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Data: 03/02/2018 08:46:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - L'avvocato non può avere contatti con la controparte che non ha un difensore, a causa dell'evidente stato di vulnerabilità in cui questa si trova: tale comportamento viola i doveri di lealtà, probità e correttezza a cui è tenuto chi esercita la professione forense. È quanto precisato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza n. 2273/2018 (qui sotto allegata) che ha respinto il ricorso di un legale, punito dal competente Consiglio dell'Ordine con la sanzione della censura. La vicendaL'esposto al COA nei suoi confronti era stato promosso dal padre di una bambina di 10 anni, vittima di violenze sessuali da parte di un sacerdote difeso dal'avvocato ricorrente. Questi lamenta che il professionista si era recato da lui e, in considerazione della sua precaria situazione economica, gli aveva promesso aiuto economico a patto che nominasse proprio difensore un avvocato di sua conoscenza. L'uomo accettava l'offerta e veniva assistito dalla professionista consigliata fino all'incidente probatorio, momento in cui il cliente era venuto a sapere che l'avvocatessa era assistente presso la medesima facoltà nella quale il legale di controparte insegnava, ricoprendo anche il ruolo di preside, da qui aveva ipotizzato che questi si fosse approfittato del suo stato di bisogno. L'avvocato impugna la decisione innanzi al Consiglio Nazionale Forense, ma la sua domanda non trova accoglimento. I giudici sottolineano che, indipendente da chi abbia preso l'iniziativa, il problema sia l'incontro in sé poiché mai il difensore di un sacerdote accusato di violenza sessuale, avrebbe dovuto entrare in contatto con il padre della vittima e proporgli di nominare difensore una collega che collaborava con lui nella stessa università. In tal modo, l'avvocato aveva varcato i limiti imposti dalle regole deontologiche che richiedono correttezza e probità, sicché il Consiglio richiama sul punto l'art. 41 del nuovo codice di forense il quale vieta all'avvocato di avere a che fare con le controparti senza l'autorizzazione del loro difensore. Avvocati: niente contatti con le controparti prive di difensoreIn Cassazione, l'avvocato contesta l'operato del giudice a quo ritenendo che questi avesse creato un nuovo illecito disciplinare ad hoc, non essendovi rapporto tra colleghi in quanto il padre della bambina non aveva alcun difensore; secondo la difesa, sarebbe dunque stato violato il principio di tipicità dell'illecito disciplinare previsto dall'art. 3, comma 3, della legge n. 247/2012 e dal codice deontologico. Per gli Ermellini, tuttavia, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata nella sua globalità: quanto stabilito dall'art. 41 del codice deontologico, infatti, non va inteso in senso restrittivo, cioè nel senso che all'avvocato sia precluso avere contatti con le altre parti solo nel caso in cui non sia presente o non vi sia il consenso del loro difensore. Ciò non equivale, spiegano le Sezioni Unite, a riconoscere che, in assenza di difensore, tali contatti siano possibili senza alcuna limitazione: anzi la fattispecie prevista dal codice deontologico vigente va intesa nel senso che ove la controparte non sia assistita da alcun difensore, all'avvocato sarà precluso ogni contatto con essa in quanto questa si trova in uno stato di evidente vulnerabilità. Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto prudentemente astenersi da ogni contatto diretto con il padre della bambina, essendo egli pienamente a conoscenza della situazione di disagio economico e sociale del genitore, quindi non avrebbe dovuto né incontrarlo né suggerirgli il nome della legale di sua "fiducia" con cui aveva un rapporto professionale all'interno dell'ateneo. Quanto all'elemento soggetto, si rammenta che in tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato (Cass., SS.UU., n. 13456/2017), la coscienza e volontà consistono nel dominio anche solo potenziale, dell'azione od omissione, per cui vi è una presunzione di colpa per l'atto sconveniente o vietato a carico di chi lo abbia commesso, che deve, invece, dimostrare l'errore inevitabile, cioè non superabile con l'uso della normale diligenza, oppure la sussistenza di una causa esterna. Pertanto, l'avvocato incolpato neppure potrà difendersi invocando la buona fede e l'imperizia incolpevole, poiché trattasi di un professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti. Appare evidente che nessun valore potrà avere, nel caso di specie, la sua presunta convinzione di aver tenuto un comportamento deontologicamente corretto. Anche la sanzione, conclude la Cassazione, risulta adeguata alla gravità e alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale: il potere di scelta, in tal caso, è riservato agli organi disciplinari e non potrà essere censurato in sede di legittimità.
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