi: "Abitare la vita è anche abitare la storia, a cui non si sfugge. Abitare la città è entrambe le cose e comporta una responsabilità: che tutti possano e debbano contribuire alla sua bellezza e cioè a «uno stile di vita sostenibile», che non privilegi gli uni avvilendo gli altri. Comunità, parola sacra". Articolo 3Il grande assioma del 1° comma dell'art. 3 è l'uguaglianza (formale), che se non può essere della vita la sostanza che sia almeno la speranza. Ada Fonzi sostiene: "Quando si proclama vera democrazia quella in cui tutti hanno gli stessi diritti e doveri, spesso si dimentica di precisare che ciò è possibile solo se tutti sono uguali al nastro di partenza, e se ciascuno è riuscito a soddisfare i propri bisogni primari". La trasposizione giuridica è contenuta negli articoli 1, 2 e 3 della Costituzione. In particolare l'art. 3 può essere considerato la base giuridica della "piramide di Maslow" (dei sei bisogni fondamentali dell'essere umano). Nell'art. 3 il termine "sesso" è anteposto a tutti gli altri requisiti personali per sottolineare l'importanza della dimensione sessuale, che è una componente dell'identità, uno dei primi diritti fondamentali della persona (si parla, a tale proposito, di identità sessuale ed ora anche di identità di genere), da cui discende la necessità dell'educazione sessuale, intesa non come educazione al sesso, ma alla propria ed altrui corporeità (e non meramente al corpo), alla conoscenza, al confronto e alla comunicazione con l'altro sesso (educazione sentimentale). Il bioeticista Paolo Marino Cattorini mette in risalto: "Uomo, donna. Maschio femmina. Queste categorie sono oggetto di un acceso dibattito nelle nostre società pluralistiche. La componente biologica della nostra identità si intreccia e reagisce con quella culturale. Ciò che diventiamo, in termini di genere, ha una colorazione originale, appunto perché siamo plasmati dal Dna e dal linguaggio, dagli ormoni e dall'accudimento ricevuto, da pulsioni impersonali e da relazioni affettive uniche. Di questo argomento squisitamente interdisciplinare si occupa la bioetica, la quale, a sua volta, cerca in narrazioni, reali o immaginarie, una conferma delle proprie congetture e l'invenzione di nuove griglie interpretative". Uomo o donna; uomo, donna; uomo e donna; uomo con donna: non è tanto questione di genere quanto di rispetto di se stessi e degli altri. È anche questa la lettura che si può fare degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Nel 2° comma è sancita l'uguaglianza sostanziale. Crescere significa "andare formandosi", un processo graduale e naturale finalizzato al "pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione" (locuzione del 2° comma dell'art. 3). In questo caso come in altri, non si deve dire che è colpa della società (nome collettivo di un'entità astratta) che è diventata così, ma è responsabilità degli adulti. La scrittrice Beatrice Masini precisa: "Certo che sì: ma coi tempi giusti, senza polverizzare le tappe, tanto non serve. Così come non serve smettere di giocare prima del tempo per prendere parte agli affari dei grandi. Per quello, c'è tutto il tempo del mondo". E lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro puntualizza: "Perché incidano positivamente sui processi psichici del bambino, gli insegnamenti dell'adulto devono invitarlo a superare se stesso, facendo emergere in lui quelle potenzialità inespresse che permettono lo sviluppo della persona". Le istituzioni e gli adulti non devono "riempire" i bambini, ma rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza e che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione alla vita. È questa la maieutica di Socrate, la scultura in negativo di Michelangelo, l'architettura in negativo dei Sassi di Matera. Le persone sono opere d'arte. La Scaraffia commenta: "È la strada maestra per la costruzione di un essere umano maturo e responsabile, che sa occuparsi di sé e degli altri e capisce cosa succede intorno a sé, che può agire liberamente senza essere «agìto» dall'esterno. Purtroppo, oggi queste finalità alte della scuola sono