Data: 14/03/2018 09:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

di Valeria Zeppilli � Il padre che "perseguita" la propria ex per poter vedere la figlia non pu�, per ci� solo, essere condannato per il reato di atti persecutori.

Nella sentenza numero 537/2018 qui sotto allegata, la Corte d'appello di Roma ha infatti specificato che l'elemento soggettivo richiesto per lo stalking, secondo un costante principio di diritto, � il dolo generico, ovverosia la volont� di porre in essere condotte minacciose e moleste con la consapevolezza che le stesse sono idonee a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dall'articolo 612-bis del codice penale.

Il dolo inoltre, precisano i giudici, deve essere unitario e quindi, anche se pu� realizzarsi in maniera graduale, deve comunque esprimere un'intenzione criminosa che va oltre i singoli atti dei quali si compone la condotta tipica.

Nessun intento persecutorio

Nel caso di specie, il padre non aveva fatto altro che porre in essere, pur "con modalit� personalizzate e ridondanti", comportamenti connessi tra loro dall'essere originati dalla sua volont� di esercitare il diritto di visita della figlia minorenne, mentre mancava del tutto un effettivo intento persecutorio in danno della ex compagna.

In assenza di elementi di prova idonei a far ritenere che la condotta dell'uomo fosse diretta volutamente a creare intorno alla ex un clima di paura per la propria incolumit� personale o a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita, per la Corte d'appello non pu� dirsi dimostrato l'elemento psicologico del reato.

Di conseguenza, l'assoluzione del padre per insussistenza del fatto, gi� decretata dal Tribunale di Rieti, va necessariamente confermata.


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