Data: 18/03/2018 23:00:00 - Autore: Roberto Cataldi

di Roberto Cataldi - Il dialogo è un'arte. Almeno così l'aveva definita Mario Trevi, uno dei più autorevoli psicoanalisti italiani di formazione Junghiana. Trevi ha fatto notare come in ogni discussione l'attenzione deve essere rivolta non solo all'oggetto del discorso ma anche all'altro interlocutore e suggeriva di guardare le cose anche con "il rovescio del binocolo".

Un modo come un altro per riaffermare il principio secondo cui la ragione e il torto non si dividono poi in maniera così netta.

Cosa c'entra questo con la politica? C'entra eccome. Anzi l'attività parlamentare dovrebbe essere proprio incentrata sul dialogo. Un dialogo tra forze politiche che rappresentano in modo diverso il pensiero di larghe "fette" della cittadinanza.

Ma "l'arte del dialogo", con la sua inevitabile componente costruttiva, richiede uno sforzo individuale: ognuno di noi deve imparare a rinunciare a sterili polemiche che spesso sono alimentate da quella sorta di narcisismo che ci impedisce di accettare l'idea che anche il nostro interlocutore sia portatore di una sua "verità". Come ha scritto il filosofo Umberto Galimberti occorre "essere abitati dal dubbio che l'altro possa avere ragione". L'assenza di un dialogo così concepito impoverisce ogni dibattito ed impedisce di trovare soluzioni condivise nell'interesse della nazione.

Avere un paese più organizzato, un paese in cui i servizi per i cittadini funzionino, un paese in cui si pratichi la giustizia, un paese economicamente stabile e in grado di garantire lavoro e benessere: ecco, è esattamente di tutto questo che la politica dovrebbe occuparsi. E questo sarà tanto più possibile quanto più le parti in gioco dimostreranno la loro capacità di passare dello scontro al dialogo costruttivo.

Ma non basta, perché il "dialogo" non dovrebbe restare confinato all'interno delle aule del Parlamento. Qualsiasi decisione presa nell'interesse del paese non può prescindere dall'ascolto delle categorie sociali che ne sono direttamente coinvolte.

Proviamo a prendere come esempio la filosofia socratica. Socrate considerava il dialogo fondamentale perché finalizzato a "correggere errori" per poi giungere a una verità condivisa che a sua volta potrà essere sempre rimessa in discussione.

Troppo relativismo? Forse si, ma le leggi, si sa, non sono eterne e lo dimostra il fatto stesso che il legislatore le rimaneggia continuamente, nel tentativo di adattarsi ai continui cambiamenti della coscienza sociale.

Anche la giurisprudenza, nel suo ruolo di "interprete" delle leggi, mostra come il diritto sia qualcosa di "vivente", dove nulla può essere dato per scontato, specie quando si tratta di applicare una norma generale a un caso concreto. L'eccezione conferma la regola, è vero, ma nel mondo del diritto accade l'esatto contrario, giacché è proprio l'eccezione a sollevare il dubbio. Essa non conferma la regola, ma la mette in discussione, se necessario, fino a dimostrarne l'inconsistenza.

In ambito politico il dialogo tra persone che esprimono un pensiero diverso potrebbe davvero diventare un modo per rendere ogni scelta ancora più aderente alle esigenze dei cittadini.

Per chiarirci maggiormente le idee, proviamo a prendere come esempio delle piccole realtà sociali come le scuole.

In ogni scuola ci sono molte figure con ruoli diversi: alunni, corpo docenti, dirigenti, impiegati amministrativi. Ci sono poi i rappresentati di classe che vengono "eletti" per l'esigenza di fare da ponte tra il corpo degli insegnanti e le classi degli studenti.

Un'organizzazione molto semplice, ma che può funzionare bene solo se tra tutte le parti in gioco si stabilisce una sinergia e si dimostra una capacità di dialogo.

Esattamente la stessa cosa dovrebbe avvenire quando sono chiamati a confrontarsi i rappresentanti di un popolo.

Farsi eleggere deputato, sindaco o consigliere non deve essere soltanto una opportunità per soddisfare i propri egoistici desideri, ma un modo di mettersi al servizio nell'interesse dei cittadini.

Quando le diverse forze politiche non dialogano e non collaborano per risolvere i problemi della nazione, finiscono con il perdere di vista quelli che sono invece i reali bisogni dei cittadini.

La capacità di dialogare e la voglia di cercare insieme soluzioni a vantaggio del bene comune sembra diventata estranea al mondo politico che dovrebbe invece iniziare a pensare che, al di là delle differenze di idee e di programmi, c'è sempre lo spazio per trovare soluzioni nell'interesse della collettività.

L'espressione "parliamone", viene utilizzata nelle situazioni in cui c'è disaccordo. Ma essa trasmette il senso di una disponibilità reciproca a mettere in campo idee e punti di vista differenti.

Ed è proprio questa espressione che dovrebbe fare breccia all'interno di un luogo, il Parlamento, che è così definito proprio perché, letteralmente tradotto, sta a significare "luogo in cui si parla, si usa la parola, si comunica mediante il linguaggio".

La politica deve quindi essere principalmente dialogo e soprattutto un dialogo costruttivo che può contribuire a risolvere in modo più efficaci i problemi del Paese.

Occuparsi dei problemi di una nazione è senza dubbio un lavoro faticoso che richiede lo sforzo individuale di mettere da parte ogni forma di egoismo per concentrarsi sull'interesse dell'intera collettività.

Durante le campagne elettorali ogni partito trova consensi in base alle proprie idee e dei propri propositi ed è quindi nella successiva fase, in cui le forze politiche debbono confrontarsi, che deve aprirsi un dialogo per poter lavorare insieme a un obiettivo unico: il bene comune.

Il dibattito politico può riconquistare in tal modo la sua dimensione maieutica e diventare l'occasione per trovare insieme le migliori soluzioni possibili per il paese che si è chiamati a rappresentare.

Tutto questo perché il fine ultimo della politica non è certo quello di ottenere consensi ma quello di aiutare le persone a vivere meglio!


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