perlopiù dimenticate, derise, offuscate da un utilitarismo superficiale che non ha fatto che impoverire le generazioni giovanili, alle quali è stato offerto sempre meno, e contenuti sempre più scadenti. I professori oggi sono più derisi che ricordati nel tempo come maestri di vita, come ispiratori di vocazioni e di scelte importanti. Speriamo non sia troppo tardi per dare un'anima alla nostra scuola". Per avere un'anima, la scuola dovrebbe ispirarsi, tra l'altro, ai principi dell'art. 3 della Costituzione (congiuntamente a quelli direttamente relativi alla scuola, artt. 33 e 34) ed essere concretamente "ambiente educativo di apprendimento" in cui si sperimenta l'uguaglianza e ci si adopera per rimuovere ogni sorta di ostacolo per preparare i giovani a partecipare all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Nella realtà, però, non è così perché sono tanti gli ostacoli alla e nella scuola, tra cui tagli alla spesa pubblica, burnout degli insegnanti, attacchi indiscriminati da parte dei genitori, istituti comprensivi logisticamente difficili da gestire, burocrazia, fittizie riforme scolastiche, legislazione contraddittoria e farraginosa. Articolo 4"Lavoro" e "progresso", vocaboli in crisi che ci mettono in crisi. In Italia non solo manca il lavoro, ma s'ignora anche lo scopo ultimo ed elevato del lavoro, di qualsiasi lavoro, il concorrere al progresso materiale o spirituale della società mediante il proprio lavoro ("attività", ciò che si fa, "funzione", ciò che si adempie"), a cominciare da quello nobilissimo e utilissimo dell'operatore ecologico (si pensi alla sua incidenza su ambiente e salute, altri valori costituzionali). Per questo si dovrebbero evitare raccomandazioni, lavori svolti per ripiego, arrivismo, assenteismo o altro. È responsabilità di ogni cittadino e dell'intera società. A molti manca la possibilità di lavorare, ad altri la capacità, a moltissimi la voglia. Chi esercita il diritto al lavoro ha il dovere di svolgerlo con senso e serietà, dal lavoro cosiddetto umile a quello più elevato rendendosi umile. Operando in tal senso si contribuisce al progresso materiale o spirituale della società: "Il lavoro non è fare soldi, ma trovare il perfetto che Dio ha messo in te e quando tu trovi il perfetto, Dio è contento, tu sei contento, tutti sono contenti" (dal dialogo di un film)[2]. Il concetto di "progresso spirituale della società" richiama quello di "capitale spirituale", seguendo l'economista Leonardo Becchetti: "Per «capitale spirituale» si intende «quella dotazione individuale e collettiva di capacità di trovare un senso profondo nelle cose, quell'ispirazione e innovazione che sono capaci di stimolare operosità, razionalità cooperativa e sviluppo umano integrale»". Anche Lucetta Scaraffia pone l'accento sull'aspetto "spirituale": "L'unica cosa che possiamo capire è che tutti noi dobbiamo lavorare per contribuire a questa crescita spirituale e umana, anche nel nostro modesto spazio di vita: svolgere bene i compiti che ci sono stati affidati, avere uno sguardo di amore per gli altri, sopportare con coraggio le sofferenze. Sì, per ognuno di noi c'è una possibilità di collaborare a questo grande disegno. Il problema è che ne abbiamo perduto la consapevolezza, soprattutto perché abbiamo perso interesse per il futuro. Anche per quello semplicemente umano, cioè per l'avvenire delle prossime generazioni". Ci si preoccupa della crisi economica, ma ci si occupa poco o affatto della crescita spirituale. Nell'art. 4 della Costituzione si parla di "progresso materiale e spirituale della società", in alcuni articoli della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si parla di "sviluppo spirituale" e di "benessere spirituale". Ebbene, bisognerebbe coniugare lavoro e bambini cominciando a lavorare dai bambini: lavorando con e per i bambini per una società migliore, attuale e futura. [1] V. Possenti in "I volti dell'amore", Marietti Editore 2015 [2] Dal film "Lezioni di cioccolato" con Luca Argentero e Violante Placido, regia di Claudio Cupellini, 2007 |
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