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Data: 06/01/2006 - Autore: Roberto Cataldi Deve ritenersi illegittimo,in base alla sentenza n.466/2005,emessa dalla Corte Costituzionale in data 28 Dicembre 2005,l'art.13,comma 13 bis del T.U. sull'immigrazione nel testo risultante dalle modifiche introdotte nel testo dall'art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) che recita testualmente: 13-bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni. La Corte ha accolto,con la sentenza in commento,le censure alla norma sollevate dal Tribunale di Gorizia con ordinanza del 4 agosto 2003 in relazione al caso riguardante un cittadino macedone imputato del reato previsto dalla norma in esame perché, denunciato in Gorizia per il reato di cui all'art. 13, comma 13, del d. lgs. n. 286 del 1998 ed espulso con decreto prefettizio del 1° novem bre 2002, aveva fatto reingresso nel nostro Paese. I commi 13 e 13-bis dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 hanno introdotto due distinte ipotesi di reato, stabilendo, nel primo caso (rientro nel territorio dello Stato dopo il decreto prefettizio di espulsione), la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno e, nel secondo (violazione del divieto di reingresso su ordine del giudice), la reclusione da uno a quattro anni. Sempre con la reclusione da uno a quattro anni è stato inoltre sanzionato, dal secondo periodo del comma 13-bis, il reingresso nel territorio nazionale dello straniero «già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso». In quest'ultimo caso, ad avviso del Giudice remittente, viene considerato elemento costitutivo di un delitto il dato «che taluno abbia riportato una denuncia (proveniente da qualsiasi fonte) per un precedente presunto illecito penale, in relazione al quale non vi è stata ancora una pronuncia di condanna definitiva» e tanto renderebbe evidente il contrasto con l'art. 27, secondo comma, Cost., che prevede la cosiddetta ?presunzione di non colpevolezza. In conseguenza la disposizione censurata,senza imporre alcuna forma di verifica sull'esito effettivo della denuncia,per di più per un reato contravvenzionale, ignorerebbe che alla medesima potrebbe fare seguito una decisione assolutoria. Inoltre,sempre secondo il Giudice remittente,la norma in questione sarebbe in contrasto anche con gli artt. 2 e 3 Cost., per due ordini di ragioni: 1) perché non pare giustificata l'equiparazione da essa operata tra la condotta di chi rientri illegalmente nel territorio dello Stato in violazione di un provvedimento di espulsione adottato dall'autorità giudiziaria e quella di colui che vi rientri essendo stato espulso dal prefetto, e ciò per il solo fatto di essere stato denunciato per un precedente reato contravvenzionale; 2) perché sembra irragionevole la previsione di un diverso trattamento operato nei confronti dei presunti autori della medesima condotta materiale e formale (rientro illegale nel territorio dello Stato in violazione di un provvedimento di espulsione adottato dal prefetto), a seconda del fatto che essi siano stati o meno denunciati in precedenza per l'illecito contravven zionale citato, in quanto essi «incorrono» in un delitto nel primo caso ed in una mera contravvenzione nel secondo. La Corte Costituzionale ha,innanzitutto,evidenziato come,successivamente all'ordinanza di rimessione, il quadro normativo sia stato modificato dall'art. 1, comma 2-ter, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271 e come la sanzione prevista per il reato oggetto del giudizio a quo sia stata aggravata nel massimo (da quattro a cinque anni di reclusione) ed il reato previsto dall'art. 13, comma 13 è stato trasformato da contravvenzione in delitto, con la previsione della pena della reclusione da uno a quattro anni. Secondo la Corte tali modifiche, tuttavia, non incidono sulla questione oggetto di decisione atteso che tali modifiche non sono applicabili al processo a quo, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, del codice penale. La Corte rammenta di avere già statuito che la denuncia «è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce» (v. sentenza n. 78 del 2005 e sentenza n. 173 del 1997). In conseguenza essa ha ritenuto che non sia possibile far derivare dalla sola denuncia conseguenze pregiudizievoli per il denunciato, in quanto essa comporta soltanto l'obbligo degli organi competenti «di verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le condizioni per l'inizio di un procedimento penale». Ricorda la Corte come,con la Legge Bossi- Fini del 2002, il Legislatore abbia traformato in delitto una fattispecie contravvenzionale per il solo fatto che lo straniero rientrato in Italia fosse stato denunciato per la contravvenzione di reingresso nel territorio nazionale senza autorizzazione ministeriale. In tali casi non assume alcun rilievo la circostanza che alla denuncia sia collegata anche l'espulsione perché, nel regime antecedente la sentenza n.222 del 2004,l'espulsione con accompagnamento alla frontiera veniva eseguita anche prima dell'eventuale convalida, sicché neppure sotto tale profilo la denuncia era soggetta ad alcuna delibazione. In conseguenza, la Corte ha ritenuto illegittima la disposizione censurata nel testo vigente prima delle modifiche introdotte con il d.l. n. 241 del 2004, convertito con modifiche nella legge n. 271 del 2004. Presidente ANIMI |
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