Data: 09/03/2018 15:11:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli – Per la Corte di cassazione deve ritenersi illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente quando i fatti allo stesso contestati sono provati mediante la produzione di e-mail spedite dal suo indirizzo di posta elettronica.

L'efficacia prevista dall'articolo 2702 del codice civile per le scritture private, infatti, è attribuita dall'articolo 21 del d.lgs. n. 82/2005 solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale. L'idoneità di ogni altro documento informatico, e quindi anche della tradizionale e-mail, a soddisfare il requisito della forma scritta è pertanto liberamente valutabile dal giudice.

La vicenda

Nel caso deciso dalla sezione lavoro con la sentenza numero 5523/2018 (qui sotto allegata), il lavoratore era stato licenziato per aver tenuto, a detta del datore di lavoro, una condotta irregolare con accredito in favore di alcune società partner di somme relative a giacenze di prodotti di telefonia mobile che in realtà non esistevano. A sostegno di tale ricostruzione dei fatti, vi erano dei messaggi di posta elettronica che erano transitati anche sulla casella e-mail del dipendente.

Il giudice del merito, nel decretare l'illegittimità del recesso datoriale, non aveva messo in discussione che l'indirizzo di posta elettronica del dipendente fosse coinvolto nella corrispondenza "incriminata", ma aveva escluso che i messaggi fossero riferibili al suo autore apparente, in assenza di firma elettronica.

Per la Corte di cassazione, posto che, stando così le cose, i documenti prodotti in giudizio non hanno natura di scrittura privata, tale statuizione non può ritenersi censurabile (come invece ipotizzato dal datore di lavoro) in relazione all'articolo 2702 del codice civile e, pertanto, l'illegittimità del licenziamento va ribadita.


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