Data: 16/02/2018 15:52:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Affinché sia integrata la circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non è sufficiente l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, essendo, invece, necessario che il motivo perseguito risponda obiettivamente a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettività.

Pertanto, tale attenuante non potrà trovare applicazione nei confronti di chi decida di porre fine alla vita del familiare malato da tempo se dietro l'atto si nasconde una finalità egoistica quale quella di trovare rimedio alla propria sofferenza anziché porre fine all'agonia del congiunto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione penale, nella sentenza n. 7390/2018 (qui sotto allegata) con una pronuncia che tocca temi di estrema attualità quali quelli dei trattamenti di fine vita e di eutanasia.

La vicenda

Nel caso di specie, a ricorrere innanzi agli Ermellini è un uomo anziano condannato per omicidio volontario aggravato per aver cagionato volontariamente la morte dell'anziana moglie strangolandola con una sciarpa mentre dormiva.

La donna soffriva ormai da tempo di alcune patologie che ne avevano alterato irrimediabilmente le facoltà mentali e la capacità di deambulazione e, pertanto, era impossibilitata a gestire la propria vita quotidiana, già alterata dalle sofferenze e dalla depressione che avevano origini antiche, verosimilmente risalenti alla perdita di un figlio per suicidio.

La Corte di assise di appello aveva condannato l'uomo a sette anni e otto mesi di reclusione, riconoscendo le attenuanti generiche ed escludendo, tuttavia, quella prevista dall'articolo 62, comma 1, n. 1), c.p. che spetta a chi ha commesso un reato per motivi di particolare valore morale o sociale.

Per i giudici di merito andava escluso che, al momento dell'azione omicida, l'imputato si trovasse in difetto di imputabilità, poichè si era sempre dimostrato lucido e, sebbene anche lui molto sofferente da anni e provato psicologicamente e fisicamente dalla situazione, si era costituito alla polizia dopo il fatto e aveva sempre ammesso la sua responsabilità.

In Cassazione l'uomo ribadisce come il movente fosse stato quello costituito dal desiderio di far cessare le sofferenze della moglie nella convinzione di esaudire la volontà della stessa, asserendo che ella avrebbe preferito, rispetto a una lunga malattia, essere trovata una mattina morta nel suo letto.

Non sarebbe dunque sussistito quell'elemento di egoismo che spesso aveva indotto i giudici a negare l'attenuante posto anche che, con l'atto, l'imputato aveva voluto evitare di "trasferire il fardello di dolore" alla figlia costringendola a dover badare contemporaneamente alla sua famiglia e alla madre.

Cassazione: niente attenuante per l'omicidio del coniuge gravemente malato se commesso per finalità egoistiche

Tuttavia, spiegano gli Ermellini, per potersi riconoscere l'attenuante ex art. 62, comma 1, n. 1), c.p., il motivo determinante l'uomo all'azione sarebbe dovuto essere riconosciuto come espressione del comune sentire sociale.

Nel caso in esame, in primis, ciò non poteva dirsi essere in concreto sussistente in quanto la questione risulta, per i giudici, afferente a tematiche, quali l'eutanasia ed i trattamenti di fine vita, ancora oggetto di ampi dibattiti.

Inoltre, soggiunge la Cassazione, per l'integrazione dell'attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, precisa la Cassazione, non basta l'intima convinzione dell'agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, ma è necessaria anche l'obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettività, sicché tale attenuante non può trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell'opinione del soggetto attivo del reato.

Nella complessa valutazione da compiersi, spiega il Collegio, rileva verificare quale sia stato il mezzo prescelto al fine perseguito, tanto più quando l'obiettivo della condotta sia identificato nel sacrificio estremo della vita della vittima e, del pari, "va verificato se nel determinismo generatore della condotta antigiuridica all'addotto motivo avente valore morale o sociale si siano affiancati, anche in modo implicito, concorrenti interessi di natura lato sensu egoistica"
Con specifico riferimento all'omicidio perpetrato per pietà verso il congiunto gravemente sofferente, la giurisprudenza ha ritenuto che l'attenuante in parola non potesse essere riconosciuta all'omicida del coniuge affetto da grave malattia, il cui movente fosse stato quello di porre fine a una vita di strazi, in quanto dall'azione criminosa non esula la finalità egoistica di trovare rimedio alla sofferenza, consistente nella necessità di accudire un malato grave ridotto in uno stato vegetativo (cfr. Cass. n. 47039/2007).
Nel caso in esame si è considerato che il fatto omicidiario fosse da ascriversi allo stato d'animo dell'imputato, che lo rendeva ormai incapace di sopportare le sofferenze e l'inarrestabile decadimento fisico e cognitivo della moglie: in questa condizione psicologica, si era probabilmente radicato il suo convincimento di esaudire un desiderio della stessa.
Peraltro, l'imputato, pur essendo malato da tempo, si trovava in condizioni stabili e non vi era alcun motivo immediato per il quale la sua salute dovesse peggiorare nel breve termine; ancora, nelle dichiarazioni rese nell'immediatezza del fatto, l'uomo aveva fatto riferimento alla situazione della figlia solo nello spiegare che egli non aveva le possibilità economiche per collocare la moglie in una struttura assistenziale e che alla figlia, la quale aveva la sua famiglia, "non si poteva chiedere di più".
Tuttavia, concludono i giudici, la preoccupazione per la situazione complessa in cui si sarebbe venuta a trovare la figlia, non potendo l'imputato ricoverare la moglie in una struttura assistenziale (e, si desume, escludesse che l'assistenza pubblica in loco potesse intervenire utilmente), integra una situazione obiettivamente inidonea a determinare, quale motivo di particolare valore morale o sociale, la decisione di uccidere la consorte. Il ricorso va pertanto respinto.

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