Data: 25/02/2018 14:20:00 - Autore: Marina Crisafi

di Marina Crisafi - Anche se escluse le condotte persecutorie, il datore di lavoro può essere condannato a risarcire il dipendente. È quanto si ricava dalla recente ordinanza della Cassazione (n. 3871/2018 sotto allegata), che ha accolto sul punto la richiesta di un lavoratore.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d'Appello di Bologna respingeva l'appello del lavoratore avverso la pronuncia del tribunale che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti dell'Asl datrice volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta vessatoria protrattasi sino al suo pensionamento. Per la Corte territoriale, l'appellante aveva posto a fondamento della domanda risarcitoria non il puro e semplice demansionamento bensì il mobbing, non fornendo la prova dell'intento persecutorio, e, dunque, era irrilevante stabilire se fosse integrato o meno il demansionamento.

L'uomo ricorreva pertanto in Cassazione, lamentando che il giudice di merito, una volta escluso l'intento persecutorio, è comunque tenuto ad accertare se i comportamenti denunciati, singolarmente considerati, possano essere fonte di responsabilità per il datore di lavoro, e dunque, l'errore della sentenza.

Mobbing escluso, può esserci comunque il diritto al risarcimento

Per gli Ermellini, sul punto, l'uomo ha ragione. Il giudice d'appello infatti, pur qualificando correttamente la domanda e altrettanto correttamente escludendo il mobbing, ha errato nel ritenere "che per ciò solo dovesse essere escluso il suo potere/dovere di pronunciare sul denunciato demansionamento e sui danni asseritamente derivati dall'assegnazione a mansioni inferiori".

Come già affermato in passato infatti (cfr. tra le altre Cass. n. 18927/2012), ha ribadito la S.C., "nell'ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di natura asseritamente vessatoria il giudice del merito, pur nell'accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall'interessato e quindi della configurabilità di una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, seppure non accomunati dal fine persecutorio, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili".

Sentenza cassata e parola al giudice del rinvio.


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